di Redazione FdS
E’ il 9 luglio 1985 quando la pregiata statua lignea della Vergine con Bambino, denominata S. Maria a Parete – evidente richiamo alla Madonna dipinta su pietra venerata nell’omonima Basilica Minore-Santuario di Liveri, piccolo borgo in provincia di Napoli dove nel 1514 sarebbe apparsa la Vergine dando vita a un culto diffuso anche altrove – viene trafugata dalla Parrocchiale di San Felice Martire, a S. Felice a Cancello (Caserta), scomparendo nel nulla. La statua raffigurava la Vergine come una regina in trono, coperta da un mantello dorato e con in testa il diadema regale, mentre regge il Bambino in piedi sulle sue ginocchia in attitudine benedicente. Di autore ignoto di inizio ‘300, questa delicatissima versione della Madre di Cristo, finisce così sul mercato clandestino internazionale dell’arte, come accade nel nostro Paese per migliaia di altri tesori d’arte provenienti dalle collezioni ecclesiastiche così come da scavi archeologici clandestini. Dopo 35 anni di silenzio, dopo il furto nel 1990 anche della copia che l’aveva rimpiazzata, e all’indomani del recente incontro tra il ministro italiano dei Beni Culturali Franceschini e la suo collega tedesca Monika Grütters, che hanno ribadito l’impegno dei due Stati a intensificare il contrasto al traffico illecito dei manufatti di pregio storico-artistici, un’associazione locale ha contattato la Senatrice Margherita Corrado, membro della Commissione Cultura, nonché archeologa di professione, affiché si interessasse al caso. La parlamentare si è attivata per conoscere la situazione e lo ha fatto presentando lo scorso 9 aprile una interrogazione parlamentare rivolta al Ministro competente ma rimasta ad oggi ancora senza risposta.
Già a fine febbraio l’atto ispettivo della senatrice era stato preceduto da una richiesta di informazioni al Servizio IV della Direzione Generale del Ministero dei Beni Culturali, che ha risposto solo in questi ultimi giorni peraltro prospettando un quadro poco confortante ma tuttavia meritevole di ulteriori approfondimenti: la Direzione ha infatti risposto che fin dal 1988 la scultura è stata localizzata in Germania dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale-Sezione Estero ma che la richiesta di rogatoria internazionale finalizzata a ottenerne la restituzione è stata respinta dato che l’acquisto da parte del possessore, secondo quanto attestato dall’Interpol, sarebbe da ritenersi avvenuto in buona fede, per cui nel 2000 sono state fornite alla diocesi di Acerra, già proprietaria del manufatto, informazioni per un’eventuale trattativa diretta con il neo-proprietario che fosse finalizzata a una restituzione consensuale o, come extrema ratio, all’acquisto della scultura. In altri termini, vent’anni fa la patata bollente è passata dallo Stato al Vescovo di Acerra.
Questi sviluppi, di cui probabilmente la popolazione di San Felice è rimasta totalmente all’oscuro, non risulta abbiano avuto al momento alcun seguito. Pertanto, l’unica strada oggi percorribile sembra essere quella per cui gli abitanti di San Felice a Cancello chiedano alla propria Diocesi di attivarsi, qualora non lo abbia già fatto nel 2000 una volta messa al corrente della individuazione dell’opera. A tal proposito la senatrice Corrado – trattandosi di opera legata alla storia e alla vita della comunità di San Felice, e quindi fortemente identitaria – suggerisce anche che, nel caso, siano gli stessi cittadini a rendersi parte attiva nell’avviare il contatto ed eventuali trattative col possessore, magari finalizzate ad un acquisto della scultura tramite una raccolta fondi (sempre che costui sia disposto a venderla) o ad ottenerne il prestito per delle esposizioni temporanee. Intanto rimane aperta l’interrogazione parlamentare con cui la Corrado chiedeva che venisse attivato il “Comitato istituzionale per il recupero e la restituzione delle opere trafugate…rafforzato con la collaborazione dei Ministri degli Esteri e della Giustizia…” e che venissero presi “i necessari contatti” e attivati “i canali diplomatici in grado di assicurare il rientro in Italia della statua rubata a San Felice a Cancello”.
Questa la cronaca della vicenda. Rimangono da fare alcune riflessioni relative a principi eventualmente spendibili in una rinnovata trattativa statale, magari di diplomazia culturale, su questo caso, e questo sia alla luce della rinnovata intesa tra Italia e Germania circa la reciproca volontà di contrastare il traffico illecito di opere d’arte, sia di vigenti regole comunitarie adottate negli anni ’90 e 2000 (v. Direttiva 93/7 del Consiglio del 15 marzo 1993, Convenzione UNIDROIT del 1995 e direttiva del Consiglio 2014/60 del 15 maggio 2014) che, per quanto non retroattive, non solo prevedono la restituzione di un’opera trafugata salvo pagamento di un “equo indennizzo” al possessore in buona fede, ma specificano come non basti semplicemente opporre la buona fede ma occorra dimostrare l’effettivo esercizio di un comportamento diligente ancorato a precisi criteri, come si evince dall‘art. 10 c. 2 della direttiva UE 2014/60 del 15 maggio 2014, il quale recita: “Per determinare l’esercizio della diligenza richiesta da parte del possessore si tiene conto di tutte le circostanze dell’acquisizione, in particolare della documentazione sulla provenienza del bene, delle autorizzazioni di uscita prescritte dal diritto dello Stato membro richiedente, della qualità delle parti, del prezzo pagato, del fatto che il possessore abbia consultato o meno i registri accessibili dei beni culturali rubati e ogni informazione pertinente che avrebbe potuto ragionevolmente ottenere o di qualsiasi altra pratica cui una persona ragionevole avrebbe fatto ricorso in circostanze analoghe.”
Per quanto questa direttiva riguardi unicamente i beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro a decorrere dal 10 gennaio 1993, essa cristallizza un modo comune di intendere il concetto di “buona fede”, come dimostra – per l’ordinamento italiano – anche la sentenza della Cassazione penale, Sezione III, n. 11269 del 2 aprile 2020, secondo la quale – appurata l’appartenenza di un’opera alla categoria dei beni culturali, rispetto ai quali sussiste una presunzione di proprietà statale chiaramente desumibile dal d.lgs. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali), e per quanto il terzo che la detiene risulti estraneo al reato di illecito trasferimento all’estero – è proprio la natura del bene in oggetto a rendere particolarmente penetranti le verifiche (ad es. di tutti i passaggi intermedi del bene) che si impongono al detentore per potere legittimamente opporre la propria buona fede alle pretese dello Stato italiano. A questo punto bisognerebbe chiedersi se venti anni fa il concetto di ”buona fede” fosse già così rigoroso sul piano giuridico e interpretativo e se l’Interpol, che lo invocò a proposito del detentore tedesco della scultura, ne abbia adeguatamente documentato la sussistenza, perché in caso contrario la questione meriterebbe forse di essere riaperta. Infine, l’altro quesito a cui naturalmente occorrere trovare una risposta è se il possessore di oggi sia la stessa persona di 20 anni fa o se nel frattempo l’opera sia passata di mano, caso quest’ultimo nel quale occorrerebbe procedere a una nuova identificazione, imprescindibile qualunque sia l’approccio che si abbia in mente di tentare per recuperare la statua.
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