di Redazione FdS
È uno dei giochi più popolari al mondo e vanta origini antichissime. È il gioco degli scacchi, che il grande poeta persiano Firdusi, vissuto tra il X° e l’XI° secolo, racconta essere nato in India nel VI° secolo all’indomani di una guerra fratricida per la conquista di un trono. Il campo di battaglia sarebbe stato ricreato attraverso la scacchiera e una serie di figure d’avorio rappresentanti le quattro unità di combattimento dell’esercito: fanteria, cavalleria, elefanti e carri, da cui successivamente sarebbero derivate le figure di pedoni, cavalieri, alfieri e torri. In Europa però gli scacchi sarebbero giunti solo verso l’anno 1000 grazie alla mediazione degli Arabi e, diffondendosi nell’intero continente, avrebbero raggiunto un aspetto più simile a quello moderno nel XV secolo in Italia e in Spagna, mentre il regolamento completo attuale lo si sarebbe avuto solo verso la metà dell’Ottocento. Ebbene, vi starete chiedendo come mai un blog che si occupa di Sud Italia abbia deciso di trattare questo argomento. La ragione è presto detta: oltre a provenire dal Sud Italia due grandi maestri di scacchi vissuti nella Calabria del XVI° e del XVII° secolo, dei quali vi abbiamo già parlato, dalle nostre contrade meridionali trae origine la scacchiera più antica ad oggi pervenutaci tra quelle realizzate in Occidente, nota come Échiquier de Charlemagne (Scacchiera di Carlo Magno) e risalente alla fine dell’XI° secolo. Dei 30 pezzi risultanti nel 1534 oggi sopravvivono solo i 16 rimasti al tempo della Rivoluzione Francese e sono custoditi nel Cabinet des Médailles della Biblioteca Nazionale di Francia, in Rue de Richelieu, a Parigi, dove – in seguito alla confisca dei beni del clero – furono trasferiti nel 1793 dal Tesoro della basilica gotica di Saint-Denis, celebre necropoli dei Re di Francia.
I pezzi, scolpiti in blocchi d’avorio, conservano tracce dell’oro e della vernice rossa che li impreziosiva. Di dimensioni insolite (i cavalieri sono alti 12,3 cm, i fanti 8 cm e i re, in particolare, pesano quasi 1 kg), svolgevano una funzione simbolico-cerimoniale, non essendo quindi impiegati per il gioco. Le 16 figure superstiti comprendono due Re, due Regine, tre Quadrighe (antesignane delle Torri), quattro cavalieri, quattro elefanti (antesignani degli Alfieri) e un fante (antesignano del pedone ).
Il riferimento a Carlo Magno (742-814), contenuto nella denominazione della scacchiera, deriva dalla leggenda secondo cui essa avrebbe fatto parte di una serie di doni a lui consegnati da Harun al-Rashid califfo di Baghdad; circostanza impossibile perché il gioco degli scacchi fu introdotto in Occidente dagli arabi solo due secoli dopo il regno di Carlo Magno. Si ritiene infatti che i pezzi custoditi a Parigi non provengano dal Medio Oriente ma siano stati realizzati tra il 1080 e il 1100 nell’Italia meridionale, presso Salerno, e siano collocabili alla confluenza tra le sfere culturali normanna, bizantina e araba, all’epoca compresenti sul territorio.
A quel tempo Salerno era la residenza principale dei Normanni in Italia, essendo la capitale del Ducato di Puglia e Calabria da essi costituito nell’XI° secolo; oltre che per la sua Scuola di medicina, la città era rinomata per i laboratori di lavorazione dell’avorio, e non è un caso che gli studiosi abbiano rilevato significative somiglianze tra i pezzi della Scacchiera di Carlo Magno e altri realizzati in quelle stesse botteghe. Del resto l’equipaggiamento di tipo normanno e la presenza di elefanti corrispondono a questa datazione, coincidente col periodo in cui i Normanni erano impegnati nella conquista dell’Italia meridionale.
Si ignora invece chi possa essere stato il committente: “chi c’è dietro questi scacchi?” – si sono chiesti gli studiosi della Biblioteca Nazionale di Francia. “Forse il normanno Roberto il Guiscardo (1015-1085), duca di Puglia, Calabria e Sicilia, uomo litigioso e ambizioso che cercò di ritagliarsi un impero a spese di Bisanzio? Oppure papa Gregorio VII venuto, sotto minaccia, a consacrare la nuova cattedrale di Salerno nell’aprile del 1085?”. Un quesito probabilmente destinato a rimanere senza risposta, così come rimane un mistero l’ingresso di questi pezzi nel Tesoro di Saint-Denis.
Molteplici le ipotesi possibili: potrebbe essere stato l’abate Sugerio ad acquistarli a Salerno di ritorno da un suo pellegrinaggio, spinto dalla curiosità per un gioco ancora poco conosciuto in Occidente; oppure potrebbero essere stati offerti al re Filippo Augusto che, partito per una crociata, si fermò a Salerno nel settembre del 1190, per poi lasciarli in eredità al tesoro di Saint-Denis; oppure donati nel 1271 dal re Filippo III che, portando da Tunisi il corpo del padre san Ludovico, fece tappa anche a Salerno nel suo drammatico viaggio di ritorno. Chiunque abbia fatto da tramite, certo è che per le loro caratteristiche di oggetti cerimoniali non potevano che essere destinati a un tesoro reale o ecclesiastico; una destinazione che li ha visti esposti accanto ad altri oggetti in avorio, materiale considerato pregiato nel Medioevo per la sua incorruttibilità oltre che emblema di potenti energie naturali; in questo caso l’avorio era correlato a una scacchiera che, specchio della società feudale nonché simbolo militare e cortese, era già di per sè ritenuta un segno di potere, in quanto tale accolto anche dalla Chiesa, che pur non mancava di condannare giochi e giocatori.
