di Redazione FdS
Se l’iscrizione su bronzo del V sec. a.C. ricomposta a Kaulonia (Monasterace) nel 2013, risulta essere ad oggi il testo più lungo in alfabeto acheo mai trovato in Magna Grecia, la recente scoperta a Cortale – piccolo borgo della Calabria centrale in provincia di Catanzaro – di un blocco ovoidale in granito locale inciso in lettere achee, risulterebbe (il condizionale è d’obbligo) essere invece il testo più antico mai rinvenuto nel Sud Italia di influenza greca (Sicilia compresa). Risalirebbe infatti agli inizi del VII sec. a.C. ed è tracciato su quello che parrebbe essere un betilo, ossia una di quelle pietre a cui gli antichi attribuivano una funzione sacra in quanto considerate dimora di una divinità o identificate con la divinità stessa (il termine, presente sia nel greco che nel latino, proviene dall’ebraico Beith-El che significa “Casa di Dio”). A ritrovarlo, nel riempimento di un vaso oleario riemerso nell’area della locale ex abbazia distrutta dal terremoto del 1783, è stato Mario Pagano, Soprintendente per le Province di Catanzaro, Cosenza e Crotone. Il reperto si trova ora a Cosenza, depositato presso Palazzo Valdesi, sede della Soprintendenza, per ulteriori approfondimenti.
“La forma di betilo – ha affermato Pagano – è di per sé testimonianza di notevole antichità in quanto elemento di chiaro influsso fenicio. Proprio del mondo acheo infatti conosciamo un santuario con culto di tipo betilico rinvenuto a Metaponto e risalente alla prima metà del VII secolo a.C. e che sappiamo dedicato ad Apollo Liceo grazie al rinvenimento durante gli scavi negli anni ‘60 di un’iscrizione su un parallelepipedo di pietra”. Il betilo di Cortale, che potrebbe non essere l’unico in zona, ad una prima lettura sembrerebbe contenere una dedica a Ercole Boario, figura mitica associata al culto di Astarte e “la forma del betilo – ha aggiunto Pagano – è elemento che ben si adatta a questo culto collegandosi così anche al famoso mito dell’impresa condotta da Ercole che portò i buoi di Gerione dalla Spagna sino alla Grecia passando proprio dalle coste della Calabria e della Sicilia”.
E’ probabile che il luogo di culto da cui proviene fosse un crocevia e uno snodo della transumanza e della viabilità nella zona dell’istmo lametino. A proposito di quest’area l’archeologo ha aggiunto che “se normalmente si pensa fosse Crotone ad avere il controllo dell’istmo in epoca molto antica, ci sono tuttavia elementi che potrebbero far pensare a una egemonia di Sibari, ma questa è una teoria da approfondire”.
Il manufatto presenta alcuni segni impressi sulla roccia coperti da una patina rossiccia e “proprio la forma delle lettere e il loro uso – ha concluso il Soprintendente – ne attesta l’appartenenza a epoca achea: né in Magna Grecia, né in Sicilia si avevano iscrizioni lapidee così antiche. Quella che sinora si riteneva fosse la più antica era la tavoletta di bronzo rinvenuta durante gli scavi di Francavilla Marittima risalente intorno al 600 a.C.”
Ad ogni modo, la parola definitiva non può che spettare a un epigrafista, in quanto tale specializzato nell’analisi e decifrazione di tale tipo di iscrizioni. E proprio su questo punto è intervenuta nelle scorse ore Margherita Corrado, nota archeologa crotonese e senatrice della Repubblica, la quale in una nota stampa, ha espressamente invitato alla cautela e alla necessità che il reperto venga sottoposto all’attento esame di uno o più specialisti di iscrizioni antiche; ha pertanto richiesto l’intervento urgente del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali affinché si faccia chiarezza sulla autenticità del reperto, per “non mettere a rischio la credibilità del Dicastero e la dignità della ricerca archeologica in Calabria” a fronte delle diffuse perplessità che – spiega la studiosa – in queste ore stanno dando adito a “un intollerabile chiacchiericcio” sottotraccia negli ambienti accademici e non, molto critici verso l’enfasi con cui il ritrovamento è stato comunicato dalla locale Soprintendenza prima ancora di avere certezza sulla reale natura e origine del reperto.
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