Sibari: un nuovo studio ricostruisce il paesaggio antico dell’area in cui sorse la celebre polis magno-greca

Scorcio dell'area archeologica di Sibari - Ph. © Stefano Contin

Parco Archeologico di Sibari – Ph. © Stefano Contin

di Redazione FdS

Sybaris, Thurii, Copiae, le tre ”incarnazioni” della celebre polis magno-greca – dalla sua fondazione, nell’area jonica settentrionale dell’odierna Calabria, ad opera di un gruppo di Achei provenienti dal Peloponneso nell’VIII secolo a.C. all’avvento del dominio romano nel II secolo a.C., passando per la sua distruzione ad opera dei Crotoniati nel 510 a.C. e per la sua ricostruzione nel V secolo a.C. – continuano ad affascinare studiosi e gente comune; un fascino la cui intensità è direttamente proporzionale agli enigmi ancora legati alla città arcaica, soprattutto sotto il profilo della sua estensione e della configurazione del suo assetto urbanistico, al di là delle notizie ricavabili dalle fonti storico-letterarie e dalla ancora esigua quantità di reperti archeologici ad essa riferibili (la maggior parte delle aree archeologiche individuate e dei materiali ad oggi rinvenuti sono infatti riconducibili soprattutto alla colonia panellenica di Thurii e a quella romana di Copiae). Per quanto concerne l’individuazione degli esatti confini della città arcaica, un ruolo cruciale sembra rivestire la corretta ricostruzione dell’assetto originario della vasta piana nel cuore della quale la città vide la sua straordinaria fioritura, rimasta emblema di ricchezza e di potenza.  Si tratta di un aspetto molto interessante tenuto conto che la Piana di Sibari è un’area alluvionale che nel corso dei millenni è andata incontro a varie trasformazioni. Ad affrontare l’argomento, nel volume di recentissima uscita “Alla ricerca di Sybaris e Thurii. Il paesaggio antico” (ed. Arbor Sapientiae), è l’ingegnere rossanese Nilo Domanico del quale ci siamo già occupati parlando del più grande orto botanico del mondo, di cui ha diretto i lavori di realizzazione in Oman, nonché del suo progetto di ingegneria idraulica per salvare gli scavi di Sibari dalle infiltrazioni di falda.

Copertina del volume di Nilo Domanico

Del tema si discuterà in occasione della presentazione del volume all’Università della Calabria, nel corso di un seminario organizzato dal DiBEST, il Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra, nella giornata del prossimo 18 settembre alle ore 17.00 ( Aula E, cubo 15° – 4° piano -Ponte P. Bucci – UNICAL). Il programma del seminario, intitolato “Dal paesaggio antico di Sybaris alla sua antropizzazione – Lo studio dell’evoluzione della Piana di Sibari come case-study al servizio della ricerca geologica, archeologica ed agronomica”, prevede gli interventi dei professori Fabio Scarciglia e Rocco Dominici, del ricercatore Giuseppe Cianflone, del dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra dell’Università della Calabria oltre che del dr. Benito Scazziota, innovation broker dell’ARSAC.

Come i nostri lettori sicuramente ricorderanno, su parte di questa tematica, per la precisione sugli aspetti geo-archeologici della Piana di Sibari attraverso i secoli, si è negli ultimi anni concentrata l’attenzione anche di un altro studioso, il geologo calabrese Amerigo Giuseppe Rota, che nel febbraio 2022 presentò l’esito delle sue ricerche in un lungo articolo edito dall’Ordine Nazionale dei Geologi sul quadrimestrale “Geologia Tecnica & Ambientale” (pag. 23), al quale rinviamo per chi volesse approfondire l’argomento. L’approccio più ampiamente multidisciplinare del nuovo studio pubblicato dall’ingegnere Domanico, consentirà senz’altro di allargare ulteriormente il focus su un’area che, molto probabilmente, ha ancora molti “segreti” da svelare. Intanto lo studio ha già suscitato una vasta eco nel mondo archeologico e uno dei più grandi studiosi della Magna Grecia, il prof. Emanuele Greco, non ha esitato a definirlo “accurato” e “scientificamente impeccabile”, aggiungendo che “con questa evidenza devono fare i conti gli archeologi, non perché si debba procedere ad una meccanica combinazione tra fonti letterarie, archeologiche e geologiche, ma principalmente perché ora disponiamo di un’eccellente piattaforma nella quale calare l’evidenza archeologica, non solo, ma grazie alla quale la ricerca archeologica, può anche essere indirizzata grazie al lavoro svolto dall’ingegnere.” Una valutazione positiva che Greco, già professore ordinario di Archeologia classica presso l’Università di Napoli «L’Orientale» e Direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene, autore di decine di pubblicazioni e protagonista di numerosi scavi archeologici a Sibari, ha avuto modo di esprimere nella prefazione al volume dell’ing. Nilo Domanico, nella quale sottolinea altresì come l’autore sia arrivato “con un alto grado di approssimazione a delineare una credibile storia del paesaggio idrogeologico della piana tra Coscile e Crati.”

