di Alessandro Novoli
Il 10 settembre 2017 ricorre la Giornata Europea della Cultura Ebraica e l’evento – che coinvolge ottantuno località dal nord al sud dell’Italia, con oltre cento appuntamenti culturali, ed è dedicato al tema “La diaspora. Identità e dialogo” – offre l’occasione per accendere i riflettori su una delle testimonianze storiche più preziose della plurisecolare presenza ebraica nel meridione d’Italia. Si tratta dell’antico Aron-Ha-Kodesh di Agira (Enna), borgo siciliano che fu la greca Agyrion, patria dello storico Diodoro Siculo. Arredo sacro tipico della liturgia ebraica, l’Aron (detto anche Arca Santa) è da sempre presente all’interno delle sinagoghe ed è destinato a contenere il Sefer Torah, ossia i rotoli della legge che durante le funzioni vengono svolti e letti per poi essere nuovamente riposti al suo interno. Questo di Agira – come spiega lo storico Nicolò Bucaria, fra i massimi esperti della cultura ebraica in Sicilia – ha il primato di essere il più antico presente in Europa e la rara caratteristica di essere stato costruito in pietra anziché nel più consueto legno. Realizzata in stile gotico-catalano, l’opera reca lo stemma della casa di Aragona racchiuso nel rombo araldico catalano ed è da attribuirsi ad ebrei sefarditi approdati in Sicilia sulla scia dei rapporti politici e commerciali con la Spagna. Sono infatti le comunità sefardite – sottolinea Bucaria – che dal Medioevo cominciarono a costruire gli Aron in muratura.
L’origine ebraica del monumento di Agira fu ufficialmente identificata solo negli anni ’40 del secolo scorso quando una studentessa riportò nella sua tesi di laurea le iscrizioni ebraiche presenti sul manufatto custodito da secoli nell’oratorio di Santa Croce, rivelatosi luogo di culto cristano nato dalla conversione di una precedente sinagoga ebraica (Bet Ha Midrash), come del resto aveva già intuito nel 1910 lo studioso agirino Mons. Pietro Sinopoli Di Giunta. Tuttavia l’Aron fu, a lungo ed erroneamente, ritenuto dagli studiosi un portale di tale sinagoga trasformato in altare. In pieno dopoguerra, con lo spopolamento del paese a causa dell’emigrazione, l’Oratorio venne chiuso e tale rimase fino al 1987, quando di fronte all’inesorabile degrado dell’edificio il parroco Don Rosario Cottone decise di smontare, con l’aiuto di due muratori, l’importante monumento storico e di trasferirlo nella normanna Chiesa Colleggiata del SS. Salvatore in fondo alla cui navata sinistra è oggi visibile. A metà degli anni ’90, gli studi di Mons. Benedetto Rocco hanno finalmente permesso di identificare l’oggetto come un Aron, ossia l’armadio sacro destinato ai rotoli della Torah. L’ecclesiastico ha infatti ricostruito le scritte dedicatore in ebraico che contengono la data del manufatto – l’anno ebraico 5214 corrispondente al 1454 della nostra era – e il passo di Isaia (2,5) “Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore”, che compare identico sull’Aron della sinagoga medievale di Girona in Spagna.
Fino a quel momento – come scrive Titta Lo Jacono de Malach, presidente dell’Istituto Internazionale di Cultura Ebraica di Palermo – l’archeologia relativa alla presenza ebraica in Sicilia, durata oltre un millennio, non annoverava alcun Aron, né in legno né in pietra. Del resto delle sinagoghe presenti in Sicilia sino al 1492 – anno in cui il re Ferdinando il Cattolico con l’editto di Granada espulse gli Ebrei da tutti i territori che ricadevano sotto la giurisdizione spagnola – non rimanevano tracce, o perché demolite completamente o perché la loro trasformazione in Chiese cattoliche le aveva rese irriconoscibili. Nel 1748 lo storico Giovanni Di Giovanni in L’ebraismo della Sicilia aveva addirittura escluso che ad Agira vi fosse mai stata una comunità ebraica, esclusione poi smentita nel 1890 dai fratelli Bartolomeo e Giuseppe Lagumina che in un loro studio intitolato Codice diplomatico dei giudei in Sicilia dimostrarono come nel 1489 fra le 43 comunità ebraiche del regno di Sicilia vi fosse anche quella di Agira. Eppure della locale sinagoga si era persa memoria, proprio perché trasformata – forse poco dopo l’espulsione – nell’oratorio cristiano di Santa Croce, oggi ridotto a un rudere.
