di Enzo Garofalo
Qualcuno una volta ha scritto che perdere il valore della memoria significa chiudersi in un tempo sospeso in un eterno presente, un tempo che non ha futuro proprio perché non possiede un passato; significa perdere la propria identità svendendo ad altri la possibilità di scrivere la nostra storia o, peggio ancora, di riscriverla a loro piacimento. Abdicare al privilegio di ricostruire le proprie radici storiche – quelle più remote – è quanto sta accadendo alla città di Bari e a quelle istituzioni che a vari livelli ne rappresentano gli interessi territoriali, “grazie” allo scempio avvenuto alle porte della città, lungo la via S. Giorgio Martire, dov’è in corso di costruzione da oltre un anno il raddoppio ferroviario della linea Bari-Taranto. Qui nei giorni scorsi sono emersi i resti di un villaggio ipogeo altomedievale le cui tracce erano state da tempo segnalate dall’Associazione Ecomuseo del Nord Barese. Alcuni suoi membri, profondi conoscitori dell’area, avevano infatti raccolto una molteplicità di indizi dati dalla ricca presenza di ipogei in tutto il territorio che circonda la grande “trincea” destinata al nuovo asse ferroviario, segni evidenti di un insediamento vasto e ramificato. Eppure ci sono volute denunce e polemiche perché si arrivasse a considerare l’ipotesi che forse quel cantiere ferroviario è stato aperto nel luogo meno idoneo, andando a tranciare di netto un antico complesso ipogeo, oltre ad aver prodotto il taglio di numerosissimi ulivi.
Del caso ci siamo già occupati a febbraio dello scorso anno, presenziando all’incontro fra i responsabili dell’Italferr (titolare dei lavori), due funzionarie delle Soprintendenze pugliesi (archeologica e architettonico-paesaggistica) e i rappresentanti della Associazione Ecomuseo del Nord Barese, nonchè scattando una serie di fotografie dalle quali già si evinceva chiaramente la presenza di manufatti sotterranei: a cominciare da una rampa a gradini discendente nelle viscere della terra, su uno dei margini esterni del cantiere, fino ad un vero e proprio ipogeo inglobato nel seminterrato di una adiacente villetta moderna, per non parlare dei numerosi accenni di cavità chiaramente visibili nella sezione del terreno spianato dalle ruspe e delle decine di ipogei tranciati dall’antico e poco distante tracciato ferroviario costruito nel 1860 quando non esistevano norme di tutela né alcuna sensibilità in tema di conservazione dei beni culturali (v. photo gallery in basso). Il sopralluogo del 2014 – complice anche la denuncia già presentata dalla citata Associazione alla Procura della Repubblica – ebbe l’effetto di bloccare i lavori in prossimità di un punto non ancora aggredito dalle ruspe perchè luogo di passaggio di una stradina che conduce alla sponda opposta del cantiere dove si trovano alcuni caseggiati e un centralina della Telecom. E’ stato così disposto uno scavo archeologico che finalmente ha rivelato in modo incontrovertibile la presenza del complesso ipogeo.
E’ evidente che tutta questa storia è partita con il piede sbagliato. A cominciare dalle originarie autorizzazioni ai lavori concesse senza problemi in una zona già in passato oggetto di studio da parte dell’Università di Bari e nota per le sue chiese rurali, per le numerose masserie e appunto per gli ipogei. Ora il danno è fatto: a monte e a valle dello scavo archeologico il tracciato ferroviario è pressochè completato e c’è il plausibile timore che i resti del villaggio appena scoperto saranno spazzati via una volta terminati lo studio del sito e i relativi rilievi. Si dice convinto che tutto andrà perduto l’architetto Eugenio Lombardi, dell’Associazione Ecomuseo del Nord Barese: “non c’è alcun modo, ormai, di effettuare deviazioni di sorta per la linea ferroviaria. Consideri che a monte stanno ormai armando il percorso con le paratie in calcestruzzo e a sud si preparano alla stessa operazione. Non c’è alcun segnale che indichi altri percorsi. La trincea è praticamente conclusa. Più a monte ancora hanno già attraversato anche due lame, naturali vie di deflusso delle acque, non calcolando quello che potrebbe accadere in caso di alluvione…”.