Nel XVI secolo, con l’inizio del declino della Basilica di Saint-Denis e la tradizionale possibilità per il re di attingere al suo Tesoro, quest’ultimo finì con impoverirsi e diversi oggetti scomparvero dalle sue collezioni. Gli scacchi di Carlo Magno dagli originari 32 pezzi passarono a 30 e infine si ridussero a 16 in concomitanza con la Rivoluzione settecentesca durante la quale i beni del clero furono nazionalizzati. Il 12 novembre 1793, la Convenzione decise di distribuire i tesori di Saint-Denis e della Sainte-Chapelle tra il Museo Centrale (futuro Museo del Louvre) e la Biblioteca Nazionale e, appena un mese dopo, i pezzi degli scacchi entrarono nel Gabinetto delle Medaglie.
Di questi scacchi troviamo una descrizione nel volume Traité élémentaire du jeu des échecs (1863) del conte Barthélemy de Basterot, che li fece raffigurare in alcuni disegni [v. gallery seguente] ravvisando in essi anche una significativa influenza bizantina. “Le nicche nelle quali sono collocati i Re e le Regine – scrive -, i loro archi a pieno centro, il loro ornamento, lo stile generale delle figure, così come il loro costume, tutto porta le tracce di quell’epoca. Un esame attento di questi pezzi ci porta a concludere che essi facevano parte di uno stesso gioco. La Regina che noi andiamo qui a rappresentare [quella collocata nella nicchia senza merlatura – NdR] faceva parte, senza alcun dubbio, dello stesso gioco del Pedone, perché un piccolo fante, del tutto simile a quest’ultimo, si trova riprodotto in cima al padiglione dove è collocata questa Regina. Dei quattro Elefanti, due non hanno che due conducenti, mentre gli altri due ne hanno un terzo collocato sulla testa dell’elefante. Dei quattro cavalieri due portano degli scudi rotondi e dei foderi da sciabola sul lato sinistro; gli altri due mancano di quest’ultimo accessorio e gli scudi sono ovali e appuntiti nella parte inferiore. Le tre restanti Quadrighe corrispondono quasi in tutto; se ne possono tuttavia distinguere due i cui conducenti portano una fascia al braccio sinistro, non visibile nel terzo; ci sembra che queste lievi differenze fossero finalizzate a impedire ai giocatori di confondere i loro pezzi, poiché non siamo riusciti a trovare tracce di [diverso] colore su alcuno di essi. I sei disegni che noi presentiamo in questa occasione riproducono la serie completa di pezzi che compongono un gioco di Scacchi e faranno conoscere questi monumenti molto meglio di una minuziosa descrizione.
La fig. I rappresenta uno dei tre Re (…); egli si trova in un padiglione senza merlature. La parte posteriore di questo padiglione è formata da quattro archi a pieno centro. La parte posteriore del Re che si trova invece nel padiglione merlato, presenta cinque archi sempre a pieno centro; le tende di ciascun lato della nicchia in cui è seduto il Re sono tenute aperte da un paggio. Fig. II: una Regina, anch’essa in un padiglione senza merlature. In alto e su ciascun lato c’è una figura che riproduce in piccolo il Pedone della fig. n. 3. Uno di questi piccoli fanti è rotto, ma l’altro è perfettamente conservato; su ciascun lato del padiglione un’ancella scosta una tenda. La parte posteriore di questo pezzo presenta tre archi a pieno centro, mentre ce ne sono quattro nell’altra Regina. Fig. III: un Pedone, il solo che si sia conservato, rappresentato da un fante che indossa un elmo con nasale conico, vestito di una cotta di maglia e reggente in una mano uno scudo e nell’altra una spada. È difficile capire in base a quale malinteso Hyde abbia potuto affermare che esso porta un moschetto. Fig. IV: un carro, trainato da quattro cavalli, guidato da un cocchiere, mentre tiene le redini con una mano e una frusta con l’altra. Indossa un semplice elmo a calotta. Non c’è dubbio che questo pezzo rappresenti la Torre (…). Fig. V: un cavaliere che regge in mano una spada, indossa una cotta di maglia, un elmo, uno scudo appuntito nella parte inferiore, dei larghi calzoni, tenendo i piedi appoggiati su staffe e muniti di acuminati speroni. Fig. VI: un elefante avente due conducenti sul dorso; essi sono seduti su una ricca bardatura ma senza piattaforma; queste figure, cosa singolare, sono nude sino alla cintola e tengono in mano un bastone uncinato. Questo pezzo è l’Alfiere dei Persiani.
È possibile dubitare che questi pezzi siano delle opere Bizantine; ma a quale epoca bisogna allora rapportarli? Mentre sir F. Madden e il dottor Forbes pensano che occorra farli risalire al nono secolo, M. Chabouillet li fa risalire all’XI° secolo; soltanto un esame minuzioso del costume e delle armi che portano queste figure potrebbe gettare qualche luce sulla questione”. A questo punto Basterot, dal canto suo erroneamente convinto che questi pezzi fossero davvero del tempo di Carlo Magno secondo la leggenda sopra citata, riferisce tuttavia come i signori de Mersan, Pottier e Chabouillet abbiano ravvisato in questi costumi e in queste armi una completa analogia con quelli dei cavalieri Normanni le cui forme si sono fedelmente conservate nell’Arazzo di Bayeux (foto seguente); tesi avvalorata dagli studi successivi e integrata con le indicazioni di provenienza dal territorio dell’Italia meridionale sottoposto al dominio normanno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA