Migliaia gli ettari di faggete vetuste italiane incluse nel Patrimonio dell’Umanità Unesco. Fra Abruzzo, Molise, Puglia e Basilicata, il Sud è presente con i boschi di tre parchi nazionali
di Alessandro Novoli
Dopo un lungo lavoro di conservazione e di studio condotto dai Parchi italiani sul proprio patrimonio boschivo, arriva dall’UNESCO un importante riconoscimento che premia a livello globale il valore ecologico, storico e culturale delle selve di faggi (Fagus silvatica). Con le sue diverse migliaia di ettari di faggete il nostro Paese si attesta, dopo la Romania, come quello in possesso del maggior numero di siti di “eccezionale valore universale”, fra i quali alcuni ubicati nelle regioni meridionali: da quelli compresi nel Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (a Villavallelonga-Valle Cervara, Lecce nei Marsi-Moricento, Pescasseroli-Coppo del Principe e Coppo del Morto, Opi-Val Fondillo) a quello di Sasso Fratino (Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi), della Foresta Umbra (Parco Nazionale del Gargano), di Cozzo Ferriero (Rotonda, Parco Nazionale del Pollino), del Monte Cimino (Soriano nel Cimino) e di Monte Raschio (Parco Naturale Regionale di Bracciano-Martignano).
I Parchi sono riusciti ad ottenere l’iscrizione al Patrimonio dell’Umanità facendo sistema e affidandosi al coordinamento dall’Austria nel portare avanti la candidatura nella Tentative List dell’Unesco. Le foreste italiane sono state selezionate per importanza ecologica e conservazionistica dopo diversi sopralluoghi effettuati da team scientifici europei che nella diversità delle faggete selezionate hanno riconosciuto un prezioso patrimonio da salvaguardare. I patriarchi italiani, fra quelli più a sud del continente europeo, si sono infatti rivelati essere tra i più vecchi con faggi che a volte raggiungono i 600 anni di età, oltre che fra i più alti d’Europa (non è raro che svettino intorno ai 50 metri), creando le condizioni ambientali per lo sviluppo di una straordinaria biodiversità.
Con la decisione dell’UNESCO, presa pochi giorni fa a Cracovia, in Polonia, le secolari foreste di faggi italiane si uniscono dunque a quelle di altre zone d’Europa che negli ultimi circa dieci anni si sono viste riconoscere la propria fondamentale importanza ambientale: le prime furono le faggete vetuste dei Carpazi, poi è stata la volta di quelle di Slovacchia, Germania, Ucraina e ora, dopo la candidatura di tre anni fa, si sono aggiunte le foreste di Albania, Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Italia, Romania, Slovenia e Spagna, per un totale di 63 faggete in 12 Paesi.
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