di Roberto Sottile*
Stupore. È questa la prima sensazione che scaturisce dalle opere di Deborah Graziano, uno stupore misto alla curiosità di conoscere, di capire, di andare oltre l’immagine stessa. Sono scene che si animano, che diventano vere grazie alla capacità dell’artista di trasferire nelle sculture, nei volti, negli oggetti una particolare storia, che spesso supera l’immagine stessa, spiazzando maggiormente chi osserva. Sono personaggi che ci piacciono, che ci ispirano una certa familiarità. Temi che non sono distanti dal nostro modo di essere e di vivere. La sesta stanza abitata da Deborah Graziano è animata da esperienze che prendono forma e vita attraverso calchi in gesso, oggetti legati alla memoria che vivono una nuova vita continuando a conservare il “sentimento” originale e materie molto differenti che si combinano. L’artista conosce bene la tradizione della ricerca scultorea, che supera attraverso una serie di contaminazioni che generano un rapporto simbiotico tra gli elementi. Una ricerca fortemente caratterizzata dalla materia che viene sempre “levigata” da uno stile raffinato e idealizzato. Sono Allegorie contemporanee, testimoni di una memoria collettiva. Non esiste il concetto di bellezza o di bruttezza nelle espressioni scultoree di Deborah, così come le tematiche affrontate superano una certa ricerca di “gusto” per affrontare punti di vista che appartengono senza categorizzazioni alla visione esistenziale dell’uomo. La sesta stanza ospita tre lavori che rappresentano in pieno queste capacità di interpretazione dell’artista. Basta osservare “Megèra”, realizzata in jesmonite e cera d’api, per restare subito affascinati non solo dalla convivenza della materia, ma anche dalla capacità espressiva di una ricerca elegante, realizzata attraverso una concreta capacità manuale. Il risultato è un lavoro “plastico”, un reperto contemporaneo che ritorna alla luce, che diventa quasi “cinematografico” per la potenza eloquente della sua muta espressione. Così come le altre due opere nella stanza “Ineffabile” e “La Buona Educazione” realizzate in gesso con la presenza rispettivamente di un rocchetto di filo e ferraglia, sono una trasposizione di suggestioni e di contaminazioni, non solo tra materie differenti ma anche del rapporto e della percezione che l’artista ha con lo studio del corpo e dell’anatomia. Dettagli anatomici perfetti, che vengono estrapolati e decontestualizzati, in gesti che diventano memoria. Deborah Graziano ci presenta il mondo da un punto di vista intimo fragile ed essenziale, non rinuncia mai ad una ironia dissacrante nei confronti dell’uomo, e di una quotidianità, che spesso ha perso il gusto delle cose semplici, ma fatte bene.
Le parole della Sesta Stanza
Scultura. Ironia. Gesso. Simbiotico. Tradizione. Stupore. Allegoria. Il mondo di Deborah è fatto di piccoli gesti, di combinazioni di materia e di attimi di memoria. Ogni opera è il racconto di una fragilità che diventa il punto di forza di una ricerca di buon gusto estetico.
Il colore della Sesta Stanza
Gesso. Un colore che in realtà non è un colore, si tratta di un minerale incolore, che a seconda delle inclusioni di altri colori, cambia e si trasforma. La ricerca di Deborah Graziano si distinguere per l’utilizzo di questo minerale che diventa una materia allegorica pronta al variare ad assumere nuove forme e proporre nuovi concetti.
La parola non utilizzata nella Sesta Stanza
Identità. Le opere di Deborah sono il risultato di una complessa conoscenza delle tradizioni e delle tecniche legate alla produzione scultorea. Ogni lavoro possiede un carattere estetico ben definito. La parola identità, per scelta, non vive nella stanza di Deborah affinché ogni opera possa continuare a vivere nelle tante interpretazioni possibili. Libere allegorie del tempo degli uomini.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
*Critico d’arte e curatore