Sicilia terra di arcaiche pietre-calendario. Nuova eccezionale scoperta a Castellammare del Golfo

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La pietra-calendario di Castellammare del Golfo (Trapani) - Ph. Ansa

La pietra-calendario di Castellammare del Golfo (Trapani) – Ph. Ansa

Fra conferme e nuove segnalazioni, in Sicilia va rivelandosi l’esistenza di una rete di pietre-calendario databili ad oltre 5000 anni fa, legate a fenomeni astronomici ed usate per regolare le attività agrarie e religiose dell’uomo

di Redazione FdS

Risale ad appena lo scorso dicembre 2016 la notizia del ritrovamento nei dintorni di Gela (Agrigento), in contrada Cozzo Olivo, a breve distanza dalle necropoli protostoriche di Grotticelle, Ponte Olivo e Disueri, di un monolito naturale alto oltre 7 metri e forato artificialmente dagli uomini dell’età del bronzo intorno al IV millennio a.C. Un manufatto allineato col sorgere del sole al solstizio d’inverno per contrassegnare l’inizio della stagione fredda e del progressivo incremento della luce del giorno. Ma la Sicilia continua a riservare sorprese come dimostra un nuovo ritrovamento avvenuto di recente nel trapanese, per l’esattezza nel territorio di Castellammare del Golfo: si tratta di una pietra di grande suggestione che sembra evocare la forma di un cavallo (v. foto in alto), sospesa in sorprendente equilibrio su altre rocce affioranti dal terreno e anch’essa allineata con il fenomeno solstiziale. Parallelamente a questa nuova scoperta l’attenzione degli studiosi è stata attratta da un terzo monolito forato, segnalato stavolta a Monte Petrulla, nel territorio di Licata (Agrigento).

LE PIETRE-CALENDARIO GIÀ NOTE IN SICILIA

Le ultime tre nuove acquisizioni vanno ad aggiungersi ad altri due monoliti forati già noti: il primo, detto Campanaru, è ubicato sul Monte Arcivocalotto, altura nei pressi della Valle dello Jato, in territorio di San Cipirello (Palermo), in un’area ricca di presenze preistoriche che ha restituito frammenti ceramici databili al periodo Eneolitico (Età del Rame), all’Età del Bronzo e fu molto frequentata anche in età classica, romana e medievale. Posto al limite di uno strapiombo di circa 100 metri – al di sotto del quale Alberto Scuderi, direttore regionale dei Gruppi archeologici d’Italia, e Andrea Orlando, astrofisico dell’Università di Catania, hanno ritrovato una tomba intatta dell’Età del rame – il monolito è costituito da una grossa roccia di arenaria larga circa 4 metri e alta circa 3 metri, con un foro centrale di circa due metri di diametro. Essa sorge su ciò che resta di una sorta di piattaforma probabilmente lavorata dall’uomo, sulla quale appare incisa una quadruplice cinta, ossia una figura geometrica costituita da quattro quadrati concentrici uniti da altrettanti tratti perpendicolari. Nei pressi vi compare un piccolo menhir triangolare disposto in posizione verticale, probabile superstite di una serie che doveva forse circondare un’area sacra incentrata sul monolito. Studi archeoastronomici hanno definitivamente chiarito l’orientamento del megalite verso l’alba del Solstizio invernale.

Il secondo, detto Cozzu Perciata (cioè roccia bucata), si trova a circa otto chilometri dall’altro, fra San Cipirello e Camporeale, in un’area interessata da un insediamento preistorico. Di questo megalite persiste purtroppo solo la metà, per cui non è più visibile l’intero foro centrale. Gli studiosi sono riusciti tuttavia a recuperare alcune immagini aeree scattate dopo il sisma che nel 1968 colpì la zona del Belice, adiacente alla Valle dello Jato, e su una di esse è in particolare visibile il monolito Cozzo Perciata ancora integro. Sopravvissuto al sisma, molto probabilmente fu successivamente abbattuto da qualche altro evento naturale. La cosa sorprendente, in questo caso, è la sopravvivenza nel dialetto locale della sua definizione come “a petra unni nasci u soli” (la pietra dove nasce il sole) oltre al persistente collegamento da parte di qualche contadino fra il sorgere del sole nel foro e l’arrivo del tempo della mietitura. Non a caso gli studiosi ne hanno accertato l’allineamento con l’alba del solstizio d’estate e dunque la sua reale correlazione col raccolto.

La molteplice presenza di questi megaliti in Sicilia, ha indotto gli studiosi a ritenere che la regione in età preistorica sia stata interessata dalla realizzazione di una vera e propria rete di “pietre-calendario”, allineate col sole e finalizzate a scandire visivamente il trascorrere delle stagioni, con i relativi tempi di semina e raccolto, oltre che il susseguirsi di determinate ricorrenze religiose. Questa la tesi sostenuta da Alberto Scuderi riferendosi allo studio multidisciplinare diretto dal professor Vito Francesco Polcaro dell’istituto nazionale di astrofisica e planetologia spaziali. Ad entrambi si deve anche la recente conferma della natura di pietra-calendario del monolito identificato a Gela lo scorso dicembre.

