La Vergine nel suo luogo celeste cavalca il Leone!
Portatrice di frumento, Inventrice della legge,
Fondatrice delle città, dai cui doni deriva
la fortuna degli uomini di poter conoscere gli Dei:
per questo Lei è la madre degli Dei;
Pace! Virtù! Cibele, che soppesa la vita e le leggi nella sua Equità.
Inno a Cibele
di Redazione FdS
Dalla Frigia, regione storica dell’Anatolia (odierna Turchia), dov’era venerata come la Grande Madre di uomini e dei, la mai nata, l’eterna, divinità della Terra e protettrice dei campi e dell’agricoltura, il culto della dea Cibele passò intorno al VII sec. a.C. nelle colonie greche dell’Asia Minore, in quelle dell’Italia meridionale (a quell’epoca risale un graffito su un coccio ritrovato a Locri Epizefiri, in Calabria) e successivamente a Roma (III sec. a.C.). Tra i primi luoghi dell’Italia antica in cui compare il suo culto c’è dunque anche la Sicilia, con tracce emerse in città come Gela, Selinunte, Siracusa, Catania, Lipari, Mozia e probabilmente Agrigento, ed è certo che esso continuasse a persistere nella nostra penisola ancora nel IV sec. d.C., come documentano la splendida patera argentea di Parabiago custodita al Museo archeologico di Milano o la statua che la raffigura in trono esposta nel Museo di Napoli (foto 2). Raffigurata col capo cinto da una corona turrita (polos), seduta su un trono fiancheggiato da leoni o su un carro da essi trainato, accompagnata dal suo paredro Attis e dai suoi sacerdoti (coribanti), Cibele fu al centro di un culto iniziatico, basato su Sacri Misteri che consentivano all’adepto di accedere ai segreti della vita e della morte.
Ebbene, in pochi sanno che in Sicilia si trova uno dei più importanti tra gli antichi centri di culto di questa misteriosa e affascinante divinità femminile, nonché – come scrisse negli anni ’50 l’archeologo genovese Luigi Bernabò Brea – “il più completo e vasto complesso di figurazioni relative al culto della Magna Mater che il mondo antico ci abbia lasciato”. Si tratta del suggestivo santuario rupestre ubicato nell’area archeologica dell’antica Akrai che – come racconta Tucidide – fu subcolonia greca di Siracusa che la fondò nel VII secolo a.C. facendone un importante avamposto nei rapporti con le città greche della costa meridionale della Sicilia e con quelle sicule dell’interno. Il luogo si trova nel territorio dell’odierna Palazzolo Acreide (Siracusa), borgo di poche migliaia di abitanti ubicato sui Monti Iblei, a poca distanza dalla necropoli rupestre di Pantalica e a circa una quarantina di km dal capoluogo, nonché inserito nel patrimonio UNESCO tra le Città Tardo Barocche della Val di Noto e nel circuito dei Borghi più belli d’Italia.
Grazie alla presenza di un numeroso gruppo di figure scolpite nella roccia (v. fig. 3), quello di Akrai può senza dubbio considerarsi il principale centro di culto sull’isola dedicato a Cibele. Esso sorge sul versante meridionale del Colle Orbo (fig. 4 e 6), su una cui parete rocciosa si aprono 12 nicchie votive disposte lungo una fascia di circa 30 metri e contenenti sculture a rilievo di varie dimensioni, dette Santoni, databili tra il IV e il III secolo a.C. Nei pressi del santuario sono inoltre visibili delle pietre circolari, probabili basamenti di altari, mentre il ritrovamento in loco di lucerne (evocanti riti notturni), olle e piccole patere ha confermato ulteriormente la natura cultuale del luogo.
