Si trovano nel Parco Nazionale del Pollino, hanno oltre 620 anni e la loro scoperta ha permesso di candidare la faggeta vetusta del Pollinello a Patrimonio dell’Umanità UNESCO
di Redazione FdS
Li hanno identificati in Calabria in una faggeta del Pollinello, sperone del Monte Pollino raggiungibile attraversando splendidi altipiani con plurisecolari esemplari di pino loricato e antichi boschi di faggio popolati da vari animali come il picchio nero, lo scoiattolo e rare specie di insetti, fino ad approdare su un costone roccioso da cui la vista spazia verso i Monti dell’Orsomarso, la Sila, il Mar Jonio e centri abitati come Morano Calabro e Castrovillari ubicati nel versante calabrese del Parco Nazionale del Pollino. Parliamo di due esemplari di faggio (Fagus sylvatica) che, studiati con il metodo dendrocronologico, ossia basato sulla misurazione degli anelli di accrescimento, sono risultati avere un’età di oltre 620 anni, attestandosi pertanto come i faggi più antichi d’Europa. La scoperta è la tappa importante di un percorso di tutela più generale che nel 2017 ha già visto includere nel Patrimonio UNESCO le faggete vetuste d’Italia (fra cui troviamo anche quella di Cozzo Ferriero, nel versante lucano del Parco del Pollino) e identificare nel grande parco situato fra Calabria e Basilicata l’albero più antico d’Europa scientificamente datato, ossia il pino loricato Italus, così chiamato in onore del mitico re degli Enotri. Ai due patriarchi rinvenuti di recente sono invece stati dati i nomi di Michele e Norman, in memoria del botanico Michele Tenore e del viaggiatore e scrittore britannico Norman Douglas che, rispettivamente, nell’Ottocento e ai primi del Novecento descrissero le meravigliose foreste del Pollino dando risalto alla naturalità diffusa degli ecosistemi. Naturalità che nella faggeta del Pollinello è riuscita a conservarsi in quanto appena sfiorata dal consumo forestale del secolo scorso, per cui qui non è difficile imbattersi in alberi che completano il proprio ciclo vitale, dalla nascita alla morte, secondo i ritmi inalterati della natura.
La scoperta dei due esemplari di faggio straordinariamente longevi – che ha permesso alla faggeta vetusta del Pollinello di essere candidata a Patrimonio dell’Umanità Unesco per le alte caratteristiche di naturalità e per i caratteri ecologici unici di foresta decidua in contatto con le pinete oromediterranee di pino loricato – si deve a un gruppo di studiosi composto da Gianluca Piovesan, Franco Biondi, Michele Baliva, Giuseppe De Vivo, Vittoria Marchianò, Aldo Schettino e Alfredo Di Filippo, i quali sono autori dello studio pubblicato a fine maggio scorso sulla rivista scientifica Ecology col titolo “Lessons from the wild: slow but increasing long‐term growth allows for maximum longevity in European beech”. Nell’articolo si rivela come il segreto di questi patriarchi sia una crescita lenta ma che aumenta nel corso dei secoli, condizione che sembra accomunare molti alberi longevi del pianeta, inclusi i pini loricati. La soppressione della crescita nelle prime fasi della vita dovuta per lo più a condizioni climatiche estreme – causa anche di una più contenuta altezza che non supera i 15-25 metri – sembra così essere la chiave di volta della loro longevità. I due faggi, individuati a distanza di circa 65 metri l’uno dall’altro e a un’altitudine di oltre 1900 metri, hanno un’altezza fra i 12 e i 15 metri e un diametro a petto d’uomo di 65-66 cm.
In condizioni ambientali simili, presenti nelle faggete vetuste dei Parchi Nazionali del Casentino e dell’Abruzzo già riconosciute patrimonio mondiale Unesco, erano già stati rinvenuti esemplari di oltre 500 anni. In tali siti, così come nel Parco del Pollino, le faggete vetuste ospitano una biodiversità unica con specie vegetali e animali oggi a rischio di estinzione perché nel corso dei secoli l’uomo ha distrutto quasi ovunque tali ambienti di foresta vergine che negli ultimi decenni si sta cercando di salvare nell’interesse della collettività (secondo gli studiosi tali foreste vetuste hanno infatti un ruolo fondamentale nelle sfide per lo sviluppo sostenibile in quanto mitigano gli impatti dei cambiamenti climatici), e ciò grazie a politiche ambientali e ricerche di lungo termine basate su una collaborazione tra Parchi Nazionali e Università (nel caso di specie hanno collaborato il Parco Nazionale del Pollino, che ha finanziato lo studio, e il Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali dell’Università della Tuscia).
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