di Marzio Luras
La Sardegna è una terra che ad ogni nuova scoperta sposta all’indietro le lancette del grande orologio della Storia, spesso costringendo gli studiosi a rivedere tempi e luoghi di certe espressioni della civiltà occidentale. Una delle più recenti riguarda il ritrovamento della prima “borsa merci” del Mediterraneo – un grande sito di commercio e scambio – e della più antica piazza pubblica lastricata, risalente al IX sec. a.C., pertanto antecedente all’agorà di Atene e al Foro Romano.
Ci troviamo nel territorio di Alghero (Sassari), per la precisione nell’area di Porto Conte, uno dei migliori porti naturali del Mediterraneo, situato in un’area frequentata dall’uomo fin dal Neolitico Medio (4000 – 3500 a.C.), come testimoniano resti umani fossili, vasi di ceramica ed enigmatici graffiti ritrovati all’interno della Grotta Verde a Capo Caccia e di quella dei Cervi a Punta Giglio. Con un salto di qualche millennio arriviamo all’epoca della dominazione romana, iniziata in Sardegna nel III sec. a.C. e qui testimoniata dai resti di una villa del periodo imperiale, edificata probabilmente nel I-II° sec. d.C., con pareti decorate a stucchi figurati ed intonaci dipinti e pavimenti a mosaico. Furono proprio i romani, che qui ebbero una flotta, a dare al luogo il suggestivo nome di Nymphaeus Portus (Baia delle Ninfe). Fra queste due estremità cronologiche si collocano i complessi nuragici di Palmavera e Sant’Imbenia, riconducibili alla civiltà detta appunto nuragica che si sviluppò in Sardegna a partire dal 1500 a.C., in un lasso di tempo di circa 1.000 anni. E proprio gli scavi condotti da Marco Rendeli presso il secondo sito, risalente al XIV secolo a.C., hanno reso possibili le due recenti straordinarie scoperte.
Già oggetto di un lungo scavo che fra il 1982 e il 1997 ha riportato alla luce il mastio del nuraghe ed un antichissimo villaggio di capanne, il sito è tornato al centro dell’attenzione nel 2008 grazie ad una nuova campagna di ricerche che ha coinvolto l’Università e la Soprintendenza di Sassari, oltre a diversi altri atenei italiani ed esteri. Un intenso impegno ripagato da sorprendenti risultati.
Innanzitutto si è constatato che quel remoto villaggio iniziò, nel IX sec. a.C., a subire una trasformazione con la comparsa di spazi pubblici, fra cui una piazza, e l’acquisizione di un ruolo di primo piano nelle attività di scambio commerciale, attestandosi come una sorta di ”borsa merci” ante litteram frequentata da Fenici e Greci già in epoca antecedente alla fondazione delle colonie, come testimoniato dalla presenza di depositi di materiali provenienti da ogni angolo del Mediterraneo: numerosi sono infatti i frammenti di ceramica qui giunti dalla Grecia, dalla Spagna, dal Nord Africa, dall’Etruria. Del resto il luogo è geograficamente strategico, posto com’è a breve distanza dalle isole Baleari e dalla costa spagnola, e per giunta capace di procurare ai naviganti il prezioso approvvigionamento idrico garantito da una vicina sorgente e da un sistema di piccoli canali che attraversavano l’intero villaggio.
Ulteriori testimonianze dell’ambiente cosmopolita che dovette animare l’antico sito di Sant’Imbenia sono alcuni particolari reperti come uno scarabeo di manifattura orientale, due frammenti semilavorati di avorio d’elefante e l’impugnatura di una spada iberica. Ma anche le stesse ceramiche locali, pur realizzate in argilla di Porto Ferro o del vicino Lago di Baratz, risentono degli influssi stranieri – soprattutto fenici – nelle loro forme e decorazioni.
Sotto le antiche capanne diversi sono i depositi di rame e bronzo ritrovati in forma di lingotti, segno della presenza di forni per la fusione. Un dato che non sorprende trovandosi il sito ad una ventina di chilometri da un’area ricca di miniere di ferro, rame e argento.
