di Enzo Garofalo
Pugliese, ventisette anni e un primato di tutto rispetto: la vincita del primo premio, per la categoria fotografi ”non professionisti”, al prestigioso concorso International Photography Awards (IPA) 2015 di Los Angeles. Un riconoscimento conquistato attraverso la presentazione di un progetto fotografico inedito intitolato “Paranoid” che gli ha permesso di prevalere su ben 17.841 concorrenti provenienti da 230 Paesi. Si tratta del barese Daniele Notaristefano, titolare di un risultato da guinnes ancora più ragguardevole perchè ottenuto – come ci spiegherà – attraverso un lavoro basato su un concept sottilmente polemico nei confronti di tanta fotografia contemporanea, a cui non risparmia accuse ben precise. I giurati del concorso americano hanno però molto apprezzato le immagini e la sfida in esse racchiusa premiandole con il First Place. Già premiato dai grandi maestri italiani della fotografia Gianni Berengo Gardin e Ferdinando Scianna quale vincitore di due contest tenutisi a Bari nel 2014, un suo scatto – arrivato in finale in un ulteriore concorso nazionale – è in mostra permanente presso l’ex Convento dei Crociferi a Venezia. Un suo ritratto del grande regista polacco Andrzej Waida è stato pubblicato dal quotidiano inglese The Guardian, un altro del regista premio Oscar Paolo Sorrentino è stato scelto dal New York Times, mentre sue immagini sono comparse sul sito del mensile Vogue Italia. Dopo il suo recentissimo rientro da New York, dove è intervenuto al Lucie Awards Gala e alla mostra ” The Best of Show” degli IPA, lo abbiamo incontrato a Bari per farci raccontare qualcosa di sè e dell’esperienza che lo ha catapultato nel mondo della fotografia internazionale.
Notaristefano, pochi giorni fa lei ha vinto il primo premio nella sezione “Book (Self-Published) – Other” dell’International Photography Awards 2015 di Los Angeles surclassando oltre 17 mila concorrenti. Cosa si prova ad arrivare primi avendo un numero così elevato di rivali?
E’ inutile dirle che non ho ancora assimilato l’avvenimento quanto vorrei. Penso sia difficile trasmettere la mia gioia in questo momento. Ciò che però mi preme dire è che mi fa piacere sia stata apprezzata l’idea portante del mio progetto più che le fotografie intese come “fine art” .
Ci parli del concorso e di come è nata la sua decisione di partecipare. Ci risulta che lei abbia scelto di iscriversi nella categoria dei non professionisti per mettersi alla prova…
The International Photography Awards è un importantissimo concorso annuale su scala globale per fotografi professionisti e non professionisti che ha come scopo sia di presentare i lavori di fotografi già affermati di tutto il mondo, sia di scoprire talenti nuovi ed emergenti e, in generale, di promuovere la passione per la fotografia. Quanto alla mia scelta di partecipare, è nata dalla convinzione che sia fondamentale mettersi in gioco sempre e comunque. Ho quindi pensato a quanto potesse essere bello vincere un premio del genere ed ho deciso di mettermi a confronto con altri miei colleghi. In realtà mi sono iscritto alla categoria non professionisti perché, come puntualizzato anche nel comunicato stampa ufficiale degli IPA, fare il fotografo professionista comporta in Italia il pagamento di tasse troppo alte. Nonostante ciò ora sono dovuto passare “al lato oscuro”, per forza di cose.
Lei ha vinto con il progetto “Paranoid” basato su scatti molto particolari, nei quali i soggetti ritratti appaiono fluidi, quasi ectoplasmatici, ma in cui è anche molto intenso il senso del movimento. Qual’è l’idea di fondo: carattere proteiforme della natura umana impossibile da imbrigliare in un’immagine statica, simbologia di un processo di trasformazione in atto, senso di dissoluzione del nostro rapporto con la realtà…o nulla di tutto questo? Ci parli anche della tecnica utilizzata…
Bella domanda. Penso che in effetti solo Cartier-Bresson e pochi altri siano riusciti a sintetizzare l’essere umano in un’immagine prettamente statica. Io non credo di esserne all’altezza e ho dovuto trovare il mio modo per raccontare e raccontarmi attraverso la fotografia in generale e in particolare in quella di ritratto. Penso che attraverso un movimento completo l’essere umano possa esprimersi per ciò che realmente è, perché non riesce a concedersi una maschera in determinate situazioni. Al di là di questo, Paranoid è un lavoro nel quale gli scatti si mescolano a giochi di parole che li accompagnano e già a partire dal suo titolo vuole essere una parodia della realtà e del mondo della fotografia, o meglio della non-fotografia. Alla base del progetto vi è stata l’esigenza di raccontare alcune mie riflessioni sulla fotografia di oggi, pensando a quello che è stato lo scatto più povero di ieri, uno scatto che non poteva essere post-prodotto, di qualità scadente e per lo più utilizzato dai fotoamatori per la sua portabilità e resa immediata, ossia l’istantanea Polaroid. Fondamentale dal punto di vista tecnico per la realizzazione di questi scatti è stato l’utilizzo di tempi lunghi di posa, la conoscenza del formato e lo studio di una mia post produzione.
L’idea di fondo del progetto racchiude quindi una sua posizione critica…Nell’introduzione a ‘’Paranoid’’ infatti lei scrive che oggi in fotografia “vige il trionfo dell’estetica sull’etica”. Cosa intende dire esattamente?
