“Passano spesso parecchi anni senza che la pianta fiorisca ed allora la sua vita è puramente sotterranea. Poi tutto d’un tratto, in un’estate calda, quasi di sorpresa ed in poco tempo, spunta il fusto aereo, rigonfio in basso, carnoso e opalescente, sfumato da un lato di colore viola.”
Michele Guadagno, 1910
di Domenico Puntillo*
Uno strano fantasma si aggira nei boschi del Parco Nazionale della Sila: l’Epipogium aphyllum Sw. L’Orchidea è stata scoperta, forse meglio dire scovata (il verbo è usato in modo appropriato), nel territorio del Parco Nazionale della Sila, nella foresta regionale di Lardone, in un sito che consta di una cinquantina di individui e che quindi va considerato una delle stazioni più numerose.
Questo diadema della flora calabrese è chiamata Orchidea fantasma perché ha un comportamento oltremodo bizzarro: può scomparire nel luogo di ritrovamento per molti anni facendo vita sotterranea per riapparire inaspettatamente con la sua elegante fioritura. Secondo Leake (1994) la pianta può scomparire anche per 30 anni. Quindi è sicuramente “una delle specie più rare e instabili” (Grünanger, 2001). Il motivo è da ricercarsi nella sua stranezza fiorale: la cleistogamia (riproduzione per autoimpollinazione senza l’apertura dei fiori). Si aggiunga che questa autoimpollinazione può essere anche ipogea (criptocleistogamia) allora si capisce come per anni rimanga sotterrata senza riemergere e il suo apparato radicale, costituito da rizomi coralloidi e da lunghi stoloni che recano numerosi bulbilli, le consentono un ulteriore modo di propagazione: quella vegetativa.
La pianta,priva di foglie (afilla) da cui l’epiteto aphyllum, è costituita da uno stelo che reca una spiga fiorale. La fioritura è appariscente e i suoi feromoni attirano diversi Imenotteri che ne favoriscono l’impollinazione e quindi la produzione dei semi nell’ovario.
|
E’ qui è necessaria una digressione: tutte le orchidee possiedono, quando li producono, numerosissimi semi (fino a 30.000) piccolissimi (all’incirca 50 micron) privi di endosperma, tessuto che avvolge l’embrione nell’interno dei semi di molte piante provviste di fiori. E’ un materiale di riserva, composto da amido e a volte anche di oli e proteine, che fornisce la nutrizione all’embrione che si sta sviluppando. Mancando l’endosperma i semi non possono germinare poiché sia le future radichette che le prime foglioline non sono sostenute dell’apporto necessario che sono appunto le sostanze appena accennate. La germinazione, però, è garantita dalla presenza nei semi, di funghi endosimbionti (gruppo Rhizoctonia), funghi che non formano un gruppo monofiletico ma sono rappresentati da vari generi quali Ceratobasidium, Tulasnella e Sebacina. La simbiosi è di tipo endotrofico: le ife fungine penetrando nelle cellule dell’ospite svolgono un scambio più o meno bilanciato di sostanze nutritive. Questi funghi stabiliscono un rapporto temporaneo con i semi delle Orchidee : partendo dalla germinazione del seme termina con la formazione di un abbozzo di tubero. Il fungo cede al seme quelle sostanze necessarie alla formazione di questo abbozzo, ma quando il micelio tende a svilupparsi ulteriormente all’interno del tubero ,il processo viene impedito mediante l’emissione di sostanze fungicide antagonistiche.