La piazza pubblica, ad oggi considerata la più antica del Mediterraneo, è l’elemento urbanistico che ha determinato la nuova disposizione delle capanne, ormai tutte orientate verso di essa, con i loro stipiti tutti uguali in arenaria arancione. Rivolto verso la piazza è anche un ambiente ellissoidale, ritenuto una sorta di sala di rappresentanza destinata alle riunioni, decorata con nicchie alle pareti. Da un altro ambiente, forse una farmacia, ecco spuntare invece un peso in piombo ed un chilo e mezzo di semi di cardo selvatico, già noto agli antichi per le sue proprietà terapeutiche, e da un altro ancora un bacile in pietra di due metri usato per la fusione del metallo. In un ulteriore locale spicca poi un sedile in pietra rossastra, forse un trono, mentre a poca distanza s’aprono, sempre sulla piazza, alcuni ambienti adibiti a nogozi. Residuo forse di un antico banchetto ‘di lusso’ sono infine le chele di un’aragosta risalenti all’VIII sec. a.C.
Sono questi gli evidenti ”segni” di una Sardegna remotissima eppure già così straordinariamente operosa nelle sue attività produttive e nelle relazioni commerciali con i popoli di quel Mediterraneo che da sempre è elemento di unione e di feconde contaminazioni culturali: “Un tal genere di emporio, così antico – ha detto l’archeologo Rendeli – non era stato finora mai trovato”.
BAIA DELLE NINFE E L’AUTORE DE ”IL PICCOLO PRINCIPE”
Alle molteplici suggestioni che la Baia delle Ninfe – grazie alla sua storia plurimillenaria – riesce ad evocare, se ne aggiunge un’altra di carattere letterario ed umano che ci riporta all’autore del celeberrimo ‘Il piccolo principe”, terzo libro più letto al mondo dopo il Corano e la Bibbia, tradotto anche in arabo ed aramaico. Si tratta dell’aviatore e scrittore francese Antoine de Saint-Exupéry, che nel luglio 1944, in piena Seconda Guerra mondiale, trascorse ad Alghero i suoi ultimi giorni di vita. A Baia delle Ninfe vi era a quel tempo una base per gli idrovolanti e da qui l’aviatore partì alla volta di Borgo, verso la non lontana Corsica, località da cui il 31 luglio sarebbe decollato per poi precipitare in mare. Fra imprese vittoriose e incidenti, la sua fu una vita trascorsa all’insegna dell’intrepida sfida a quei cieli che la guerra in corso aveva reso doppiamente pericolosi. Ma volare per Saint-Exupéry equivaleva a respirare, affascinato com’era, fin dall’infanzia, dal mito dei grandi aviatori del suo tempo.
L’avitatore-scrittore fu trasferito alla base militare di Fertilia, ad Alghero, il 16 maggio del 1944, assegnato con altri suoi connazionali ad una squadra di idrovolanti di base a Porto Conte. Da qui effettuò voli di ricognizione sulle coste della Francia per rilevare eventuali presenze tedesche. Gli americani gli consentirono inoltre di eseguire cinque missioni fra la Sardegna e la Corsica. A quel tempo il 44enne Saint-Exupéry volava con una vertebra rotta e gravi problemi al fegato e all’udito, ma il richiamo delle alte quote era più forte di tutto. Del suo periodo sardo si sa che soggiornò in una villa di Porto Conte, dove amava fare il bagno presso la Baia delle Ninfe, che frequentò la famosa Villa Las Tronas, all’epoca quartier generale delle forze aeree alleate, e che ogni venerdì era ospite a cena di un suo amico generale residente nella elegante villa liberty che domina il porto di Alghero. Qui lo raggiunse l’amico John Phillips, celebre reporter che realizzò le ultime immagini dello scrittore ancora in vita, poi pubblicate dalla nota rivista “Life Magazine”. E’ anche certo che nella stessa cittadina sarda Saint Exupèry si dedicò alla stesura di una raccolta di note e pensieri, La Cittadelle, il cui manoscritto fu poi ritrovato in Corsica insieme ad alcune lettere per sua moglie Consuelo e a diversi disegni.
Trasferita la sua unità a Borgo, in Corsica, da dove si stava preparando uno sbarco alleato in Provenza, Saint-Exupéry andò incontro al suo destino. Il 31 luglio decollò da Bastia con il suo Lightning P38 alle 8.45 del mattino per un volo di ricognizione, ma nel corso della giornata scomparve dai radar e fu così dato per disperso. Di lui si perse ogni traccia fino al 2004 quando lungo la costa di Marsiglia furono recuperati i rottami dell’aereo su cui volava. In realtà la fine dello scrittore rimane ancora un mistero celato nel mare perchè il velivolo ritrovato, armato di mitragliatrici anzichè di cinepresa e macchine fotografiche da ricognizione, potrebbe non essere il suo, così come non sono mai state verficate del tutto le dichiarazioni di un ex pilota tedesco che nel 2008 ha rivelato di aver abbattuto quel 31 luglio del ’44 l’aereo dello scrittore.