Nonostante tutto – spiega Lo Jacono – l’edificio ha conservato gli originari caratteri architettonici e il suo fulcro costituito dall’Aron murato nella parete di fronte all’ingresso secondo la sua collocazione originaria desumibile sia dall’orientamento verso Gerusalemme della parete portante sia dalla presenza di un piccolo disimpegno che, secondo la tradizione, serve a evitare che il fedele entri direttamente nella sala di preghiera e studio. Inoltre – aggiunge lo studioso – chi fece costruire l’edificio si è attenuto alle regole prescritte dalle fonti talmudiche fra cui quella che la Sinagoga deve elevarsi sulla città, richiamo al simbolismo biblico dell’ascesa, dell’altezza e della verticalità poi ripreso dal Cristianesimo nelle architetture religiose gotiche. Per il piccolo oratorio ebraico di Agira ciò si tradusse semplicemente nella collocazione in un luogo alto, appena sotto la rocca del castello, nel vecchio quartiere arabo, in un contesto urbano ancora oggi vissuto e distante pochi metri dalla grande piazza su cui si affaccia la Chiesa del SS. Salvatore che custodisce l’Aron.
E’ dunque ormai giudizio concorde che ci si trova di fronte ad un reperto eccezionale, testimonianza – spiega Lo Jacono – di una Sicilia per lunghi secoli scenario di un fiorente giudaismo, protagonista di una pagina di storia sulla quale si è acceso un grande interesse soprattutto a partire dal convegno “Italia Judaica – Gli ebrei in Sicilia sino all’espulsione del 1492”, organizzato a Palermo nel 1992 dal Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, con la partecipazione di studiosi provenienti da tutto il mondo. Una storia poco conosciuta di cui i documenti d’archivio ci forniscono un quadro abbastanza completo soprattutto per l’ultimo secolo di permanenza degli ebrei in Sicilia, “tanto da potere affermare che le comunità che fiorirono nell’Isola in quel periodo storico costituivano una componente non secondaria della società del tempo, quale elemento portante dell’artigianato e del commercio”. Certo, aggiunge Lo Jacono, le comunità siciliane non furono influenti come quelle sefardite radicate in Spagna, pur tuttavia riuscirono a mantenere la loro originale individualità e a conservare le forme essenziali della loro identità religiosa oltre che a sviluppare intensi commerci con le coste africane e stretti rapporti religiosi con le comunità di Tunisia, Egitto e Palestina, come mostrano numerosi documenti d’archivio.
Durante la dominazione araba – spiega lo studioso – il rapporto con gli islamici fu improntato più che a un clima di spontanea tolleranza, al rispetto di regole, soprattutto fiscali, che garantivano l’esercizio della propria religione e un’ampia autonomia amministrativa all’interno delle Giudecche (judeche), e comunque “lo spirito del monoteismo islamico non si trasformò in fanatismo intollerante perché la real politick dei capi arabi fece sì che questi anteponessero l’utilità di servirsi delle potenzialità economiche ed intellettuali delle popolazioni conquistate alla spinta religiosa conversionistica dell’Islam”. Anche dopo la riconquista della Sicilia al Cristianesimo ad opera dei Normanni, e fino agli inizi del XV secolo, continuò comunque a persistere intorno agli Ebrei di Sicilia un clima di relativa tolleranza, sebbene poggiante su più instabili basi infarcite di pregiudizio a sfondo teologico. Ed è nell’ultimo periodo di questa convivenza che si colloca l’Aron di Agira, preziosa testimonianza delle fiorenti e numerose comunità ebraiche di Sicilia cui pose fine la nota espulsione dai domini spagnoli del 1492.
