Sila archeologica: alla scoperta del volto inedito dell’altopiano calabrese

Nel Torrente Cecita, affluente destro del fiume Mucone – Ph. © Andrea Martini di Cigala

Dal 2005 le scoperte archeologiche in Sila rivelano tracce di una frequentazione plurimillenaria dell’altopiano, parallela a un’evoluzione del paesaggio: uno straordinario connubio di natura e cultura sconosciuto ai più. E mentre si annuncia una nuova importante scoperta, si attende la fruibilità di quanto già rinvenuto

di Redazione FdS

La storia che stiamo per raccontarvi ha dell’eccezionale, tranne che per un aspetto, purtroppo consueto nel nostro Paese: un patrimonio archeologico plurimillenario viene riportato alla luce e studiato, ma rimane appannaggio di pochi addetti ai lavori, con prospettive non ancora definite di fruizione da parte del pubblico. Succede in Calabria, in quel lembo unico di paesaggio “nordico” nel cuore del Mediterraneo che va sotto il nome di Sila, da tempo ricercata meta turistica capace di regalare emozioni tutto l’anno.

Riserva della Biosfera italiana nell’ambito della Rete Mondiale dei siti di eccellenza dell’UNESCO e già tutelata da un Parco Nazionale  istituito nel 1997 su un territorio di circa 80 mila ettari suddiviso fra le province di Cosenza, Catanzaro e Crotone, la Sila ha ancora molte storie da raccontare. Ne sono protagonisti la sua lussureggiante natura, il duro lavoro dell’uomo, da sempre fruitore delle sue preziose risorse e, da ultimo, un’inaspettata stratificazione di civiltà i cui segni stanno riemergendo da anni fra laghi, valli e alture odorose di resina ed essenze d’ogni tipo. E’, quest’ultimo, il volto della Sila archeologica di cui molti ignorano persino l’esistenza: un incredibile viaggio nel tempo che dagli albori della storia umana arriva fino all’Alto Medioevo.
 

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Foresta di conifere sul Torrente Cecita, Parco Nazionale del Pollino – Ph. Andrea Martini di Cigala

LE PRIME IMPORTANTI SCOPERTE

Mentre una conferenza stampa presso il Centro Visite Cupone di Camigliatello Silano, fornirà oggi i dettagli di una nuova sorprendente scoperta, ripercorriamo a grandi linee alcuni fra i principali ritrovamenti archeologici avvenuti sull’altopiano da poco più di un decennio. Nel 2005 venne comunicato il rinvenimento di quello che fu definito “il più antico insediamento umano d’altura” scavato in Calabria. A dirigere i lavori c’era l’archeologo crotonese Domenico Marino, direttore della Soprintendenza archeologica della Calabria, supportato da Ministero per i Beni e le Attività culturali, Università della Calabria e “Federico II” di Napoli.

Il vasto insediamento, ubicato intorno ai 1130 m. di altezza, si trova nella Sila Grande in cima a un terrazzo lungo le rive del Lago Cecita, grande bacino artificiale ideato e progettato agli inizi del ‘900 dall’ingegnere Angelo Omodeo e realizzato nel secondo dopoguerra. L’indagine archeologica ha peraltro consentito di accertare l’esistenza, in età antica, di un lago naturale nella medesima area.
 

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Indagini archeologiche sulle rive del Lago Cecita, Parco Nazionale della Sila – Ph. courtesy Domenico Marino

I saggi esplorativi datano il sito tra il 3.600 ed il 3.350 a.C. (Eneolitico iniziale), ma alcuni reperti ne testimoniano tuttavia una frequentazione più antica, tra il 3.800 ed il 3.600 a.C. (Neolitico finale), un’epoca già documentata in Calabria da resti di villaggi o singole fattorie, ma la novità è data, per le sue fasi più tarde, dalla presenza di insediamenti in ambienti insoliti come le aree collinari interne e appunto la montagna. Essi erano stabili o stagionali legati cioè al fenomeno della transumanza dalle pianure costiere ai pascoli d’altura o ad attività di pesca fluviale o lacustre.

L’insediamento del Cecita, spiega Marino, era posto lungo una delle principali vie di transito fra Jonio e Tirreno, aperta al traffico di ossidiana proveniente dalle Eolie, e forse anche dei metalli estratti in area silana, soprattutto nel territorio di Longobucco. A svelarne la presenza fu il recupero di alcuni significativi reperti archeologici, fra cui ceramiche d’impasto di buona fattura, asce e asce-piccone in pietra granitica, grandi lame, elementi di falcetto e punte di freccia in selce e frammenti di lama in ossidiana, strumenti indicativi di una pratica dell’agricoltura e della caccia nonché dell’utilizzo del legname offerto dalla ricca foresta locale. Fra i reperti anche una fuseruola, attestante la probabile filatura della canapa, del lino selvatico e della ginestra la cui lavorazione fa parte della tradizione regionale.