Mentre dunque l’immagine di Sibari nell’immaginario collettivo continua a oscillare tra mito e realtà, la strada dell’approccio multidisciplinare si attesta quale l’unica in grado di poter garantire in prospettiva i risultati più solidi nel tentativo di risolvere il plurimillenario enigma; un enigma composto da numerosi interrogativi: quando i primi coloni Greci arrivarono sulle coste joniche in cosa si imbatterono? Come era configurato il Paesaggio Antico? Ormai è storia nota che Sybaris fu fondata tra il Crati ed il Coscile. Ma quale era l’alveo dei due fiumi a quei tempi? Sfociavano al mare ognuno seguendo il proprio corso oppure erano uniti come ai giorni nostri? La linea di costa era quella attuale? Si narra che sulla costa vi fosse un’area paludosa e lagunare. Ma tali lagune e paludi dove erano allocate rispetto al Paesaggio Attuale? A causa di quali forze la più grande e gloriosa polis della Magna Grecia si inabissò nelle viscere della Terra?

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2 commenti

  1. Rota Amerigo Giuseppe

    In ordine temporale, una diversa ubicazione dei centri abitati di Sybaris e Thurii è stata teorizzata per primo dall’architetto Silenzi Viselli e successivamente dal geologo Rota che, oltre a confermare sulla base delle fonti storiche una diversa collocazione di Sybaris in un’area a sud prossima all’attuale torrente Raganello, ha scientificamente spiegato quale poteva essere la traccia dell’alveo dell’antico Coscile all’epoca della città di Sybaris nell’articolo pubblicato dal Consiglio Nazionale dei Geologi n.02/2022 (pag.23 e ss.). Vedremo dai nuovi studi cosa emergerà di diverso rispetto a quanto già affermato nella precedenti pubblicazioni.

  2. Spett. Redazione, ho avuto modo di leggere su “Fame di Sud” dello studio sull’evoluzione della Piana di Sibari e le implicazioni legate alla storia della Sibari magnogreca. Ovviamente tutto ciò che porta maggior conoscenza su questo argomento è sempre ben accetto, se costruttivo, diversamente serve a ben poco…
    La ricerca sulla Sibari arcaica è ampia e consolidata, con numerosi studi, tanto antichi quanto recenti, che spaziano dal periodo pre-cristiano fino ai nostri giorni. Un numero considerevole di professori universitari come geologi, storici, archeologi hanno pubblicato materiali molto importanti in merito, così come anche altri studiosi, tra cui gli architetti Maurizio Silenzi Viselli e Carlo Forace, il geologo Giuseppe Amerigo Rota, etc., hanno dedicato tempo e talento a queste tematiche. Pertanto ritengo che sia necessario confrontarsi con questi studi di cui ho fatto cenno.
    In particolare, sul piano strettamente geologico, per quanto riguarda gli “spostamenti” del fiume Coscile (ma anche del Crati e della costa stessa), sono stati condotti molti studi geologici che documentano come alveo fluviale e costa si siano evoluti nel corso del tempo. Ciò è ad es. ben evidenziato nello studio del geologo Rota per il Coscile, oltre che dal Silenzi Viselli e nei lavori di qualificati professori universitari.
    In passato non sono mancati coloro che hanno lamentato la scarsa considerazione riservata alla seria ricerca sulla vera Sibari arcaica, denotando una mancanza d’attenzione da parte di chi avrebbe dovuto occuparsene a livello istituzionale. Comunque non intendo adesso appesantire la discussione con un elenco esaustivo di riferimenti, ma è importante tenere presente che ogni nuovo contributo, per quanto possa sembrare marginale, può e deve potera gettare nuova luce su un argomento così affascinante.
    In conclusione, anche se ogni piccolo tassello è prezioso, diventa essenziale se presenta materiale nuovo, rigoroso e importante ai fini di una seria ricerca della Sibarys arcaica.
    Cordiali saluti
    Dott. Arch. M. L. Scillone

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