Due splendidi vasi e una raffinata coppia di appliques in terracotta policroma al centro di un ancora irrisolto caso di presunto trafugamento avvenuto nel Sud Italia
di Redazione FdS
Un atto di sindacato ispettivo esercitato lo scorso 6 settembre 2022 con interrogazione al Ministro della Cultura da parte di un gruppo di senatori del Parlamento italiano (Margherita Corrado, Luisa Angrisani, Bianca Laura Granato ed Elio Lannutti) riaccende i riflettori su un caso aperto nel 2014 ma rimasto finora senza esito. Seguiamone la ricostruzione contenuta nell’atto ufficiale:
era l’aprile del 2014 quando l’archeologo Maurizio Pellegrini – storico collaboratore (insieme alla collega Daniela Rizzo) del compianto magistrato romano Paolo Giorgio Ferri nelle indagini su migliaia di reperti sequestrati in Svizzera, nel 1995 e 2001, ad alcuni mercanti italiani di antichità, che agivano da intermediari nei traffici internazionali di reperti archeologici scavati illegalmente – confermava alla Guardia di Finanza di Roma la presenza, al museo del Louvre, di alcuni eccezionali manufatti antichi riscontrabili negli album fotografici appartenenti a uno di loro, attivo soprattutto nel Sud Italia. Il primo reperto è un cratere a calice (psykter) di manifattura attica decorato a figure nere da un pittore della cerchia di Antimenes databile al 525-500 a.C. Il tema dionisiaco è riconoscibile dalla presenza, su un lato, del dio in trono circondato dal corteggio di satiri e menadi dediti al suo culto orgiastico, tra tralci di vite e rami di edera, e sull’altro, del dio artigiano Efesto che risale all’Olimpo su un mulo itifallico, secondo un mito sempre di matrice dionisiaca. Nel registro inferiore ricorre invece il tema della partenza del guerriero con figure di donne, arcieri, opliti e cavalieri.
Il secondo reperto è un cratere a campana di produzione italiota a figure rosse dal cosiddetto Pittore di Issione, risalente al 330 a.C. e dichiarato come proveniente da Capua, in Campania. In una scena di grande concitazione, delimitata nella parte superiore da una ghirlanda di foglie di alloro e in quella inferiore dalla tipica decorazione a meandri, si trova raffigurato il celebre episodio omerico della strage dei Proci, ovvero i pretendenti di Penelope uccisi da Ulisse al suo ritorno sull’isola di Itaca. L’eroe si intravede nell’angolo in alto a destra della scena, nelle mentite spoglie di mendicante sotto le quali partecipa alla gara di tiro con l’arco indetta da Penelope per scegliere definitivamente il futuro sposo. Solo Ulisse si dimostra capace di centrare il bersaglio con l’arco, lo stesso col quale, assistito dalla dea Atena, elimina uno ad uno tutti i pretendenti e i traditori itacesi.
Infine, le due bellissime appliques in terracotta policroma (v. disegni in alto e sotto), risalenti al III° sec. a.C. ed ancora esposte nel museo parigino, sono invece ascrivibili a botteghe di Canosa, città della Puglia antica in cui dominava una produzione fittile di grande originalità, caratterizzata da vasi muniti di una decorazione plastica applicata prima della cottura e raffigurante una variegata schiera di soggetti come teste femminili, gorgoni, mostri ibridi e fantastici, quadrighe e ippocampi alati. Particolare anche la tecnica pittorica utilizzata, con immagini dipinte dopo la cottura del vaso, su fondo bianco e con prevalenza dei colori celeste, rosa e rosso. Le due appliques, ricomposte ma pressoché complete, sono modellate in forma di Nereidi, ninfe marine facenti parte del corteo del dio del mare Poseidone, solitamente ritratte a cavallo di delfini o, come in questo caso, di cavalli marini (ippocampi). Nei due reperti in oggetto esse richiamano il celebre episodio del trasporto delle armi di Achille forgiate da Efesto, e recano l’una l’elmo e l’altra lo scudo dell’eroe acheo. Abbigliate con himation, sandali, diadema e orecchini, conservano evidenti tracce di policromia che vanno dal bianco al nero, al marrone, al rosa violaceo.