La scoperta ha colto di sorpresa i ricercatori convinti da sempre che in epoche remote la Sila fosse disabitata mentre ora andava rivelando un’intensa frequentazione, soprattutto in corrispondenza delle grandi vallate fluviali. Si è aperta così una nuova stagione di ricerche estese a tutta l’area silana.

NUOVE SORPRENDENTI SCOPERTE

L’ambito cronologico dei rinvenimenti si è ampliato nel 2007, quando Domenico Marino, in collaborazione con Armando Taliano Grasso, professore di Topografia antica presso l’Università della Calabria, effettuò nuovi ritrovamenti presso i terrazzi dei laghi Cecita e Arvo, esplorati con ricognizioni sistematiche (la zona dell’Arvo era stata già in parte esplorata nei primi anni ’80 da Italo Biddittu). Emersero tracce di diversi altri insediamenti, posizionati con rilevazione satellitare e riferibili ad un arco temporale che va dal Paleolitico antico (700.000 a.C.) alla tarda età imperiale (V secolo d.C.).
 

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Indagini archeologiche sul Lago Cecita, Parco Nazionale della Sila – Ph. courtesy Domenico Marino

– La Preistoria

Il Paleolitico inferiore, spiega Marino, risulta documentato dalle industrie su ciottolo (700.000-500.000 anni fa), rinvenute oltre che sulla riva sud-occidentale del Lago Cecita (a Campo San Lorenzo, dove un’équipe dell’Università di Roma, guidata dal prof. Umberto Nicosia, individuò paleosuoli con impronte fossili di animali), anche nella vallata del Lago Arvo in un arco di circa 3 km lungo la riva nord-orientale e attestanti una presenza attiva dell’Homo erectus. Per il Paleolitico medio e superiore le industrie litiche raccolte in diverse località mostrano una frequentazione già da parte dell’uomo di Neanderthal, poi sostituito dall’Homo sapiens. Indagini stratigrafiche nel grande abitato preistorico di Piano di Cecita (IV millennio a.C.), hanno invece portato alla luce i resti di alcune capanne a pianta absidata e numerosi vasi integri. Il ritrovamento di porzioni di campi con tracce di aratura e di numerosi pesi litici, testimoniano inoltre come le comunità preistoriche dell’area del Cecita praticassero l’agricoltura e la pesca con la rete. La successiva Età del Bronzo vede ancora un’espansione dalle aree costiere verso l’interno con la nascita di altri insediamenti in altura, con attività di allevamento del bestiame e di colture bisognose di terreni più profondi e clima più fresco. Le testimonianze, risalenti alle età del Bronzo Antico e Medio, già rinvenute in precedenza e ulteriormente approfondite, riguardano le aree dei laghi Ampollino e Cecita e il territorio del comune di Acri. Diversi anche i siti dell’Età del Ferro,  fra i quali spicca quello di Timpa del Gigante, in territorio di Cotronei.

– Il periodo Greco-Romano

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Resto di statuina fittile dall’area del santuario greco (VI-III sec. a.C) – Ph. courtesy Domenico Marino

Ma le sorprese non erano finite: sul terrazzo di Campo San Lorenzo è stata individuata una fattoria di età imperiale romana, con documentazione numismatica che comprende un sesterzio di Antonino Pio, mentre sull’estrema propaggine settentrionale del terrazzo di Forge di Cecita, è stato localizzato un eccezionale complesso monumentale sacro di età greca (VI-III secolo a.C.) probabilmente attribuibile a una divinità femminile. L’indagine stratigrafica sull’area del santuario ne ha mostrato la delimitazione tramite un lungo muro oltre il quale sono emersi i resti di un edificio in pietra a pianta rettangolare. Saggi di scavo hanno rivelato deposizioni di armi in ferro, punte di lancia, giavellotti ed asce, oltre a statuette fittili di divinità in trono, diversi vasi, di produzione coloniale e di importazione, nonché monete magno-greche e siceliote. Molto interessante anche il rinvenimento di alcuni sauroteres conficcati nel terreno e ottimamente conservati (si tratta dei puntali in metallo applicati all’estremità inferiore delle lance greche, in posizione opposta alla punta, utili a fissarle nel terreno o ad essere impiegate come arma di riserva in caso di perdita della cuspide). La loro particolare collocazione e l’associazione con deposizioni di materie organiche entro piccole fosse segnalate da cippi litici, ha spinto gli archeologi a supporre un qualche utilizzo rituale.
 

