di Kasia Burney Gargiulo
Quello che stiamo per raccontarvi è l’allucinante resoconto dell’ennesimo gravissimo attentato al patrimonio culturale italiano che si è consumato sotto gli occhi accecati dall’indifferenza delle autorità competenti nel periodo che va dal 2009 ad oggi. Siamo nell’area suburbana dell’antica Pompei, il parco archeologico più famoso del mondo, e ormai da diverso tempo anche quello più vilipeso, grazie alla noncuranza, all’ignoranza, alla cecità, all’inaffidabilità, all’idiozia di una classe dirigente che ormai ha perso ogni senso del decoro, per non parlare del rispetto verso la cosa pubblica che in Italia vale ormai meno di una cicca. Ebbene, durante le operazioni di sbancamento del terreno per la realizzazione di un mega-centro commerciale nei pressi di Pompei, sono emersi dal terreno tracce di un’antica officina di epoca romana e numerosi altri reperti ad appena 500 metri dalla celebre Via dei Sepolcri. Quella officina e quei reperti sono purtroppo ormai solo un ricordo, essendo finiti inghiottiti nel cemento dell’enorme complesso commerciale. La cosa più grave e che i costruttori del centro dispongono di tutte le autorizzazioni, rilasciate dalle autorità preposte con una disinvoltura che ha dell’incredibile. In qualsiasi altro luogo, come minimo si sarebbero dovuti bloccare immediatamente i lavori. Invece a Pompei no. Prego, accomodatevi, devastate pure!
L’officina non era l’unico reperto affiorato da quel terreno. Tutta una serie di elementi aveva da tempo fatto ritenere agli studiosi che lì ci fosse un intero quartiere industriale che avrebbe potuto fornire conoscenze finora inedite sulla città e sulle sue attività produttive. Gli archeologi gridano giustamente allo scandalo per l’occasione persa di studiare reperti unici ed eccezionali, come ad es. una fornace, intatta dalle tegole fino al basamento, oppure la strada che portava da Pompei al mare, oppure ancora un grande monumento funebre. Eppure nessuno ha minimamente pensato di bloccare i lavori, consentendo che tutto ciò finisse sotto 8mila metri di supermarket, negozi e fast food, togliendo agli studiosi ogni possibilità di indagine e ai cittadini di ritrovare un altro prezioso pezzo del proprio passato.
Le ruspe sono entrate in azione esattamente in terreni rientranti nel Comune di Torre Annunziata, ad appena un chilometro dall’area dell’antica città di Pompei. Ben cinque sovrintendenti si sono susseguiti dal 2009 ad oggi eppure nessuno di loro si è sognato di bloccare quei lavori, anzi hanno approvato regolarmente le varianti che hanno consentito di portare a termine la costruzione del complesso commerciale. Uno dei dati che più lascia allibiti è che non ha costituito un freno neppure un’interdittiva antimafia della Prefettura di Napoli, all’epoca guidata dall’attuale capo della polizia Pansa, che denunciava rapporti con ambienti camorristi della società che controlla il centro commerciale.
Alcuni archeologi hanno confermato come da diversi documenti risultasse l’esistenza nella zona di un quartiere industriale dell’antica Pompei e si dicono sconcertati per come le segnalazioni delle emergenze archeologiche siano rimaste inascoltate da tutti gli enti responsabili, a partire dalla Sovrintendenza per arrivare al Ministero. Infatti già nel 2007 poco prima dell’inizio dei lavori – racconta la testata La città di Salerno – un gruppo di esperti e di tecnici della Sovrintendenza di Pompei aveva scoperto diversi resti archeologici: magazzini, locali, vie, anfore. Insomma in’intera area definita da qualcuno come la Pompei 2, ossia un quartiere “industriale” alla periferia della celebre cittadina distrutta dal Vesuvio nel 79 d.C. A rincarare la dose di sdegno per l’accaduto è anche l’archeologo Salvatore Ciro Nappo, autore di una delle guide su Pompei più conosciute al mondo, il quale sentito dall’Espresso ha sottolineato come l’importanza archeologica di quell’area fosse appunto nota da tempo e come aver tolto agli studiosi e al mondo un’opportunità conoscitiva di tal fatta è un danno di estrema gravità. Infatti uno scavo scientifico e sistematico del sito – ha spiegato – avrebbe permesso di acquisire nuovi e preziosi dati sull’ancora quasi sconosciuto mondo industriale dell’antica Roma e una miglior comprensione dell’assetto complessivo dell’area pompeiana.