Una figura femminile domina la scena nei vari rilievi (fig. 5), talora popolati anche da altre figure; un attento studio dei dettagli che ha colto la presenza di attributi tipici come la patera e il tympanon (strumento musicale simile all’attuale tammorra), ha permesso di identificarla con Cibele, la Grande Madre frigia il cui culto conquistò il Mediterraneo; colei che il celebre poeta greco Pindaro – il testimone più antico del suo culto mistico-orgiastico -, definì “Kybéla Mâter theôn” (Cibele, madre degli dei) nella sua IIIa Ode Pitica. Identificazione confermata anche dal raffronto con l’iconografia con cui la dea era rappresentata nel resto del mondo greco, coi capelli raccolti in un oblungo chignon e due lunghi riccioli cadenti sulle spalle, il copricapo a polos (in uno dei rilievi siciliani decorato con una piccola tartaruga nella parte superiore e un toro nella parte inferiore), il chitone pieghettato e l’himation ricadente dalla spalla sinistra e raccolto sulle ginocchia. Quasi sempre la si vede seduta in trono fiancheggiata da due leoni, come nella maggior parte dei rilievi di Akrai o, più raramente, in posizione stante, così come appare, a grandezza naturale, in una delle nicchie siciliane; modelli entrambi riscontrabili in sculture rupestri della madrepatria frigia. Del resto non è un caso che le regioni dell’Asia Minore siano – come scrive la storica delle religioni Giulia Sfameni Gasparro – le uniche in cui è possibile trovare santuari rupestri tipologicamente e cronologicamente più prossimi alla struttura di quello siciliano.
In alcuni dei rilievi siicliani compaiono i Coribanti, suoi mitici sacerdoti, taluno dei quali regge in mano un tympanon, oggetto la cui frequente rappresentazione evoca l’atmosfera orgiastica suscitata dal suo magnetico suono. In altri si scorgono personaggi di contorno ma, data la diffusa erosione della roccia, è stato possibile riconoscere solo le figure di Attis, Hermes, Ecate, i Dioscuri e una non meglio precisata figura maschile che regge due fiaccole probabilmente di fronte a un altare. L’associazione della Grande Madre con tali figure, legata a motivi religiosi, trova riscontro in fonti letterarie, epigrafiche e monumentali, ma la loro simultanea presenza riscontrabile ad Akrai – come scrive Giulia Sfameni Gasparro, tra i massimi esperti italiani di culti orientali – costituisce un elemento di assoluta originalità di cui non sono noti altri esempi. È “un monumento eccezionale, un unicum in tutto l’Occidente”, aggiunge la studiosa.
Il santuario rupestre di Akrai fa parte del significativo gruppo di testimonianze rimaste dell’antica città greca che include anche le Latomie, i resti del Tempio di Afrodite, il Boleuteurion e il Teatro greco (fig. 9 e 10). La città antica subì una prima distruzione a opera delle truppe islamiche che nel IX secolo si accamparono nei suoi dintorni avendo di mira Siracusa, ma il colpo di grazia lo ebbe dal devastante terremoto del 1693, a seguito del quale sarebbe nata la splendida cittadina di impianto settecentesco che oggi conosciamo col nome di Palazzolo Acreide (fig. 6 e 11).
NOTIZIE ANTICHE E RECENTI SUL SITO
Il primo a parlare di questo santuario rupestre, senza peraltro comprenderne la funzione, fu nel XVIII secolo Ignazio Paternò principe di Biscari nel libro Viaggio per tutte le antichità della Sicilia (1781), una sorta di guida archeologica per il viaggiatore curioso in cui ne dà una descrizione sommaria e tuttavia capace di incuriosire il lettore: “Da Cassibile continuando il cammino verso la Terra di Palazzo, s’incontrerà in questo territorio la montagna nominata Acrimonte, nome forse ritenuto dalla distrutta città di Acri, la quale si crede essere stata in questi contorni, secondo la opinione del Fazello. Troverà il Viaggiatore curiosi monumenti, forse altrove di simil genere non osservati. Vedrà nelle rocche, che formano la base di questo monte, incavate alcune nicchie di varie forme, e in esse scolpite molte figure di buona mano e disegno, rappresentanti alcune donne sedenti; e principalmente nella maggiore, ove alcune donne hanno intorno molti fanciulli di varie grandezze, con figure militari da’ lati. Queste scolture sono chiamate da’ paesani i Santoni”.
