di Kasia Burney Gargiulo
Costa settentrionale della Sicilia, fra Termini Imerese e Cefalù, sulle pendici nord-ovest delle Madonie. Siamo fra i resti di Himera, l’antichissima polis greca fondata nel VII sec. a.C. dai Calcidesi di Zancle (l’odierna Messina) e da un gruppo di esuli siracusani. Fu un avamposto della Sicilia ellenica al confine con la parte dell’isola controllata dai Fenici. Una città fuori dai traffici diretti con la Grecia e col bacino del Mediterraneo, eppure strategica per il suo ruolo di sentinella, al punto da far gola a città importanti come Agrigento e Siracusa, il cui contenzioso con i Cartaginesi avrebbe portato alla disfatta di questi ultimi nella celebre Battaglia di Himera combattuta nel 480 a.C. proprio nella pianura prospiciente la città. Un episodio di cui rimane testimonianza nelle migliaia di scheletri rinvenuti in fosse comuni e nei resti del Tempio della Vittoria, eretto nell’occasione ma incendiato nel 409 a.C. quando i Cartaginesi si presero la rivincita assediando e radendo al suolo la città che aveva dato i natali all’illustre poeta Stesicoro e a diversi atleti vincitori dei giochi Olimpici.
Nel parco archeologico, che include ben due musei, proseguono gli scavi che a più riprese vanno avanti dal 1926 portando alla luce nel tempo tracce di monumenti e reperti di valore come il Temenos di Athena, riemerso nella zona dell’acropoli, gli splendidi gocciolatoi a protome leonina del Tempio della Vittoria, uno dei quali custodito nel locale Antiquarium e gli altri nel Museo ‘Salinas’ di Palermo, oppure la bellissima laminetta aurea con la Gorgone in ginocchio, oltre ai corredi superstiti di circa 10000 sepolture di età arcaica e classica. Ora, accanto alla Himera monumentale e funeraria, va emergendo anche un volto più intimo e quotidiano della città, come dimostra il recente rinvenimento dei resti di una antica “focacceria”, ossia di uno spazio destinato alla preparazione di alimenti fra cui dominava l’antenata dell’odierna pizza, ossia un genere di focaccia schiacciata, non necessariamente lievitata, già nota agli Egizi e in uso anche presso Greci e Romani.
La scoperta si deve a un team di archeologi dell’Università di Berna guidati dalla prof. Elena Mango, che sta conducendo una campagna di scavi in convenzione con il Polo regionale di Palermo per i parchi e i musei archeologici. Fin dal 2012 gli scavi stanno riportando alla luce alcune aree sacre che saranno oggetto di ulteriori studi nei prossimi anni. Il recente intervento si è svolto con la supervisione della direttrice del polo palermitano Francesca Spatafora e della responsabile del Parco di Himera Maria Rosa Panzica.
E proprio ad un’area sacra, caratterizzata dalla presenza di tre altari, afferisce il vano destinato alla preparazione e conservazione di cibi. Si tratta di una dispensa per derrate alimentari come vino, frumento, acqua e olio, ma non mancano piccoli forni a campana, piastre e pentole che gli studiosi ritengono fossero appunto utilizzati per la preparazione di focacce destinate alle numerose persone che frequentavano il santuario. Un ricco deposito di anfore per l’acqua (hydrie) segnala inoltre la probabile presenza di una sorgente che dovette servire sia a scopo alimentare sia per le abluzioni obbligatorie di chi si accingeva ad entrare nel santuario. “Si tratta di una ulteriore scoperta che arricchisce in maniera significativa – afferma la dottoressa Spatafora – le nostre conoscenze intorno ai culti religiosi e alla vita quotidiana di una città che ebbe rapido sviluppo edilizio e demografico, documentato dai grandi impianti urbanistici realizzati a partire dalla prima metà del VI sec. a.C. e dalla monumentalizzazione del santuario di Athena nella parte alta della polis“.
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