Un prezioso parato ricamato su seta a Catanzaro intorno alla seconda metà del Settecento è stato ritrovato nella chiesa San Francesco a Ripa, nel quartiere Trastevere a Roma, sede della celebre scultura del Bernini dedicata alla Beata Ludoovica Albertoni. Autore della eccezionale scoperta il noto storico dell’arte, prof. Gianfrancesco Solferino, responsabile del complesso monumentale della chiesa romana, che nei giorni scorsi ha incontrato nel capoluogo calabrese l’assessore alla cultura Sinibaldo Esposito.
Recuperare e restaurare tutte le produzioni seriche prodotte nella città di Catanzaro e sparse in tutta la regione Calabria, in Italia e forse addirittura all’estero è la volontà espressa dall’assessore Esposito e condivisa dal professore Solferino, che sin da ora cominceranno a lavorare in tale direzione. Il fine è quello di arricchire, con tutte le opere sparse per il resto della regione e del Paese, il patrimonio artistico e culturale catanzarese che oggi potrebbe risultare, alla luce di quanto scoperto, orfano di molte sue creazioni.
La recente scoperta del professore Solferino nella chiesa San Francesco a Ripa ha, infatti, aperto la strada alla concreta ipotesi che tanti altri potrebbero essere i parati liturgici catanzaresi sparsi per il mondo. L’assessore Esposito è deciso ad andare fino in fondo, percorrendo la strada tracciata dallo storico dell’arte che potrebbe portare alla luce nuove scoperte “made in Catanzaro” , non a caso chiamata anticamente la “città della seta” , luogo in cui, per la prima volta in Italia, si iniziò a coltivare il gelso e il baco da seta intorno all’XI secolo. Con diploma regio del 30 marzo 1519, fu secoli dopo concesso alla città il Consolato dell’arte della seta, il primo nel regno dopo quello di Napoli fondato nel 1465.
E’ grazie all’abilità e all’intuito del professore Solferino, di origine calabrese, che si è giunti a dare una paternità all’opera. Da responsabile del complesso monumentale romano, si è ritrovato ad analizzare tutte le opere presenti nell’edificio sacro di Trastevere, accorgendosi immediatamente che il parato in questione non poteva essere di manifattura romana. Nel 1999, il professore Solferino a Catanzaro visitò una mostra curata da Oreste Sergi, rimanendo molto colpito dalla straordinaria bellezza dei parati in esposizione. Qualche anno dopo, nel 2001, riprendendo in mano il parato presente nella chiesa di San Francesco a Ripa, notò una forte similitudine stilistica con le opere osservate in occasione della mostra di Oreste Sergi. Tale intuizione lo portò, dopo qualche tempo e dopo che l’opera fu candidata al restauro per un’importantissima mostra che si teneva a Roma, a confrontarsi nuovamente con Sergi sull’ipotesi che quell’opera potesse essere stata creata a Catanzaro. Dopo lunghi e accurati studi, è recentemente giunta l’attribuzione ufficiale dell’opera a Catanzaro.
Il parato, oggetto dell’incontro tra Esposito e Solferino, giunse a Roma nel 1810 grazie alla donazione fatta da una monaca concezionista di origine calabrese, suor Emanuela Caravita, che probabilmente ne curò anche il primo restauro. Questa opera si distingue dalle altre non solo per motivi estetici e formali, ma soprattutto per la ricchezza iconografica e iconologica che racchiude nel fitto addensarsi dei suoi ricami.
Quel che sembra una casuale rappresentazione di fiori tratti da un erbolario antico e ricamati in successione, corrisponde invece alla sistematica descrizione del privilegio dell’Immacolata Concezione attraverso l’accostamento forbito di simboli, frutti e specie floreali. Il vaso-fontana posto alla base del disegno, allusione alla Vergine “dimora di Dio”, e “fonte della Grazia di divina”, contiene tre rose, chiaro riferimento alla Trinità. La sovrastante conchiglia, ricamata a forte rilievo con i filati d’oro, risponde invece al simbolo della verginità feconda della Madonna, all’interno della quale sono poste le prugne viola, immagine della fedeltà che resiste anche nella dimensione del dolore. Le violette, trapunte sulla parte sommitale, inneggiano all’umiltà e alla penitenza mentre la campanula, fiore resistente anche nella forte siccità, richiama il valore cristiano della tenacia e della perseveranza nella prova. Un piccolo capolavoro, testimonianza dell’arte serica che rese Catanzaro famosa nei secoli scorsi e che oggi l’Amministrazione comunale intende riscoprire e valorizzare.