di Kasia Burney Gargiulo
Nell’oscuro limbo in cui è precipitato da qualche decennio il patrimonio culturale italiano, continuano ad addensarsi ombre “grazie” a quel bollettino di guerra che quotidianamente ci informa di nuovi episodi di incuria e di degrado assolutamente indegni di un paese civile. Appena ieri si è appreso che a Bari, nel seminterrato dell’ex convento di Santa Chiara, occupato dallo scorso 11 febbraio da circa duecento immigrati africani con lo status di rifugiati politici, giace in condizioni pietose di abbandono, l’archivio dei disegni storici e dei rilievi della Soprintendenza ai Beni Architettonici. A far esplodere il caso sono state le rivelazioni dell’architetto Emilia Pellegrino, responsabile unico del procedimento per il progetto di restauro di Santa Chiara e la musealizzazione del castello normanno svevo di Bari, sede della stessa Soprintendenza, ad un giornalista dell’edizione locale del quotidiano La Repubblica, sulla quale è comparsa l’incredibile notizia.
Il materiale, composto soprattutto da disegni storici e rilievi architettonici di altissimo valore documentario, era da tempo destinato alla digitalizzazione ma giace sparso sul pavimento del seminterrato, fra umidità, muffe, aerosol marino e anche qualche famelico roditore. Fra i documenti lasciati a marcire, spiega la Pellegrino, ci sono ad es. quelli cartacei relativi al restauro della Cattedrale di Bari avvenuto nella prima metà del Novecento, che sotto il profilo storico e architettonico hanno un valore inestimabile.
Il sopralluogo del giornale che per primo si è occupato del caso, ha rilevato uno stato dell’archivio che va oltre ogni immaginazione. Superato un passaggio ingombro di ponteggi in legno si accede ad un seminterrato il cui accesso è lasciato totalmente alla mercè di chiunque. Il materiale appare lì abbandonato da anni e vetusto risulta anche lo stato di devastazione che coinvolge disegni, faldoni, fotografie storiche, progetti degli interventi su monumenti pugliesi come castelli, chiese, palazzi storici, insediamenti rupestri e ogni altro bene posto sotto l’egida della Soprintendenza nelle province di Bari, Bat e Foggia. Quindi è evidente che non c’è alcun nesso fra la recente occupazione dell’immobile e lo stato dell’archivio.
E’ difficile immaginare a chi possa essere venuta un’idea così insana come quella di accantonare in questo antro oscuro del materiale così importante. Come ha sottolineato anche l’ingegnere Dino Borri – presidente regionale del FAI, sentito da Repubblica in merito alla sconcertante scoperta – è necessario che vengano individuate le responsabilità di questo scempio ed ha auspicato che si tenti subito almeno di salvare il salvabile, sebbene non sia da escludere che l’oggettivo danno subito da molti di questi documenti abbia compromesso la possibilità di futuri restauri per i quali occorre basarsi proprio sui rilievi di ogni precedente intervento, rilievi che fra l’altro hanno elevatissimi costi di esecuzione. Perderli, senza neppure avere la certezza dell’esistenza di originali, è un gravissimo danno economico oltre che storico.
Questo nuovo episodio di degrado è l’ennesima terribile metafora di un Paese che sta perdendo la propria memoria e, con essa, anche la propria identità. Per continuare con quel parallelismo che ci ha fatto paragonare lo stato di troppa parte del nostro patrimonio culturale alle macerie di una guerra in atto contro di esso, abbiamo provocatoriamente scelto come illustrazione di questo articolo non un’immagine del seminterrato barese, ma la foto di una biblioteca scattata in una Beirut devastata dalla guerra. La similitudine è palese, e anzi l’archivio barese è messo peggio del materiale che vedete in questa immagine.
Intanto, lo stato di emergenza impostosi dopo questa scoperta va a sommarsi alla stringata tempistica per il completamento del restauro del complesso di Santa Chiara e per la musealizzazione del Castello Svevo, interventi la cui scadenza è prevista per il 30 giugno 2015 ed il cui eventuale mancato rispetto comporterebbe la perdita di ben 8 milioni di fondi europei.