Incontro la notte tra le montagne della Lucania. Qui la notte esiste davvero e pare che cali così densa a penetrarti e risvegliare in te paure ancestrali. C’è sempre qualcosa tra la terra e il cielo, il vento passa dall’una all’altro e noi vorremmo imitarlo. Appeso a strapiombo su un costone del Monte Siri nell’alta valle dell’Agri, a oltre 1100 m di altitudine, Anzi sembra toccare il cielo. Sul punto più alto si erge il Planetario osservatorio astronomico, una struttura avveniristica che all’attrazione turistica associa una più rara divulgazione scientifica. E’ uno di quei progetti finanziati dai Fondi Europei che hanno saputo leggere le potenzialità di sviluppo sostenibile in un centro della Basilicata interna.
Luna e stelle, non fate le stupide stasera, mi ripeto mentre percorro i tornanti per raggiungere le cupole metalliche che si intravedono a distanza. L’ultimo tratto buio, poco dopo il cimitero del paese, si percorre a piedi. Lungo una breve cresta si fronteggiano due luoghi dello spirito, le cupole della chiesa di S. Maria e del Planetario: non possono che imitare anche loro la forma sferica del cielo. Il gruppo dei visitatori si compatta all’ingresso, accolto dagli appassionati operatori scientifici volontari dell’Associazione Teerum Valgemon Aesai, misteriosa denominazione in lingua osca che può tradursi “Terra, il migliore rifugio”.
Noi terrestri siamo pronti a essere traghettati tra le stelle lungo la via Lattea, a osservare il tramonto di Saturno e l’allineamento di Giove, a inseguire le certezze della stella polare, a riconoscere Andromeda e Arturo, a unire i punti sul foglio celeste per riconoscere le figure delle costellazioni del nostro Zodiaco, a misurare passi lunghi anni luce tra i corpi celesti con un raggio laser, ad allunare dove Astolfo sapeva di trovare ciò che sulla terra si perde, il senno, la memoria, i desideri. De-sidera, appunto, esuli dalle stelle. Ciascuno, muto, attende di poter affidare i propri desideri al bagliore fulmineo di un astro cadente.
Ci assicurano che da quassù si contano 4500 stelle del cielo boreale, ma mi accontento con il mio terzo occhio, dalla vista poco acuta pure lui, di fissare uno spicchio di luna, i suoi mari, i crateri e il cono d’ombra sfrangiato. Mentre la voce di fuori elenca, numera, spiega, la voce di dentro non sa che parlare con i sensi o con la poesia. Con che altro si vorrebbe parlare alla notte, alla luna?
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?*
Tiro giù il naso e adagio lo sguardo sulla valle: le luci di Laurenzana, Calvello, Abriola fanno da corona ad Anzi fino al monte Pierfaone. Uno spettacolo.
Rientriamo nella seconda cupola girevole per accostarci al telescopio riflettore. Con i suoi 420 mm di diametro dello specchio primario e una focale F8 m di 1.5 m di montatura equatoriale a forcella modello Ritchey-Chrètien, è uno dei più avanzati del Sud Italia. La luna così vicina, non l’ho mai vista; ora comprendo quanto gli studi galileiani sull’ottica abbiano cambiato il mondo.
Le nostre guide ci hanno invitato a Natale, non tanto per vedere la stella cometa, quanto per assistere alla magia di uno dei più grandi presepi d’arte poliscenici stabili d’Europa: i paesaggi e le miniature che fanno da sfondo alle scene e ai personaggi del racconto evangelico riproducono scorci e dettagli dei centri lucani.
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NOTE: * versi 5-8 da Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, di Giacomo Leopardi