Che viviamo in un mondo che mira più all’apparenza che alla sua reale sostanza. A volte credo che ci dimentichiamo di essere ciò che siamo. La fotografia serve a raccontare il mondo, che sia bello oppure brutto, che sia quello che vive all’interno di ognuno di noi oppure quello che tutti conosciamo, ma l’indice di ciò che siamo lo vediamo anche dal mondo dell’arte. Oggi in fotografia miriamo a colori saturi e alla perfezione nella forma per attirare l’osservatore, ma la sostanza ovvero il racconto di una storia come fondamento molte volte non esiste. Pensiamo ancora oggi che una buona foto sia quella nella quale il soggetto sembra più bello di quello che è, e non bello per quello che è.
Cosa, a suo avviso, determina in fotografia la differenza tra mera rappresentazione e interpretazione della realtà?
La rappresentazione del pensiero, l’espressione di un punto di vista. Come vedere un qualcosa o qualcuno senza soffermarsi alla sola apparenza. La duplicazione è ciò che avviene quando scattiamo una foto senza pensare.
Nell’era del digitale e della post produzione spinta cosa, a suo avviso, ha guadagnato e cosa ha perso la fotografia, e quanto le nuove possibilità tecnologiche riescono eventualmente a condizionare lo ‘’sguardo’’ del fotografo?
Ne abbiamo guadagnato in portabilità, facilità d’uso, facilità di condivisione, post produzione, visualizzazione immediata e costi; ne abbiamo inevitabilmente perso in qualità, sia intesa come resa su carta che come contenuti propri del racconto fotografico. Per questo lo sguardo del fotografo che oggi si approccia alla fotografia deve essere subito direzionato ed educato alla visione di materiale di qualità, anche perché oggi con i social network vediamo anche tantissima spazzatura. L’alta qualità del racconto fotografico serve anche a sviluppare quella che secondo me è la chiave di volta per qualsiasi successo: l’autocritica. Solo vedendo chi fa meglio di te riesci a capire dove migliorare e che la foto che hai scattato ai tuoi piedi al mare non è una buona foto solo perché ha 200 Like su Facebook o perché è ben composta ed esposta.
Lei ha un background formativo di tipo giuridico…Come e da quanto tempo è nato il suo interesse per fotografia?
Sì, lo ammetto. Da qualche anno però la fotografia ha preso il sopravvento su di me e sui miei studi. Non riuscivo più a concentrarmi sui testi giuridici ma solo sui miei progetti fotografici, come ad esempio Paranoid. Saranno 4 anni che fotografo costantemente e con cognizione di causa.
Ci sono delle tematiche o degli aspetti della realtà che la appassionano più di altri?
L’aspetto della realtà per me più interessante è la rappresentazione dell’essere umano, la propria esistenza e collocazione nel mutamento nel mondo.
Ha qualche modello fra i Maestri della fotografia o c’è comunque qualcuno che apprezza in modo particolare?
Si certamente, moltissimi. Credo che per avere un’idea bisogna conoscere bene e basarsi su ciò che è stato fatto prima di noi. L’evoluzione in ogni campo avviene proprio implementando e completando la conoscenza pregressa. In particolare i miei modelli sono Duane Michals, e Jerry Uelsman. Ma fondamentalmente la lista sarebbe molto lunga e vedrebbe sicuramente Henri Cartier-Bresson, Elliott Erwitt , Gianni Berengo Gardin, Ferdinando Scianna, Robert Capa, Man Ray, Philippe Halsman, Helmut Newton, e altri.
Come si pone rispetto a ciò che intende rappresentare con le le sue immagini? Ha sempre già chiaro nella mente il tipo di scatto che vuole ottenere o si lascia anche cogliere di sorpresa dalla realtà?
Cerco di rispettare sempre i canoni di un progetto, quasi sempre so ciò che voglio ottenere, ma la realtà e i propri elementi esistono anche per sorprenderci. La serendipità in fotografia credo sia fondamentale per i curiosi come me.
All’indomani della sua vittoria americana, rivolgendosi idealmente ai giovani che come lei amano la fotografia e magari vorrebbero farne la loro principale occupazione, ha detto “Sognate e tutto diverrà materia”. In un Paese che sembra non offrire più prospettive ai suoi giovani, spesso costringendoli a cercare un lavoro all’estero, ritiene che ci sia ancora spazio per i sogni?
L’Italia è un punto di partenza, ma non sono neanche io certo che sia la meta. Penso che dipenda dai sogni che ognuno di noi si pone. Io ho inseguito un sogno che era quello di far conoscere la mia fotografia a livello internazionale e rimanendo solo in Italia non si sarebbe potuto realizzare, perché lo Stivale non offre concrete possibilità a chi vuole “sfondare” in questo campo. In Europa invece ci sono ottime realtà e al ritorno dalla mia esperienza newyorkese posso affermare che l’offerta americana è pressoché equivalente a quella di alcuni paesi europei. Ai miei coetanei che vogliono inseguire il sogno di trasformare la propria passione in professione consiglio l’acquisto di decine di libri di fotografia e un buon corso eventualmente. Ripeto, solo il confronto, l’autocritica e la consapevolezza di ciò che realmente siamo può farci crescere.
Cultura, ambiente, territorio e processi innovativi del Sud, sono i temi principali della nostra rivista. Da meridionale, che rapporto ha con la sua terra? Cosa di essa ama di più, cosa non le piace e a quali temi darebbe la priorità assoluta in una ideale Agenda-Sud firmata Notaristefano?
Ciò che mi affascina di più del nostro territorio sono le persone. E’ dal nostro popolo che è stata segnata la nostra storia sociale, culturale, gastronomica, ecc. Le persone del Sud Italia sono uniche al mondo e riescono a regalarmi sempre qualcosa da raccontare. Fondamentalmente preferirei vivere in un territorio culturalmente più preparato, che investa con determinazione sui giovani talenti, sulle eccellenze, e che quindi successivamente possa creare un bacino di confronto tra gli stessi, trainando a sé anche talenti di altri territori.
© RIPRODUZIONE RISERVATA