AGIRA “LUOGO DELLA STORIA E DEL DIALOGO”: UN PROGETTO
E’ almeno dal 2002, da quando cioè l’Istituto Internazionale di Cultura Ebraica di Palermo, presieduto dal prof. Titta Lo Jacono de Malach, organizzò ad Agira un Convegno Internazionale sull’Aron, che si parla del progetto di ricostruire l’antica sinagoga e di restaurarne il prezioso arredo, operazioni che richiedendo studi altamente specialistici sarebbero da compiersi attraverso un concorso internazionale con bando rivolto alle più prestigiose università europee, israeliane e americane. Il progetto prevede inoltre l’inserimento della Sinagoga e dell’Aron in uno specifico circuito turistico denominato “percorso della memoria ebraica in Sicilia” articolato fra i luoghi più significativi dell’ebraismo storico sull’isola, ed è completato dall’idea di attivare un Centro Studi sull’Ebraismo Medioevale in area mediterranea che possa diventare sede di confronto fra studiosi provenienti da tutto il mondo; un polo culturale privilegiato dal suo inserimento in un contesto denso di storia, archeologia, arte e folklore come Agira, candidata a diventare a buon diritto “luogo del dialogo e della storia”.
Questo progetto, anche a fronte dell’interesse internazionale registrato, era stato rilanciato a grandi linee nel 2015 dal sindaco, on. Maria Greco, proprio in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica. Sebbene però si fosse intravisto nell’Aron “una grande risorsa culturale e religiosa per lo sviluppo turistico del territorio e per i valori che esprime di sana tolleranza e fraternità tra i popoli”, esso non ha ancora avuto alcun concreto riscontro. Eppure, come spiega Titta Lo Jacono, il progetto è nato su premesse di valore come “l’interesse per una storia poco nota e il desiderio di conoscenza reciproca tra ebrei e cristiani”, espressioni di un “desiderio di riallacciare gli antichi legami con la cultura ebraica che tanta parte ha avuto nella formazione della nazione italiana e siciliana in particolare”, un fermento culturale peraltro ancora attivo come dimostra la recente costituzione a Catania della prima comunità ebraica in Sicilia dopo oltre 500 anni. Un interesse talmente forte che ha già portato diversi amministratori pubblici a dar vita a una federazione di 54 enti territoriali siciliani che ospitarono comunità ebraiche, denominata “Charta delle Judeche”, con l’obiettivo di trasformare quella comune esperienza storico-culturale in un seme di sviluppo economico e sociale per la regione.
Con l’elaborazione del progetto di ricostruzione e restauro, il Comune di Agira – che si è appena visto riconoscere, con decreto del Presidente della Repubblica il titolo di “Città”, riservato per legge “ai comuni insigni per ricordi, monumenti storici e per l’attuale importanza” – vorrebbe dare un coerente seguito agli obiettivi statutari della “Charta delle Judeche” fra i quali compare quello di “contribuire allo sviluppo economico e sociale dei Comuni associati attraverso la riscoperta delle affinità socio-culturali e socio-strutturali nate da una millenaria simbiosi della Sicilia araba prima, normanna, sveva ed aragonese poi, con la cultura ebraica”. Una iniziativa davvero encomiabile, soprattutto per i valori di dialogo, tolleranza e pacifica convivenza che riuscirebbe ad esprimere in un momento di preoccupante recrudescenza del fanatismo politico-religioso. Fino a quando tutto ciò continuerà a rimanere solo una nobile aspirazione?
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Bibliografia:
Nicolò Bucaria, Sicilia judaica, Flaccovio editore, Palermo 1996, 156 pp.
Nicolò Bucaria, Michele Luzzati, Angela Tarantino, Ebrei e Sicilia, Flaccovio editore, Palermo 2002, 389 pp.
Titta Lo Jacono de Malach, L’Aron Ha Kodesh e la sinagoga di Agira. Un itinerario nel sacro ebraico nella Sicilia delle tre religioni [Relazione illustrativa al progetto di cui all’asse 2.1. l. “Recupero e fruizione del patrimonio culturale e ambientale (FESR) C.4 – Itinerari del Sacro], Istituto Internazionale di Cultura Ebraica, Palermo, 2002
Benedetto Rocco, La Sinagoga quattrocentesca di Agira. Dedica in ebraico, in “Ho theológos” 1 (1996) pag. 129-138
Benedetto Rocco, Nicolò Bucaria, Gli ebrei in Sicilia: dal tardoantico al Medioevo, Flaccovio editore, Palermo 1998, 317 pp.