Al principe di Biscari fece seguito il pittore, incisore e architetto francese Jean-Pierre Houël, uno dei celebri protagonisti del Grand Tour in Italia, nella sua opera Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malte et de Lipari, où l’on traite des antiquités qui s’y trouvent encore (1782), corredata di numerose incisioni. Scrive, tra l’altro, l’artista: “In uno spazio di 10 o 12 tese, si vede una grandissima quantità di bassorilievi; la maggior parte sono oltremodo mutili, e tutti lo sono più o meno. Alcuni sono stati cancellati più della mano degli uomini che da quella del tempo. I pastori dei dintorni prendono talvolta le pietre e, per passatempo, senza cattive intenzioni, colpiscono le teste delle figure senza rendersi conto di quello che fanno. Essi distruggono per distruggere, come fanno i bambini con i giochi che loro si donano e se ne pentono quando non li hanno più. I bassorilievi sono anch’essi curiosi, soprattutto perché scolpiti nella roccia e questa circostanza è molto rara. Mi colpì talmente che ho ritenuto opportuno disegnarne alcuni per porgerle in visione ai miei lettori (…). Al sito dei Santoni Houel dedica tre tavole (fig. 1, 7 e 8), le quali hanno però il limite di essere sue interpretazioni artistiche del luogo, poco fedeli alle raffigurazioni originali, contribuendo così ad alimentare varie inesattezze sul luogo, a cominciare da quella che attribuiva alle sculture una funzione funeraria.
Equivoci che proseguirono nel XIX secolo anche con le prime indagini archeologiche condotte dal barone Gabriele Iudica, seguite da quelle del duca Domenico Lo Faso che, rimanendo ancorato alla interpretazione funeraria, identificò la divinità femminile con Persefone, tesi raccolta anche da Paolo Orsi e Biagio Pace, il cui personale prestigio oscurò la tesi dell’archeologo tedesco Alexander Conze che, basandosi sui disegni tracciati da Francesco S. Cavallari a corredo della pubblicazione di Lo Faso, aveva colto per primo le analogie tra le raffigurazioni di Akrai e quelle anatoliche e greche della Dea Cibele; tesi che prese definitivamente corpo verso la metà degli anni ’50 quando grazie agli accurati disegni di Rosario Carta e a fotografie scattate durante gli Scavi della Soprintendenza alle Antichità, l’archeologo Luigi Bernabò Brea nel volume Akrai (1956) inserì il santuario rupestre dell’antica città greca nel più ampio contesto della diffusione del culto di Cibele nel mondo greco-romano, datandolo al periodo alto-ellenistico grazie anche al ritrovamento di frammenti ceramici della seconda metà del III sec. a.C. e di una moneta di Ierone II. Lo storico delle religioni olandese Maarten J. Vermaseren che, accogliendo questa tesi, incluse il santuario rupestre di Akrai nel suo “Corpus cultus Cybelae Attidisque”, scrisse a sua volta di condividere l’ipotesi del prof. Brea secondo la quale molte delle statue dovettero in origine essere decorate con bracciali metallici, collane e corone in quanto si intravedono ancora i fori che permettevano di fissarli.