IL MONOLITO DI GELA È UN CALENDARIO REALIZZATO DALL’UOMO. LA CONFERMA DEGLI ESPERTI

Il monolito di Gela (Ag) – Ph. © Giuseppe La Spina

Il monolito di Gela (Ag) – Ph. © Giuseppe La Spina

A circa tre mesi dalla scoperta, arriva ora conferma della natura di pietra-calendario del monolito ritrovato a Gela (Agrigento), in contrada Cozzo Olivo. La certezza giunge all’indomani di un sopralluogo interdisciplinare, cui hanno preso parte Alberto Scuderi, vicepresidente nazionale dei gruppi archeologici d’Italia, il prof. Vito Francesco Polcaro, archeo-astronomo dell’istituto di astrofisica e planetologia spaziali Inaf di Roma e del Centro studi astronomia e valorizzazione del patrimonio culturale di interesse astronomico (unità di ricerca dell’Università di Ferrara), Ferdinando Maurici, direttore del museo regionale di Terrasini, i membri del gruppo archeologico di Gela e scopritori del monumento, Giuseppe La Spina, Michele Curto, Mario Bracciaventi e Vincenzo Madonia, e il presidente regionale dell’Ordine dei geologi della Sicilia, Giuseppe Collura. Quest’ultimo ha escluso che il foro presente sul megalite possa essere un effetto della naturale attività erosiva. “Si tratta – ha aggiunto il prof. Polcaro – di un monumento realizzato dall’uomo, modificando un lastrone di arenaria e orientando lo scavo del foro in modo che il sole sorga al suo centro all’alba del solstizio d’inverno”.

“Questa scoperta – ha concluso Polcaro – ha un’importanza notevole perché indica che l’uso di tali calendari di pietra, realizzati molto probabilmente nell’età del bronzo per evidenziare le date dei solstizi a scopo cronologico e cultuale, era diffusa su un area molto più vasta della Valle del Belice e permette di avanzare motivate ipotesi sulla civiltà che li ha costruiti”.

L’IMPORTANZA DEGLI STUDI DI ARCHEOASTRONOMIA

Gli studi condotti su questi megaliti sono particolarmente importanti per la conoscenza di un aspetto ancora poco noto delle civiltà più arcaiche del Mediterraneo, quello appunto della misurazione del tempo in rapporto a fenomeni astronomici e alle attività dell’uomo. L’archeostronomia, infatti, è una disciplina che viene solitamente associata a siti di Paesi europei come la Gran Bretagna, la Francia, la Penisola Iberica, o extraeuropei, e non è un caso – rilevano Scuderi, Poclaro e Maurici – che gli studi dedicati a monumenti italiani siano rimasti ad oggi piuttosto scarsi e circoscritti soprattutto a poche aree geografiche e a pochi contesti culturali, come la civiltà nuragica in Sardegna, il tardo Neolitico in Puglia, il Villanoviano e la civiltà celtica nella Pianura Padana. Di recente però “è stato dimostrato – aggiungono i tre studiosi – che la presenza di monumenti orientati astronomicamente e dedicati prevalentemente all’indicazione del solstizio d’inverno è relativamente diffusa in Italia Meridionale. A tal proposito è da segnalarsi il ponderoso studio di M. Hoskin sull’orientamento astronomico di templi e tombe preistoriche in ambito mediterraneo che ovviamente prende in considerazione anche le regioni italiane e la stessa Sicilia”.

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Riferimenti bibliografici:

– Ignazio Burgio, Le civiltà stellari, StreetLib editore, Loreto, 2012, pp. 222
– Michael Hoskin, Stele e stelle. Orientamento astronomico di tombe e templi preistorici nel Mediterraneo, ANANKE, Torino 2006, pp. 320
– Alberto Scuderi, Vito F. Polcaro, Ferdinando Maurici, New archaeoastronomical findings in the Alto Belice Valley (Sicily), in Mediterranean Archaeology and Archaeometry (MAA), Vol. 14, N° 3, pp. 93-98, Greece, 2014
– Ferdinando Maurici, Vito Francesco Polcaro, Alberto Scuderi, Le “pietre dove nasce il sole” fra medioevo e preistoria. Rocce artificialmente forate e astronomicamente orientate nel territorio a sud di Monte Iato (Sicilia, prov. di Palermo), in «MediaevalSophia». Studi e ricerche sui Saperi Medievali, E-Review semestrale dell’Officina di Studi Medievali, 15-16 (gennaio-dicembre 2014), pp. 39-69

 
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