di Redazione Fds
Ormai è certo, più di un millennio prima di Cristo in Sardegna la civiltà nuragica praticò la coltivazione della vite. A questa conclusione si è pervenuti dopo oltre 10 anni di ricerche condotta sui vitigni autoctoni della Sardegna e sugli antichi semi provenienti dagli scavi archeologici diretti dalla Soprintendenza e dall’Università di Cagliari. Sono infatti circa 15000 i semi di vite ritrovati nel sito nuragico di Sa Osa (Cabras), la cui datazione – ottenuta tramite il metodo del carbonio 14 – li vuole risalenti a oltre 3000 anni, periodo di massimo splendore della civiltà Nuragica. Si tratta dei resti della più antica coltivazione di vite mai trovata nell’area mediterranea occidentale e ci riporta alle origini della viticoltura in Sardegna, con tecniche di coltivazione non dissimili da quelle praticate dall’uomo moderno. L’archeobotanica e la storia fino ad oggi attribuivano la diffusione della Vitis Vinifera (ossia la vite domestica) ai Fenici, instancabili navigatori, e poi ai Romani, ma gli studi che hanno condotto alla recente scoperta sarda potrebbero portare ad una riscrittura delle dinamiche di diffusione della vite all’interno del Mediterraneo occidentale.
La ricerca è stata svolta dall’èquipe del Centro Conservazione Biodiversità dell’Università di Cagliari (CCB – www.ccb-sardegna.it) e pubblicata nella rivista Vegetation History and Archaeobotany una delle più importati riviste internazionali del settore (la ricerca è stata firmata dal botanico cagliaritano Gianluigi Bacchetta, insieme a Mariano Ucchesu, Martino Orrù, Oscar Grillo, Gianfranco Venora, Alessandro Usai e Pietro Francesco Serreli). Al conseguimento dei risultati ha contribuito notevolmente l’innovativa tecnica di analisi d’immagine computerizzata messa a punto dai ricercatori del CCB in collaborazione con la Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia. Grazie a particolari funzioni matematiche sono state analizzate le forme e le dimensioni dei vinaccioli (i semi di vite) e i dati morfometrici dei semi archeologici sono stati messi a confronto con le attuali cultivar e con le varietà selvatiche della Sardegna.
Dal confronto è emerso che questi antichissimi semi, oltre a mostrare una relazione genetica con la vite selvatica che vegeta spontanea sull’Isola, appartennero a una varietà coltivata a bacca bianca con forti relazioni con le varietà di Vernaccia e Malvasia oggi coltivate nella Sardegna centro-occidentale.
IL LUOGO DELLA SCOPERTA
La straordinaria scoperta si ricollega agli scavi archeologici che ad inizio anni 2000 furono avviati nei pressi di Cabras, a Sa Osa, in concomitanza con la realizzazione di un tracciato stradale voluto dalla Provincia di Oristano. Ad emergere furono i resti di un antico insediamento nuragico probabilmente colpito da un’alluvione come sembra testimoniare la coltre di fango che li ricopre. L’equipe di archeologi coordinata da Alessandro Usai ha fra l’altro individuato una serie di profondi pozzi scavati nel calcare dai quali, rotta l’incrostazione di fango, sono emerse tracce di derrate alimentari dell’epoca come noci, granaglie, castagne, pesce e anche qualche pigna. Ma la grande sorpresa è stata trovare in questa sorta di proto-frigoriferi ben 15 mila semi di uva. Il materiale ritrovato è stato consegnato dagli archeologi ai paleobotanici del Centro di Conservazione della Biodiversità. Nel caso dei vinaccioli – ha spiegato Gianluigi Bacchetta, direttore del centro – il fatto di che si siano conservati nell’acqua e nel fango e non siano pervenuti fino a noi carbonizzati, come talvolta accade, ha permesso di analizzarne anche il colore che, insieme agli esiti ottenuti con la succitata tecnica di analisi d’immagine computerizzata, ha permesso di ascriverne alcuni a specie selvatiche, parenti strette della vite selvatica ancora presente in Sardegna, e altri a cultivar di tipo domestico simili a varietà di Vernaccia e Malvasia oggi coltivate nella Sardegna centro-occidentale.
Sia chiaro – tengono a precisare gli studiosi – che questa scoperta non permette di attribuire al popolo dei Nuraghi l’invenzione della viticoltura, la cui tecnica potrebbe benissimo essere stata derivata da contatti con popolazioni del Mediterraneo orientale, ma ha permesso di identificare la coltivazione più antica in quest’area geografica. Così come ancora mancano dati in merito alle capacità vinificatorie di questa remota civiltà sarda. Ecco perchè dopo questa importantissima scoperta, le indagini del gruppo di ricerca continueranno su altri siti archeologici alla ricerca di altre varietà di vitigno e in generale di dati che offrano un quadro ancora più esaustivo sulla coltivazione della vite nella antica Sardegna.
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