Altre importanti informazioni sono emerse dall’indagine della prof.ssa Giulia Sfameni Gasparro che ha colto il carattere unitario del complesso rupestre a seguito di un’attenta analisi comparativa che le ha permesso di identificare il significato di molte delle raffigurazioni, esposto nella monografia I Culti Orientali in Sicilia (1973). Il santuario rupestre – spiega la studiosa – è coerente con la natura di Cibele quale “Madre montana” (Meter oreia) e col suo culto mistico-orgiastico, svolto spesso in contesti extra-urbani, e si impone all’attenzione soprattutto per la complessità dell’iconografia, sebbene non abbia avuto in ambito scientifico il rilievo che avrebbe meritato quale eccezionale testimonianza in Occidente della tipologia di santuari rupestri presente in Frigia e nel resto dell’Asia Minore. A differenza di altri studiosi che spesso hanno offerto interpretazioni in contraddizione con i dati archeologici o che, pur chiamando in causa il culto di Cibele, non ne hanno approfondito le valenze religiose, la Sfameni Gasparro è riuscita a condurre un’indagine abbastanza puntuale nonostante le condizioni del monumento deteriorato dall’azione dell’uomo e del tempo.
Osservando la ricorrente immagine della dea e le molteplici figure che la circondano, ha così delineato i tratti di “una complessa e articolata teologia ruotante attorno al personaggio centrale del culto”, nella quale – a parte una serie di figure di incerta lettura per via delle condizioni del monumento – è stato possibile identificare l’immagine del paredro della dea, Attis, in un personaggio a gambe incrociate, quelle dei Coribanti, ossia i sacerdoti della dea “scolpiti in dimensioni ridotte ai due lati della testa della dea, che evocano la peculiare componente mistico-orgiastica del culto”, elementi che, insieme ad altri presenti nei rilievi, “trovano paralleli nei vari settori dell’orizzonte mitico e cultuale che, a vario titolo e in periodi e contesti diversi, si dispiega attorno alla Meter Cibele” ma che, tuttavia, “nella forma qui rappresentata” danno corpo a “un unicum iconografico e religioso in cui si coagulano in maniera originale elementi appartenenti a filoni diversi” della tradizione riguardante la divinità. Da tale punto di vista – aggiunge la storica – i rilievi siciliani fondono e rielaborano “in maniera originale il tema delle associazioni e “assemblee” divine ruotanti attorno alla dea, in una densa accumulazione di “presenze”, in altri casi distinte”.
Circa le ragioni di una tale presenza cultuale di matrice orientale, la Sfameni Gasparro la riconduce ai “numerosi e forti rapporti culturali di Siracusa con il mondo anatolico” e alla “profonda penetrazione nel tessuto culturale siciliano di motivi artistici di origine anatolica, soprattutto nel periodo alto ellenistico e in specifica connessione con la politica di ampio respiro internazionale di Ierone II di Siracusa”. In particolare un determinante ruolo di ponte avrebbe svolto “la grecità micro-asiatica, con la sua simbiosi vitale di elementi ellenici e anatolici”, ed è appunto in quei centri dell’Asia Minore che in epoca ellenistica continuavano a edificare i tipici luoghi rupestri votati al culto della dea frigia che andrebbero ravvisati i parametri di riferimento del singolare monumento rupestre di Akrai, sebbene quest’ultimo, nella complessità dei suoi schemi iconografici, rivela “una fisionomia peculiare, irriducibile a modelli noti” (S. Gasparro 1996). Al tempo stesso la studiosa ritiene altamente verosimile che il culto siciliano di Cibele abbia svolto un importante ruolo di intermediazione rispetto all’ingresso della dea nel pantheon romano, nel quale un ruolo determinante avrebbero giocato gruppi di potere di lunga esperienza siceliota e, più in generale, personaggi coinvolti nelle vicende siciliane sullo scorcio del III secolo, i quali dovettero conoscere sull’isola il culto della Grande Madre.
