Tra i reperti tornati alla luce anche una sirena in avorio del VI sec. a.C. e la matrice in pietra per la fusione di un oggetto rituale in bronzo, forse uno scettro
di Redazione FdS
In Sicilia, a Selinunte (Castelvetrano, TP), nel cuore del più grande parco archeologico d’Europa con i suoi 270 ettari di natura e di maestose rovine affacciate sul mare, sono stati riportati alla luce i confini di una piazza di forma trapezoidale di circa 33 mila metri quadri: dimensioni enormi, pari al doppio della romana Piazza del Popolo, capaci di evocare un forte senso di magnificenza. Si tratta dell’agorà, la più grande del mondo antico mai ritrovata; al suo centro, monumento solitario, una tomba, presumibilmente quella del fondatore, ovvero Pammilo da Megara Hyblea la colonia greca della costa orientale che, secondo lo storico Diodoro Siculo, diede vita a Selinunte nel 650 a.C. (628 a. C. secondo Tucidide). Nelle città greche non era raro infatti che la tomba dell’ecista (heroon) fosse collocata nell’agorà, la quale rappresentava il fulcro della città, il luogo in cui sboccavano le principali arterie e su cui affacciavano in gran numero edifici pubblici e sacri. Questo sepolcro va ad aggiungere fascino e mistero a ciò che resta di una città che tra il VI e il V secolo a.C. raggiunse il massimo splendore dominando, quale presidio greco più occidentale dell’isola, su un vasto territorio ai confini con l’area occupata dai Cartaginesi; posizione geografica che, unitamente a una sua temeraria politica espansionistica, avrebbe condannato Selinunte a una vita alquanto breve.
L’agorà non è l’unico ritrovamento compiuto nel corso dell’ultima campagna di scavi che – sotto la guida dell’archeologo Clemente Marconi, dedito da decenni allo studio dei resti dell’antica colonia greca – ha visto lavorare insieme per la prima volta due missioni internazionali, quella dell’Institute of Fine Arts della New York University e quella dell’Università degli Studi di Milano con la squadra dell’Istituto Archeologico Germanico: sull’acropoli sono infatti emersi i resti di quello che sembra essere stato il luogo sacro dei primissimi coloni greci di Selinunte, ma anche amuleti e oggetti di grande raffinatezza uguali ad altri ritrovati in Grecia, a Delfi, che si aggiungono al mistero di uno stampo in pietra che sembra essere stato usato per fondere uno scettro in bronzo.
A distanza di due anni dall’inizio della pandemia, si è finalmente ricominciato a scavare a pieno ritmo lo scorso giugno e i risultati – ha sottolineato Marconi -, “sono andati molto oltre le aspettative”. L’obiettivo iniziale era infatti quello di definire l’epoca di costruzione di due dei templi più recenti dell’acropoli, denominati A e O, a lungo ritenuti gemelli. Il nuovo scavo ha invece dimostrato che A è stato costruito prima di O e che la costruzione di quest’ultimo è stata probabilmente interrotta a causa di uno smottamento del terreno. Ma ad attirare soprattutto l’attenzione degli studiosi è stata la individuazione di una faglia d’acqua sotto le fondazioni del tempio A, dettaglio che – ha aggiunto Marconi -, “conferma l’ipotesi che i primi coloni greci si siano insediati proprio in questa porzione meridionale dell’Acropoli” dando vita proprio in quel punto al primo nucleo della città.
Scavando in profondità intorno ad un terzo tempio, cosiddetto R, risalente al VI sec. a C. e successivamente riedificato dopo il 409 a.C., quando i Cartaginesi occuparono e distrussero la città, gli archeologi hanno identificato le mura di un recinto rituale risalente al 610 a C., a breve distanza di tempo quindi dall’arrivo dei coloni guidati da Pammilo. Ed è proprio in questo contesto che dal terreno è spuntata la parte mancante della succitata matrice in pietra (la prima era stata rinvenuta nei pressi dieci anni fa) usata per la fusione in bronzo di quello che sembrerebbe essere uno scettro, o comunque un oggetto rituale non destinato ad essere replicato, come dimostra il seppellimento in luoghi diversi, dopo la fusione, delle due parti della matrice.
Dallo stesso edificio provengono infine altri due oggetti, prossimi ad essere esposti nell’antiquarium del Parco: un amuleto in forma di falco, immagine del dio Horus realizzata in blu egizio e importata dall’Egitto di fine VII sec. a C, e una raffinata statuina in miniatura di una sirena in avorio, ritrovata in frammenti nel 2017 e ricostruita di recente in laboratorio: “una piccola meraviglia – ha spiegato Marconi -, quasi certamente proveniente dalla Grecia, che racconta la ricchezza raggiunta dalla città nel VI secolo a.C.”, cioè circa due secoli prima che Selinunte facesse una terribile fine per mano dei soldati di Annibale. “Si tratta – ha concluso Marconi – di risultati della massima importanza per la conoscenza di Selinunte in età arcaica e classica”.
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