di Rocco Mazzolari
Solo a novembre scorso vi avevamo raccontato le meraviglie di uno dei parchi archeologici più belli d’Italia, con la sua plurimillenaria stratificazione di tracce storiche immerse nello splendido uliveto della Roccelleta di Borgia (Catanzaro): dalla colonia greca di Skylletion, alla città romana di Scolacium, fino ad arrivare ai monumentali resti della chiesa normanna di S. Maria della Roccella. Trentacinque ettari sullo sfondo dell’azzurro orizzonte del Mar Jonio, in un luogo che unisce natura e cultura in modo armonico e suggestivo. Avanzi di strade lastricate, di acquedotti, mausolei e altre strutture sepolcrali, di una basilica, di un impianto termale e di un teatro ricavato sul pendio naturale della collina con la capacità di ospitare circa 5000 spettatori, senza contare la presenza di appositi spazi museali in cui si custodiscono le testimonianze riemerse grazie a lunghi anni di scavo. Un’area che nel tempo ha ospitato mostre di artisti contemporanei di fama internazionale e altre manifestazioni legate al teatro, alla musica e alla danza, imponendosi come uno dei più attivi poli culturali della regione. Ma mentre il Ministero dei Beni Culturali annuncia l’arrivo in Calabria di fondi destinati al recupero di luoghi della cultura e nuovi cambiamenti nella organizzazione delle soprintendenze archeologiche, ecco che tutto il patrimonio della Roccelletta di Borgia è a rischio di chiusura.
A lanciare lo sconcertante allarme, in un’intervista rilasciata oggi a Il Quotidiano del Sud è Tito Macrì, tecnico scientifico del sito, il quale ha reso noto come, andato in pensione uno dei tre custodi del parco e mai sostituito, i due rimasti non sono in grado di garantire la sorveglianza di un’area estremamente vasta oltre che dotata di due musei. Già a dicembre scorso – denuncia Macrì – per diversi giorni non si è potuta garantire la visita del Parco, mentre nel mese in corso si sono già avute sette chiusure pomeridiane. Una realtà assurda iniziata dal 1 dicembre con la cessazione dal servizio del custode non ancora rimpiazzato. E pensare che il parco aveva sempre garantito l’apertura fin dal 1982, ritrovandosi ora a dover combattere con la mancanza delle forze materiali necessarie per sorvegliare, custodire e tenere in vita questa realtà archeologica davvero unica.
Il personale amministrativo – racconta Macrì – ha sempre fornito il massimo della collaborazione per garantire il servizio visite ogni giorno, compresi i festivi che sono le giornate di maggiore afflusso, ed ha persino lavorato di lunedì, notoriamente giorno di chiusura, per permettere l’accesso a visitatori arrivati comunque sul posto, e talora svolgendo anche compiti che non erano di sua stretta competenza. “Ma ora – conclude scorato – con due unità per la sorveglianza, basta che una persona non stia bene perché si creino gravi disagi. Se fosse una situazione normale, il parco e i musei avrebbero bisogno di una decina di persone come addetti ai servizi di vigilanza”.
Questo Parco rappresenta tanto per l’identità e la crescita culturale del territorio, e per lo stesso Macrì che lavora a Scolacium fin dal 1982. Un luogo che egli ha visto crescere dal nulla e che gli pesa molto veder morire in un modo così inglorioso. Il funzionario non risparmia critiche ad un sistema che se da una parte indice concorsi per archeologi e studiosi, dall’altro non garantisce la presenza dei custodi, figure indispensabili “per far entrare” quegli stessi studiosi e tutto il pubblico. Il suo, e quello di tutti, è un appello per la salvaguardia di un bene straordinario che sarebbe da folli lasciar morire.
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