IL PRESENTE
Il santuario rupestre di Palazzolo Acreide, esposto da secoli al deterioramento provocato dagli agenti atmosferici e soprattutto dall’azione dell’uomo, come segnalava già a fine ‘700 il pittore francese Houël (ma negli anni ’50 del ‘900 la situazione peggiorò a causa dei colpi di piccone inferti alle statue da un contadino che mal sopportava la presenza di visitatori), in tempi più recenti è incredibilmente rimasto in un lungo stato di abbandono, nonostante il suo straordinario valore storico-culturale; eppure il luogo conserva ancora grande fascino e suggestività. Questo ha favorito la riaccensione dei riflettori su questo sito così prezioso: a cominciare dalla costituzione di un comitato di cittadini denominato “MIB – Mediblei per Cibele” che nel 2020 ha candidato il sito a “I Luoghi del Cuore 2020”, la nota campagna nazionale promossa dal FAI per i luoghi italiani meritevoli di tutela e valorizzazione; un’iniziativa che, nello stesso anno, ha portato alla riapertura del sito per le Giornate Autunnali del FAI, suscitando grande curiosità, oltre che alla promozione – da parte dell’IIS di Palazzolo Acreide, in collaborazione con la cooperativa MIB-Mediblei e i Comuni di Palazzolo Acreide e Noto – del progetto divulgativo “Re-start Santoni” che nel 2021 ha visto coinvolti gli studenti del Polivalente di Palazzolo (indirizzi Classico, Linguistico e Artistico). Finalmente, a gennaio 2022 è giunta notizia di importanti progressi nella procedura di aggiudicazione del progetto di recupero, valorizzazione e fruizione dell’area del teatro Antico-Santoni di Palazzolo Acreide per un importo di 1.500.00 di euro, finanziato con risorse del Po-Fesr 2014-2020, ovvero lo stadio più avanzato di un percorso partito nel 2021 con la determina con cui il Soprintendente dei Beni Culturali di Siracusa autorizzava finalmente l’avvio delle procedure per la gara con la procedura negoziata previa consultazione di almeno quindici operatori. Un’iniziativa di cui si attendono gli sviluppi e che dovrebbe rappresentare una preziosa occasione di riscatto per un sito archeologico unico al mondo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riferimenti bibliografici:
Angela Bellia, I Santoni di Akrai. Esempi di raffigurazioni musicali del culto di Cibele in Sicilia, in Sicilia antiqua: International Journal of Archaeology, IV, Fabrizio Serra editore, Roma, 2007, pp. 87-98
Luigi Bernabò Brea, Giovanni Pugliese Carratelli, Clelia Laviosa, Akrai, Industria grafica «La Cartotecnica» di Scicali & Molino, Catania, 1956, pp. 187
Giulia Sfameni Gasparro, I culti orientali in Sicilia, tomo 31 di Études préliminaires aux religions orientales dans l’Empire romain, Brill Academic Publishers, Leiden, 1973, pp. 338
Giulia Sfameni Gasparro, Per la storia del culto di Cibele in Occidente: il santuario rupestre di Akrai, in AA.VV. Cybele, Attis, and related cults : essays in memory of M.J. Vermaseren, Brill, Leiden, 1996, pp. 51-86
Giulia Sfameni Gasparro, Cibele ad Akrai: tra Oriente e Occidente, in Sikelika Hiera, Approcci multidisciplinari allo studio del sacro nella Sicilia greca, CNR Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale, Catania, 2010, pp. 339 – 350
Jean-Pierre-Laurent Hoüel, Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malte et de Lipari, où l’on traite des antiquités qui s’y trouvent encore: des principaux phénomènes que la nature y offre; des costume des habitans, & de quelques usages, De l’Imprimerie de Monsieur, Parigi, 1782, pp. 129
Gabriele Judica, Le antichità di Acre scoperte, descritte ed illustrate, presso Giuseppe Pappalardo, Messina, 1819, pp. 167
Ignazio Paternò Castello principe di Biscari, Viaggio per tutte le antichità della Sicilia, Tipografia di Francesco Abbate, Palermo, 1817, pp. 292
M.J. Vermaseren, Acrae, in Corpus cultus Cybelae Attidisque: CCCA. IV. Italia – Aliae Provinciae, pp. 61-66, tomo 50 di Études préliminaires aux religions orientales dans l’Empire romain, Brill, Leiden, 1978, pp. 142 + CXI pp. illustr.