FORSE L’ANTICO VILLAGGIO DI LUCIGNANO
Circa l’identità del luogo, si ipotizza possa trattarsi dell’antico villaggio di Lucignano di cui si sono progressivamente perse le tracce e le cui origini rimanderebbero all’VIII secolo dopo Cristo. Se ne parla in alcuni testi di Raffaele Ruta e Giosuè Musca e la sua esistenza è da sempre ammantata di leggenda. Un mito che potrebbe forse prendere corpo proprio grazie a questo ritrovamento. Dallo scavo sono emersi spazi che sembrano riferirsi non solo a luoghi di culto – forse legati ai flussi di monaci orientali riparati nel Sud Italia sulla scia delle lotte iconoclaste – ma anche ad abitazioni civili di un insediamento che, considerate le già numerose tracce ipogee dei dintorni, doveva essere molto vasto. Insomma una struttura grande ed organizzata che sembrerebbe mostrare analogie con certi siti del Medio Oriente. “L’area – hanno dichiarato gli attivisti dell’Associazione Ecomuseo – è conosciuta da secoli come territorio abitato, grazie alla presenza di numerose lame che ne favorivano il popolamento. La zona era battuta da strade lungo le quali vi erano chiese, monasteri e ipogei. Ecco perchè, già in passato, avevamo chiesto più volte l’intervento della Soprintendenza che ora sta finalmente effettuando le verifiche archeologiche”.
“Si tenga conto – aggiunge l’architetto Lombardi – che il passaggio in quest’area era molto importante, forse il più importante in assoluto. C’era già stato il transito della via romana Minucia, collegata alla Traiana, strade percorse dal poeta lucano Orazio nel suo celebre viaggio da Roma verso Brindisi. Poi l’asse dell’odierna Strada San Giorgio, per la vicinanza con l’acqua, ha catturato l’attenzione di gruppi monastici.”
Che si tratti dei resti dell’antico e leggendario Casale di Lucignano si dice convinto in particolare Nicola De Toma, membro della citata Associazione, secondo il quale l’identità del luogo si evincerebbe “dagli studi fatti sulla non lontana masseria Madia Diana, costruita adiacente ad un ipogeo che, molto probabilmente, si diramava verso Modugno e lo Stadio nuovo. Nella stessa zona esistono infatti altri ipogei già scoperti o ancora da scoprire, oltre a quelli già distrutti dai moderni insediamenti produttivi e artigianali e dal vecchio tracciato ferroviario costruito nel 1860 in un’epoca in cui non vi erano leggi che tutelassero il patrimonio storico culturale. Ora – conclude De Toma – nonostante le leggi, si riescono ad effettuare lavori che vanno a compromettere quanto resta della nostra storia distruggendo testimonianze di notevole importanza”.
Per avere dati più certi non resta che attendere gli esiti dei rilievi archeologici e auspicare che al di là dell’amaro destino cui sembra purtroppo votato il sito a causa della ferrovia, ci sia la volontà e soprattutto la sensibilità di condurre ulteriori indagini nell’area circostante per portare alla luce e salvaguardare eventuali altri insediamenti sotterranei, oltre al ricco patrimonio di masserie e chiese rurali di cui è costellata l’intera zona. Un obiettivo tanto più auspicabile dal momento che il Comune di Bari lo scorso settembre ha annunciato la prossima costituzione di un “Parco degli Ipogei” con il supporto dell’Autorità di Bacino della Regione Puglia: a tal proposito ha infatti dato il via all’indagine geologica dell’Ipogeo di Santa Candida, una delle più grandi basiliche rupestri pugliesi di epoca medievale situata lungo il fianco est di Lama Picone, a breve distanza dalla tangenziale cittadina, indagine annunciata quale primo passo di un più ampio progetto di valorizzazione dei complessi ipogei presenti sul territorio barese.
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