di Redazione FdS
Mentre Pompei e Ercolano s’adagiano nella morbida luce dell’autunno incipiente, immobili e vibranti di quell’anima imperitura che ha ispirato e continua ad ispirare il mondo, ecco arrivare una notizia che ha dello straordinario. Nel cervello vetrificato di una vittima dell’eruzione che nel 79 d.C. seppellì Pompei, Ercolano e l’intera area vesuviana fino a 20 km di distanza dal vulcano, sono stati individuati dei neuroni integri. I resti appartengono al corpo di un giovane di 20 anni trovato sdraiato a faccia in giù su un letto nel Collegio degli Augustali di Ercolano, sede di un corpo sacerdotale istituito dall’imperatore Tiberio nel 14 d.C. per il culto del Divo Augusto e della Gens Iulia.
Se le antiche città vesuviane ci hanno abituati alla conservazione di resti organici carbonizzati e sepolti dal fango – come pane, fichi, bucce di melograno e chicchi di grano – giunti fino a noi in condizioni sorprendenti e recuperati dagli esperti, difficilmente gli studiosi si sarebbero aspettati un ritrovamento del genere. La scoperta, dovuta ai ricercatori dell’Università Federico II di Napoli, del Cnr, del CEINGE-Biotecnologie Avanzate, delle Università Roma Tre e Statale di Milano e pubblicata sulla rivista Plos One, presenta infatti il carattere della eccezionalità: “Il rinvenimento di tessuto cerebrale in resti umani antichi è un evento insolito – spiega Pier Paolo Petrone, responsabile del Laboratorio di Osteobiologia Umana e Antropologia Forense presso la sezione dipartimentale di Medicina Legale dell’Università di Napoli Federico II – ma ciò che è estremamente raro è la preservazione integrale di strutture neuronali di un sistema nervoso centrale di 2000 anni fa, nel nostro caso ad una risoluzione senza precedenti”.
Petrone ha coordinato il team di ricerca del quale hanno fatto parte geologi, archeologi, biologi, medici legali, neurogenetisti e matematici, impegnati in questo studio fino al risultato finale raggiunto “nonostante le limitazioni imposte dal Covid-19”.
L’eruzione che causò la devastazione dell’area vesuviana e la morte di migliaia di abitanti, seppellendo in poche ore la città di Ercolano, ha senza dubbio permesso anche la conservazione di resti biologici umani, come gli scheletri, ma la grande novità – aggiunge Petrone – è che “questo studio mostra come il processo di vetrificazione indotto dall’eruzione, unico nel suo genere, sia riuscito a congelare persino le strutture cellulari del sistema nervoso centrale di questa vittima, preservandole intatte fino ad oggi”.
Lo studio dei resti di cervello vetrificato – la cui scoperta era stata già riferita agli inizi di quest’anno sul Journal of the American Medical Association (JAMA) – ha consentito infatti di rettificare le iniziali ipotesi degli studiosi che, avendo analizzato vari resti delle vittime di Ercolano, supponevano che i tessuti corporei si fossero vaporizzati nell’impatto dei corpi col flusso piroclastico ad altissime temperature.
La scoperta – spiega Guido Giordano, ordinario di Vulcanologia presso il Dipartimento di Scienze presso l’Università Roma Tre – è il risultato dell’utilizzo delle tecniche più avanzate e innovative di microscopia elettronica del Dipartimento di Scienze dell’ateneo romano, dove è stato possibile rilevare come le strutture neuronali si siano perfettamente preservate grazie alla conversione del tessuto umano in vetro, indice del rapido raffreddamento delle ceneri vulcaniche roventi che investirono l’area vesuviana nelle prime fasi dell’eruzione.
Intanto proseguono le indagini sui resti delle vittime dell’eruzione. Il Parco archeologico di Ercolano ha inserito tra i suoi prossimi studi le indagini bioantropologiche e vulcanologiche per la rilevanza che possono avere non solo in ambito strettamente scientifico, ma anche nel campo degli studi storici e della capacità di controllare catastrofi come l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
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