di Kasia Burney Gargiulo
Dodici anni di scavi, l’impegno e le risorse finanziarie dell’Università di Tokyo messi in campo grazie alla concessione della Soprintendenza ai Beni Archeologici di Napoli per la realizzazione di un progetto interdisciplinare e pluriennale avviato nel 2001, il supporto di alcune importanti fonti letterarie antiche, sono gli elementi che hanno permesso di ritrovare la sontuosa villa romana dove presumibilmente (la questione è abbastanza controversa) l’imperatore Ottaviano Augusto terminò la sua vita terrena.
Ci troviamo in Campania, nel territorio di Somma Vesuviana (Napoli) e qui, negli anni ’30 del Novecento, in località Starza della Regina, nei pressi del Monte Somma sul versante settentrionale del Vesuvio, furono casualmente riportate alla luce durante alcuni lavori agricoli le mura di un imponente edificio risalente alla prima età imperiale ma frequentato – sia pur cambiando nel tempo carattere e funzione – fino al 472 d.C., anno in cui la costruzione fu sommersa per oltre la metà della sua altezza da un’eruzione del Vesuvio. Le indagini archeologiche iniziarono grazie all’interessamento di Alberto Angrisani, dottore e farmacista di Somma Vesuviana, ed affidate a Matteo Della Corte sotto la supervisione di Amedeo Maiuri, entrambi già attivi negli scavi di Pompei. Il primo scavo lasciò emergere una parte delle strutture murarie, le più maestose delle quali erano quelle del colonnato con archi e pilastri, orientato da est ad ovest, lungo circa 12 metri e collegato perpendicolarmente ad un muro di mattoni decorato con tre nicchie. Inoltre furono rinvenuti “colonne e capitelli di marmo, pavimenti in mosaico, splendidi frammenti di statue raffiguranti persone con sontuose vesti, stucchi policromi di muri e lacunari.”
Si constatò che l’edificio si era conservato sino all’altezza massima di 9 metri e, data la monumentalità e la sua collocazione geografica, si ipotizzò fin da subito che potesse essere quello in cui morì Ottaviano Augusto nell’estate del 14 d.C., all’età di 76 anni. Lo storico latino Tacito riporta infatti nei suoi celebri Annales che l’imperatore, colpito da un malore durante un viaggio, trascorse gli ultimi giorni della sua vita in una villa di famiglia ubicata “apud urbem Nolam” (“vicino alla città di Nola”) luogo presso il quale, poco dopo la sua morte, il suo successore Tiberio si recò ad omaggiarne il corpo. Notizie analoghe si ritrovano anche nelle Vite dei Cesari di Svetonio. Dopo i primi scavi purtroppo tutto si bloccò e, nonostante il grande interesse dei cittadini di Somma che inviarono una richiesta di finanziamento a Mussolini per la prosecuzione dei lavori, non fu più possibile riprenderli per mancanza di fondi.
Da quando è iniziata la collaborazione fra l’Università di Tokyo e la Soprintendenza di Napoli, la campagna di scavi sta procedendo ogni anno consentendo di riportare lentamente alla luce l’intero complesso, rivelatosi davvero di grande ricchezza. Oltre a coinvolgere gli atenei giapponesi di Ochanomizu e Tohoku e l’Istituto Politecnico di Tokyo, il progetto ha via via acquisito altri partners come l’University of London «UCL», l’Université de Provence «Aix-Marseille I» e l’Università napoletana «Suor Orsola Benincasa» per conto della quale le indagini sono seguite dall’archeologo Antonio De Simone. Il gruppo di scienziati è coordinato da Masanori Aoyagi, professore emerito di archeologia all’Università di Tokyo mentre lo scavo è seguito da Claudia Angelelli e Satoshi Matsuyama (l’quipe giapponese dedica agli scavi anche un blog in costante aggiornamento).
Dalle indagini è emerso chiaramente il processo di trasformazione subito dalla villa che, da importantissimo edificio di epoca imperiale, fu più volte modificato fino al IV secolo dopo Cristo allorché divenne una fattoria. Proprio a tal proposito va detto che gli studi sulla cosiddetta “villa di Augusto” – al di là del ritrovamento di pregevoli pitture, sculture e mosaici – ha permesso agli studiosi di raccogliere una grandissima quantità di informazioni sulla storia dell’area a nord del Vesuvio e sulle attività che vi si svolgevano.
