di Redazione FdS
Un gruppo di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e un team di icnologi dell’Università Sapienza di Roma, hanno localizzato in Abruzzo le prime impronte di dinosauro, fra cui una appartenuta al più grande teropode documentato, fino a oggi, in Italia (i teropodi erano dinosauri bipedi prevalentemente carnivori). I risultati dello studio compiuto sul territorio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Cretaceous Research (Elsevier). La scoperta si aggiunge al ricco panorama nazionale di oltre trenta siti con decine di migliaia di tracce lasciate da questi animali: il primo fossile di dinosauro mai scoperto in Italia è un cucciolo di terapode Scipionyx samniticus ritrovato in Campania nel 1981 e noto col nome di Ciro; di grande rilievo anche i siti di Cava Pontrelli (già De Lucia), ad Altamura (Bari) – che con oltre 30 mila orme di dinosauri erbivori del periodo geologico Cretaceo Superiore rappresenta il sito paleontologico d’Italia e d’Europa più significativo per densità di impronte fossili e, ad oggi, il secondo al mondo – e quello, più recentemente rinvenuto, di Lama Balice (Bari), sito del Cretaceo con circa 10 mila impronte. Le orme ritrovate in Abruzzo hanno tra i 125 e i 113 milioni di anni e risalgono al Cretaceo Inferiore (Aptiano): fra esse, spicca per dimensioni (135 cm) un’impronta lasciata dal più grande dinosauro bipede che sia mai stato documentato in Italia; considerata la grandezza dell’orma, deve essere appartenuta ad uno dei teropodi più grandi, come ad esempio lo Spinosauro, il Carcharodontosauro, il Gigantosauro o il più popolare Tirannosauro.
“Le tracce – afferma Fabio Speranza, ricercatore dell’INGV – sono osservabili su una superficie calcarea, quasi verticale, situata a oltre 1900 m di quota sul Monte Cagno. La superficie a orme è raggiungibile solo in assenza di neve, quindi essenzialmente nei mesi estivi e autunnali, dopo una escursione di circa due ore, partendo dal paese di Rocca di Cambio in Provincia de L’Aquila”. La maggior parte delle impronte è riconducibile a uno o più teropodi che si aggiravano su terreni fangosi di debole consistenza. Altre orme, invece, conservate al centro dell’odierna superficie calcarea, sono state impresse da un teropode accucciato.
“Le impronte, scoperte casualmente nell’estate 2006 – spiega Speranza – si trovano su una superficie calcarea di età Cretaceo inferiore e fecero subito pensare a impronte di dinosauri. Ma solo nell’estate 2015, grazie agli sviluppi tecnologici e alla collaborazione con esperti di impronte dell’Università La Sapienza, è stato possibile dare un nuovo impulso alle ricerche. Un drone, in grado di trasportare una macchina fotografica digitale e l’uso dell’innovativa tecnica della fotogrammetria digitale, hanno consentito di ricostruire un modello tridimensionale accurato a partire da semplici immagini fotografiche”. La tecnica descritta dallo studioso ha avuto origine in ambiente cinematografico (per il celebre film Jurassic Park, 1993) ed ha consentito lo studio di dettaglio delle impronte sulla parete subverticale, riportandole in ambiente virtuale facilmente analizzabile al computer. Per la datazione è stato invece utile il prelievo di campioni delle impronte e degli strati immediatamente soprastanti e sottostanti.
Lo studio, ormai pluridecennale, delle impronte di dinosauri in Italia, ha consentito di aggiornare la conoscenza studiate della geografia dell’area mediterranea nel periodo Mesozoico (tra i 200 e i 65 milioni di anni fa). “Contrariamente a quanto ritenuto in passato – spiega Paolo Citton dell’Università Sapienza di Roma – tali orme testimoniano scenari di ripetute migrazioni di dinosauri dal continente Gondwana (che riuniva Africa, Sud America, Antartide, India e Australia) alle piattaforme carbonatiche dell’area mediterranea, un ambiente simile alle Bahamas di oggi. Passaggi che, come hanno dimostrato gli studi, furono resi possibili da variazioni del livello marino, processi a scala globale che hanno luogo in tempi molto lunghi sul nostro Pianeta”. Si tratta infatti di cambiamenti impercettibili sul breve periodo, ma in grado di produrre localmente la emersione di terre creando nuovi punti di collegamento, destinati peraltro a sparizione in occasione di una successiva risalita del livello marino. “Le nuove orme – conclude Citton – potrebbero rivelarsi particolarmente preziose per le informazioni aggiuntive sulla composizione conosciuta della fauna dinosauriana italiana, con ricadute importanti anche sull’ecologia e sulle rotte seguite da questi animali estinti”.
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