di Kasia Burney Gargiulo
Se c’è un’immagine dell’antica Pompei che forse più di altre ha il potere di restituirci con incredibile forza tutto il dramma di quella terribile giornata del 79 d.C., questa è l’immagine dell’uomo schiacciato da un masso di oltre 300 chili scagliatogli addosso dal potente flusso piroclastico che, trascinando con sé detriti di ogni genere, lo ha inseguito nel suo disperato tentativo di fuga. Gli archeologici impegnati nel cantiere dei nuovi scavi della Regio V lo hanno ritrovato così, disteso in drammatica posizione col torace schiacciato dal grosso blocco di pietra. E’ la prima vittima umana ritrovata nel cantiere ed è emersa all’incrocio tra il Vicolo delle Nozze d’Argento e il Vicolo dei Balconi, di recente scoperta, che protende verso via di Nola. Siamo nell’area dei lavori di messa in sicurezza dei fronti di scavo interni alla città antica, previsto dal Grande Progetto Pompei. Le indagini archeologiche in corso stanno interessando l’area del cosiddetto “Cuneo”, posta tra la Casa delle Nozze d’Argento e la casa di Marco Lucrezio Frontone [nel video seguente le immagini del ritrovamento].
Dalle prime osservazioni eseguite dall’antropologa Valeria Amoretti, lo scheletro apparterrebbe a un individuo di circa 35 anni sopravvissuto alle prime fasi dell’eruzione vulcanica e poi avventuratosi in cerca di salvezza lungo il vicolo ormai invaso dalla spessa coltre di lapilli. Il corpo è stato infatti rinvenuto all’altezza del primo piano dell’edificio adiacente, ovvero al di sopra dello strato di lapilli, dove l’uomo è stato investito dalla fitta e densa nube piroclastica che lo ha sbalzato all’indietro portando con sé anche l’imponente blocco in pietra (forse un pezzo di stipite) che lo ha colpito nella porzione superiore, schiacciando la parte alta del torace e il capo che, ancora non individuati, giacciono a quota più bassa rispetto agli arti inferiori, probabilmente sotto il blocco litico. L’eventuale ritrovamento del cranio potrebbe consentire di ricostruire la fisionomia dell’uomo. A favorirne la terribile fine è probabile sia stata una disabilità alle gambe che potrebbe averne rallentato la deambulazione. Gli studiosi hanno infatti rilevato la presenza di lesioni a livello delle tibie che segnalano un’infezione ossea in corso e tale forse da impedire all’uomo di fuggire già ai primi drammatici segnali che precedettero l’eruzione stessa.
Proseguendo gli scavi nello spazio intorno allo scheletro, sono emerse 20 monete d’argento e 2 in bronzo contenute in un piccolo sacchetto che l’individuo stringeva al petto. Tre monete sono infatti emerse fra le costole del torace, mentre dopo la rimozione dei resti della vittima ora al Laboratorio di ricerche applicate del Parco archeologico di Pompei, è saltato fuori il resto del tesoretto.Le monete sono allo studio dei numismatici che ne stanno definendo taglio e valore, mentre i resti decomposti della piccola borsa saranno analizzati in laboratorio per definirne il materiale. A un primo esame sembrerebbe trattarsi di 20 denari d’argento e due assi in bronzo per un valore nominale di ottanta sesterzi e mezzo, una quantità di denaro che a quel tempo avrebbe potuto garantire il mantenimento di una famiglia di tre persone per 14, 16 giorni. Le monete sono di varia cronologia: delle 15 finora esaminate, la maggior parte sono risultate repubblicane, a partire dalla metà del II secolo a.C. Una delle monete repubblicane più tarde è un denario legionario di Marco Antonio, comune a Pompei, con l’indicazione della XXI Legio. Tra le poche monete imperiali individuate, compaiono un probabile denario di Ottaviano Augusto e due denari di Vespasiano.
“Questo ritrovamento eccezionale – dichiara Massimo Osanna, Direttore Generale del Parco Archeologico di Pompei – rimanda al caso analogo di uno scheletro rinvenuto da Amedeo Maiuri nella casa del Fabbro e oggetto di recente studio. Si tratta dei resti di un individuo claudicante, anche lui probabilmente impedito nella fuga dalle difficoltà motorie e lasciato all’epoca in esposizione in situ. Al di là dell’impatto emotivo di queste scoperte – ha aggiunto – la possibilità di comparare questi rinvenimenti, confrontare le patologie e gli stili di vita, le dinamiche di fuga dall’eruzione, ma soprattutto di indagarli con strumenti e professionalità sempre più specifiche e presenti sul campo, contribuiscono ad un racconto sempre più preciso della storia e della civiltà dell’epoca, che è alla base della ricerca archeologica.”
Per il corpo di quest’uomo, a differenza di altri casi, non è stato possibile ricavare il calco in gesso poiché nei secoli la terra gli è in parte collassata addosso, riempiendo la cavità che normalmente rimane intorno alle ossa e che permette appunto di ottenere quelle impressionanti sagome nate dalla felice intuizione dell’archeologo ottocentesco Giuseppe Fiorelli.
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