Fra i reperti più preziosi non si possono non annoverare l’affresco policromo con splendida scena di corteo marino con Nereidi e Tritoni, ritrovato in un ambiente a cupola, oppure l’altra pittura emersa nella stanza vicina e raffigurante un tendaggio policromo di pregevole fattura. E poi ancora la bellissima statua marmorea di Dioniso raffigurato con un cucciolo di pantera, le pareti affrescate di una grande aula, le decorazioni a stucco del portale, un colonnato in marmo nero fatto pervenire appositamente dall’Africa, la cella vinaria capace di contenere fino a cinquantamila litri di vino e munita di dolia (grandi recipienti usati per lo stoccaggio del vino) usati, secondo gli archeologi, per almeno tre secoli di seguito. Allo studio anche i residui organici presenti nei dolia che potrebbero permettere di individuare il tipo di vitigno locale impiegato per la vinificazione.
Secondo l’archeologo giapponese Matsuyamauna si tratta di una struttura “più unica che rara….da potersi paragonare solo a villa Adriana, a Tivoli, con tanti edifici indipendenti che si distribuiscono sulle pendici del vulcano”. Ma tutta la portata funzionale e rappresentativa di questo edificio sarà definibile – ha aggiunto lo studioso – soltanto quando l’interò scavo sarà stato ultimato. Intanto è possibile farsi una prima idea di quelli che furono gli splendori della villa prendendo visione della ricostruzione virtuale in 3D realizzata da Altair4 che da tempo sta elaborando graficamente tutte le informazioni provenienti dallo scavo in corso, aggiornando il modello via via che si va avanti e documentando anche le fasi di distruzione e di abbandono della villa.
Cosa ha la possibilità di vedere oggi il visitatore? La visita – prenotabile attraverso la Pro Loco di Somma Vesuviana (Via Gramsci, 9 – tel. 081 8992631 – 081 8988414) – consente di ammirare alcuni ambienti monumentali di rappresentanza: a cominciare dalla stanza più ampia che presenta un colonnato, due pareti con nicchie, un’arcata sorretta da pilastri e, sul lato opposto, una parete decorata con temi legati a Dioniso, dio del vino. In una delle nicchie è stata ritrovata la statua in marmo di una figura femminile vestita alla greca, probabilmente una divinità, mentre una statua raffigurante un giovane Dioniso che regge sul braccio un cucciolo di pantera dovette in origine essere collocata in una delle altre nicchie. Le statue sono oggi custodite nel non lontano Museo di Nola. Fra gli altri ambienti si segnala una stanza con varie porte e finestre, pavimento a mosaico e tarsia marmorea, che durante la fase d’uso agricolo della villa venne divisa in due parti: una stalla ed una dispensa. In epoca più tarda, in un angolo della stanza fu costruito anche un forno. Rivolta verso valle e collegata con la stanza più grande attraverso due scale vi è invece un’area a terrazza con colonnato in mattoni, mentre ad est c’è un’aula absidata con arcata e fregio raffigurante Nereidi e Tritoni. Comunicante con questa, vi è un’altra stanza sempre absidata e con pavimento a mosaico a motivi geometrici e delfini che guizzano fra le onde. Fra le scale, negli ambienti di tre cisterne-silos, sono stati rinvenuti un torso, un’erma ed un’iscrizione funeraria. Una ulteriore scala conduce ad una cella vinaria collocata in una zona inferiore. Il complesso comprende anche una vasta area pavimentata con basoli di lava alcuni dei quali rimossi in epoca successiva per far spazio ad un certo numero di grosse giare (dolia) a loro volta rimosse dal passaggio di aratri e animali in un’epoca imprecisata.
Insomma chi voglia compiere una sorta di viaggio nel tempo, può in questo luogo ripercorrere i segni della storia che ha caratterizzato questo angolo di Campania a partire dalla prima età imperiale fino al drammatico declino dell’Impero Romano d’Occidente.
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