Come fanno notare i senatori interroganti, il Louvre – che in passato esponeva i reperti sopra descritti in tre diverse sale del proprio percorso espositivo – li ha acquistati in Svizzera rispettivamente nel 1988, nel 1985 e nel 1982 da un mercante italiano di antichità noto, ormai da anni, alle cronache giudiziarie riguardanti gli scavi clandestini in Sud Italia e i traffici che nel corso del tempo ne sono derivati. Nella ricostruzione dei suoi rapporti con il Louvre, l’interrogazione fa notare come il museo avesse innanzitutto acquistato, nel 1980, una pelike attica a figure rosse di Eutimide (515-510 a.C.), un tipo di anfora trovata nell’Italia Centrale ed entrata nel 1861 nella storica Collezione Campana [appartenuta al marchese romano Giampietro Campana, ma smembrata e venduta a vari musei e collezionisti a fine XIX secolo]; tale vaso, così come i due crateri sopra descritti – raccontano gli interroganti –, sarebbe stato di recente rimosso dall’esposizione senza spiegazioni. La rimozione sarebbe avvenuta dopo che il Louvre – interpellato sui due crateri dagli autori del video-reportage “Italie: la chasse aux trésors” pubblicato su “Avenue de l’Europe” il 17 ottobre 2018 -, pur ammettendo di non poter mostrare alcun permesso di esportazione, avrebbe risposto piccato: “Ad oggi non ci sono stati forniti dati che attestino che questi oggetti provengano da scavi illegali”.
Nel frattempo però – prosegue l’interrogazione – gli inquirenti italiani avrebbero trovato conferma, nel ricchissimo archivio cartaceo e fotografico reperito in Svizzera presso la sede di una galleria riconducibile al trafficante italiano, della compravendita dei 4 reperti in oggetto e ulteriori dati conoscitivi. In particolare il cratere-psykter, offerto al museo francese a dicembre del 1987, ricomposto ma completo, sarebbe stato dato come proveniente da una collezione svizzera, senza ulteriori dettagli, mentre per quello a figure rosse con la strage dei Proci ad opera di Ulisse, anch’esso restaurato, sarebbe stata indicata un’origine campana, senza tuttavia dettagliarne la provenance. Circa le appliques con le Nereidi, infine, offerte al museo nell’ottobre 1981 e vendute a gennaio 1982, sarebbe stato asserito che provenivano da una collezione privata svizzera formata anteriormente alla seconda guerra mondiale e indicata con la sigla K.H., sigla che ricorrerebbe nelle vendite di diversi altri oggetti a grandi musei del mondo. Le indagini condotte sull’archivio avrebbero dimostrato però che dietro quella sigla si celava un ex datore di lavoro svizzero della moglie del mercante, personaggio pronto all’occorrenza a confermare la dichiarata cronologia degli oggetti; non sarebbe certo un caso – si fa notare – che uno dei più celebri tra i vasi rientrati in Italia dall’estero, la hydria etrusca a figure nere del Pittore di Micali con i pirati tirreni trasformati in delfini (510-500 a.C.), restituita nel 2014, era stata alienata al Museum of Art di Toledo (Ohio, U.S.A.) nel 1982 proprio asserendone la provenienza dalla collezione K.H.
DEDUZIONI DEGLI INTERROGANTI E RICHIESTE AL MINISTRO
A questo punto, i senatori interroganti, muovendo dalla pressoché totale assenza, nella documentazione reperita presso il trafficante, di informazioni atte a comprovare la provenienza lecita dei due crateri e della coppia di appliques, e dalla esistenza di alcune immagini fotografiche, tratte da un archivio di ben 17.000 scatti, che sembrano mostrare gli oggetti sopra descritti anteriormente agli interventi di pulitura, ritengono si possa fortemente dubitare che tali reperti fossero sul mercato antiquario da lungo tempo. Indicativi in tal senso sarebbe anche alcuni altri fattori e cioè la peculiarità morfologica del cratere attico, che ne fa un unicum sorprendentemente sfuggito agli specialisti, così come la precisazione, circa l’allora parimenti inedito cratere a campana, che il mercante lo offrisse al Louvre prima che a qualunque altro potenziale acquirente stimando la scena della strage dei Proci, per originalità, complessità e qualità disegnativa ispirata ad una perduta megalografia attribuibile a qualche famoso autore magnogreco di pitture murali. Anche le Nereidi, del resto, oltre a distinguersi per lo stato eccezionale di conservazione, mancavano e mancano tuttora di confronti. Tutto ciò – affermano i senatori – contraddirebbe la scusante della buona fede invocata dal Louvre per l’acquisto, sia pure avvenuto in anni in cui il rilevante ruolo del suddetto mercante italiano nel traffico internazionale di antichità non era ancora emerso.
Muovendo da tali premesse è stato chiesto al Ministro della Cultura italiano se siano stati o meno rivendicati, e se sì perché finora senza successo, i 4 reperti archeologici che il Louvre acquistò negli anni ’80 dalla galleria svizzera del mercante italiano nonostante che le scarse o nulle informazioni sui precedenti passaggi di proprietà dovessero suggerire prudenza e suscitare dubbi circa la liceità della loro provenienza.
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Auguro che questa Meravigliosa Opera di Arte ritorna a Casa come i Marmi del Parthenon della Grecia!