Tutte le orchidee, che nel globo sono rappresentate da 24.000 specie circa, hanno bisogno di questi funghi nella loro fase iniziale di crescita. Una volta diventate autonome continuano a svilupparsi, come tutte le altre piante, mediante la fotosintesi clorofilliana. Tuttavia ve ne sono alcune che non diventano, per tutta loro vita, mai autonome poiché sono sprovviste di quel grande laboratorio dove si svolge la fotosintesi clorofilliana. Allora alcune Orchidee (Epipogium aphyllum, Corallorhiza trifida) hanno escogitato una via trofica diversa per poter crescere e completare così il loro ciclo vitale. Nel nostro caso l’Epipogium ha scelto una via trofica, come poche altre Orchidee italiane, per potersi nutrire: i rizomi sono associati a dei funghi simbionti (spesso Basidiomiceti del genere Inocybe ma anche dei generi Hebeloma, Xerocomus, Lactarius e Thelephora che a loro volta sono associati in simbiosi micorrizica (dal greco mycos = fungo e rhiza = radice) con delle piante di alto fusto (per es. il Faggio = Fagus sylvatica). Si aggiunga che le piante arboree possono anche possedere Ascomiceti endofiti, che verosimilmente aiutano la pianta a stabilire la simbiosi micorrizica di basidiomiceti nella pianta (Melanie Roy et al., 1994). Con questa doppia (quadrupla) simbiosi (albero-Ascomiceti endofiti-Basidiomiceti ectomicorrizici-Orchidea) i nutrienti, prodotti dalla pianta attraverso la fotosintesi, passano prima al fungo (Inocybe o altri basidiomiceti) e successivamente all’Orchidea (micoeterotrofia). Ma c’è di più. Ancora un’altra simbiosi: gli organismi coinvolti nella vita di questo fantasma sono molti.
I motivi per cui questa rarissima orchidea scompare per poi rifiorire dopo alcuni anni sono ancora parzialmente sconosciuti. E’ probabile che vari fattori abiotici incidano sulla sua fenologia: temperatura, umidità, luce possono essere fattori determinanti per l’emersione dal suolo.
La rarità di questa stupenda orchidea ne sconsiglia l’indicazione puntuale dei siti di fioritura per poter permettere la sua conservazione ed eventualmente anche la sua espansione.
Bibliografia:
– Guadagno Michele, L’Epipogium aphyllum (Schm.) Sw. nell’Italia meridionale in Boll. R. Orto Botanico della Regia Università di Napoli. T. II: 521-523, 1910
– P. Grünanger, Orchidacee d’Italia, in “Quad. Bot. Ambientale Appl.” n. 11 (2000), Palermo 2001, pp. 74 s.
– Leake JR, The biology of myco-heterotrophic (‘saprophytic’) plants, in New Phytologist, 1994;127:171–216.
– Melanie Roy, Takahiro Yagame, Masahide Yamato, Koji Iwase, Christine Heinz, Antonella Faccio, Paola Bonfante & Marc-Andre Selosse, Ectomycorrhizal Inocybe species associate with the mycoheterotrophic orchid Epipogium aphyllum but not its asexual propagules, Annals of Botany 104 (3): 595–610, 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
*Domenico Puntillo, calabrese, è nato il 26 settembre 1950 a Rende (Cosenza). Libero ricercatore presso il Museo di Storia Naturale della Calabria e l’Orto Botanico dell’UNICAL, ha negli anni approfondito le proprie conoscenze naturalistiche attraverso le scorribande giornaliere sui monti, nei campi, nelle assolate e pietrose fiumare, nelle sterpaglie fino ai calanghi argillosi dello Jonio osservando, scrutando, esaminando e annotando ciò che non conosceva. Una locuzione in latino del famoso Linneo recita: “nomina si nescis perit et cognitio rerum” (Se non conosci i nomi, viene a mancare anche la conoscenza delle cose). Forse questa è la motivazione che lo ha spinto ad interessarsi degli esseri viventi: dar loro un nome. Perché dare un nome è un po’ come farli esistere. Per questo motivo da un interesse iniziale sull’uso popolare delle piante officinali (medicinali, da profumo, aromatiche) è passato al mondo delle Briofite (muschi ed epatiche) per poi approdare ad altre forme scartate di vita: i licheni, senza mai dimenticare, però, altri settori naturalistici: Diatomee, macroinvertebrati acquatici, ragni, funghi ecc. Ecco perché il suo curriculum consta di oltre 130 lavori che coprono questi settori. Esso comprende una monografia sulle Orchidee di Calabria scritta insieme alla Prof. Liliana Bernardo dell’Unical, una monografia sui Licheni di Calabria, una monografia sui Licheni a Spillo pubblicata recentemente a cura del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare scritta insieme alla Dott. Sonia Ravera e numerosi saggi comparsi su libri dedicati alla natura.
FIRMA PER SOSTENERE LA CANDIDATURA DELLA SILA A PATRIMONIO DELL’UMANITA’ UNESCO