di Redazione FdS
Cristoforo Colombo cercava le Indie e scoprì l’America. Cercava una nuova via delle spezie e trovò i luoghi del peperoncino. Per uno dei paradossi della storia, le spezie dell’Asia e dell’Europa costituiranno – insieme alle piante della triade mediterranea (olivo, vite, grano) e agli agrumi – uno degli apporti principali alla cucina del Nuovo Mondo, mentre il peperoncino (insieme a patata, pomodoro, mais) diventerà l’emblema di una nuova economia-mondo, forse il primo elemento globale. In tempi rapidi e in maniera inarrestabile, il peperoncino, che aveva un’antica storia nell’alimentazione e nella medicina dell’America precolombiana, si diffonde dalla Spagna alla Turchia, dai paesi del Mediterraneo a quelli dell’Europa centrale, dal Nord Africa al Medio e all’Estremo Oriente. La sua fortuna è dovuta al fatto che si produce facilmente, cresce in tutti i posti e si modifica in specie di varia forma e piccantezza. Il primo prodotto globale è anche profondamente democratico: è stato capace di arricchire e rendere appetibile la cucina dei ceti popolari, dando origine a un’infinità di ricette. In “Storia del peperoncino” (Donzelli ed. – pp. XVIII – 496, rilegato, con 32 tavole a colori, € 32,00), Vito Teti ripercorre l’affascinante vicenda di una delle spezie oggi più amate, soprattutto nel nostro Mezzogiorno, così diffusa da essere elevata a simbolo di un’identità, più figurata che reale, in regioni come la Calabria, dove il peperoncino entra, anche in quantità talora eccessive, in moltissime preparazioni. Da «straniero» quale era, il peperoncino, dunque, non solo si è perfettamente integrato, ma è diventato perfino l’emblema della cucina «locale»: in questo libro ne possiamo trovare tante di queste ricette in cui il peperoncino è sovrano. L’errore in cui non si deve cadere però è pensare che l’identità, anche culinaria, di una regione del mondo sia qualcosa di definito e chiuso: l’autore di questo prezioso volume ci invita a immaginarla invece come un terreno di contaminazioni, non solo di sapori e di aromi, ma soprattutto di culture.
Vito Teti è ordinario di Etnologia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università della Calabria, dove ha fondato e dirige il Centro di Antropologie e Letterature del Mediterraneo. Va indagando da oltre 30 anni i temi della costruzione identitaria, della melanconia e della nostalgia, dell’antropologia dei luoghi e dell’abbandono, del rapporto tra antropologia e letteratura. È autore di reportage fotografici e ha realizzato numerosi documentari etnografici in Calabria e in Canada per conto della Rai. Tra le sue pubblicazioni, Le strade di casa. Visioni di un paese di Calabria, con S. Piermarini (1983), La razza maledetta. Origini del pregiudizio antimeridonale (1993), La melanconia del vampiro. Mito, storia, immaginario (1994), Il senso dei luoghi. Memoria e vita dei paesi abbandonati (2004), Storia del peperoncino (2007), Pietre di pane. Un antropologia del restare (2011), Il patriota e la maestra, edito da Quodlibet (2012).