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Indagini archeologiche nell’area sacra di età greca (VI-VIII sec. a.C.) a Forge di Cecita- Ph. courtesy Domenico Marino

Sempre sul terrazzo di Forge di Cecita sono state poi individuate ampie aree di un abitato di epoca romana. Una ricognizione sistematica ha permesso di raccogliere in superficie molto materiale archeologico dal quale si è evinta una frequentazione continua dell’area dall’età repubblicana al periodo tardo imperiale. E’ seguito lo scavo in estensione di un grande edificio di età repubblicana, attivo già dal III sec. a.C., articolato in più ambienti con annesse strutture per la produzione della pece e sono state rinvenute numerose monete sia romane che magnogreche e italiche. Molto più recentemente a Campo San Lorenzo sono riemersi reperti metallici pertinenti a un’area destinata dai Longobardi alla produzione di armi; viene così attestata per la prima volta la presenza di questo popolo nella regione silana.

Insomma una messe di reperti che ha opportunamente suggerito alla Soprintendenza per i beni archeologici della Calabria di intraprendere la riqualificazione di un edificio a Camigliatello Silano destinato ad ospitare il futuro museo archeologico della Sila, espressione di un volto finora inedito dell’altopiano normalmente identificato solo con i suoi meravigliosi paesaggi naturali.

SILA: UN CONTESTO IN EVOLUZIONE E UNA META DI CONQUISTA

E a proposito di contesto naturale silano, almeno come lo vediamo oggi – spiega il prof. Armando Taliano Grasso – è il risultato di una evoluzione millenaria, determinata da fattori naturali e da una costante presenza umana. La situazione attuale, aggiunge lo studioso, è almeno in parte diversa da quella di epoca greca o romana, quando l’altopiano, secondo Dionigi di Alicarnasso (I sec. a.C.), presentava una vegetazione e un assetto idrografico molto più variegati di quelli odierni. Questi aspetti sicuramente condizionarono scelte e attività antropiche nell’area, non meno degli aspetti ideologico-religiosi: pensiamo ad es. – nota Taliano Grasso – come la Sila fosse per i Greci “la madre generatrice delle più importanti divinità fluviali della Magna Grecia e, in quanto tale, sacra essa stessa”, grazie alle sorgenti di fiumi come il Traes, il Sybaris, il Neaithos.
 

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Armenti allo stato brado sulle rive del Lago Cecita, nell’area del santuario greco (VI-III sec. a.C.) – Ph. courtesy Domenico Marino

– Greci, Brettii, Romani

E proprio ai Greci, dopo la fondazione delle colonie sulla costa jonica, si deve una significativa penetrazione verso l’interno dettata dall’opportunità di sfruttare le risorse offerte dalla montagna, come ad es. le miniere di Longobucco utilizzate dai Sibariti per estrarre l’argento destinato al conio dei loro celebri stateri incusi. Utilizzo molto probabilmente fatto proprio anche dalla successiva colonia panellenica di Thurii, così come dai Brettii in età ellenistica. Analoga penetrazione in Sila fu quella dei Crotoniati a cui si deve l’insediamento di Timpone del Gigante (Cotronei), un luogo con funzioni di controllo su un importante snodo territoriale fra Jonio e Tirreno, fra cultura greca e indigena, di cui ci restano significativi reperti riferibili a un’area sacra.

Il periodo ellenistico vede la Sila intensamente frequentata soprattutto dai Brettii, alla cui raggiunta maturità politico-militare – dice Taliano Grasso – facevano da contraltare le poleis italiote sempre più deboli. Ad essi sono riconducibili manufatti, corredi funerari (particolarmente ricco quello ritrovato in località Caprella di Campana) e strutture edilizie ascrivibili a insediamenti rurali. Questa preponderanza dei Brettii cede il passo ai Romani a fine III sec. a.C. quando i primi perdono l’indipendenza e cedono ai secondi metà dei boschi della Sila, che diventa quindi ager publicus populi Romani fornendo risorse utili allo Stato come il legname per la costruzione di case e navi e la resina per la fabbricazione della famosa pece bruzia, considerata la migliore e destinata a vari usi, come la sigillatura dei contenitori da vino, il calafataggio delle navi o in medicina per curare diverse patologie; la menzionavano già le tavole bronzee dell’archivio del santuario di Zeus Olimpio a Locri nonché gli autori antichi Dionigi di Alicarnasso, Cicerone, Plinio il Vecchio e Strabone. Fu una rinomanza, quella delle risorse e dei prodotti silani (inclusi quelli agroalimentari), che continuò a persistere ancora in età tardo-antica come dimostrano due lettere di Cassiodoro che nel VI sec. d.C. esaltano la bontà dei formaggi e la ricchezza dei giacimenti minerari.

Sono questi a grandi linee i tratti storico-archeologici di “questo ricco e maestoso altopiano” del quale – conclude Taliano Grasso – “il tempo non ha scalfito il fascino” e che “ancora oggi conserva tutta la sua valenza evocativa e al tempo stesso la sua forte e concreta identità di territorio dal passato glorioso, da far conoscere e salvaguardare”.

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