di Flavio R. Albano*
VISIONI SPECULARI DI UN’ECONOMIA “NUMERICA” AI TEMPI DELL’EXPO
Ai tempi di un Expo stra-discusso e stra-inquisito, che fatica a decollare nella mente dei più freddi osservatori ci ritroviamo di fronte alla necessità di rendere conto non ai numeri, bensì alla sostenibilità del tutto.
Siamo ad un punto di congiuntura socio-politica molto più importante di quello che sembra. Tutto quello che ha fatto parte della nostra storia economica e sociale ultimamente viene messo in discussione, il nostro piccolo capitalismo diffuso: il modello italiano fatto di piccoli industriali con la villetta vicino al capannone che ha trainato per un bel pezzo la nostra economia viene minato da anni di crisi economica e una costante – come la definì il giornalista Lorenzo Salvia – burocrazia borbonica, fatta di pseudo semplificazione che non fa altro che ostentare slogan di rapidità e semplicità ma che in realtà mostra solo complessità e ripetizioni. Siamo pur sempre il paese con 8000 comuni e quelli sopra i 50.000 abitanti sono appena 150 con conseguenti costi annessi e connessi.
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L’economia sta cambiando. E ce ne stiamo accorgendo da un po’. Confesercenti dice che ogni giorno chiudono cento negozi. Mentre la voce “spedizione pacchi” nel 2014 di Poste Italiane registra un +20% e quindi una palese crescita dell’e-commerce. Dobbiamo prendere atto di diversi cambiamenti reali, favorevoli e sfavorevoli, non giustificare con la scusa di voler stimolare, ma condannare gli errori gravi e ripartire evitando che si ripetano.
Il Country Brand Index misura quanto un paese viene giudicato attraente dal resto del mondo. Tra 2004 e 2014 siamo passati dal primo al diciottesimo posto, (superati addirittura da Finlandia e Singapore) eppure la Sicilia possiede 6 siti Unesco, le Baleari solo 2 eppure hanno un numero di turisti medi superiore di undici volte quello della Sicilia.
Potevamo avere EuroDisney a Bagnoli, potevamo…potevamo…
All’expo 2010 il padiglione italiano è il più visitato dopo quello cinese, quindi sul Nostro Expo avremmo dovuto giocare “facile” invece i conti non tornano – come evidenzia anche la redazione di Ttg Italia – “…calcolatrice alla mano (e logicità spicciola), dividendo i 20 milioni di visitatori attesi per 180 giorni risulta 111.111 persone al giorno, in media. Il giorno dell’inaugurazione, il primo maggio, molti lo davano come il giorno del tutto esaurito, ed invece sono entrate 200.000 persone, sui 353.000 ingressi disponibili…” Nella prima settimana hanno visitato Expo ben mezzo milione di persone ma sui numeri ufficiali c’è molto mistero. Troppo.
Anche il The Guardian ha approfondito la vicenda. L’articolo apparso qualche giorno fa a firma di Oliver Wainwright definisce l’Expo di Milano come “la più controversa esposizione mai organizzata in Europa”, a causa delle spese sempre più elevate per l’organizzazione, dei ritardi sulla costruzione che avrebbero portato a spendere un milione di euro soltanto per le strutture che coprono i padiglioni non ancora finiti, e per la corruzione che è ancora presente in Italia. Ancora secondo Wainwright: l’Expo di Milano sarebbe “un casino spettacolare, anche se è affascinante vedere le ambiziose costruzioni delle varie nazioni fianco a fianco”. Molti padiglioni vengono definiti kitsch, mentre il Palazzo Italia viene paragonato a un centro commerciale cinese. Wainwright conclude “…questa formula di Esposizione Universale è ormai da considerarsi sorpassata e dannosa, poiché lascia una scia di debiti e distruzione dovunque passi…”. Insomma un bel problema tra i dubbi dell’onestà di analisi obiettiva necessaria, per dovere di coscienza e la volontà di non generare sconforto nel paese.
SPRECHI O OBESITÀ: RISVOLTI DI UN ECONOMIA IDROGENATA
Lo spreco di cibo e l’obesità rappresentano perfettamente l’ossimoro di questo Expo incentrato sul cibo, laddove lo stesso si impegnerà ad evitare gli sprechi ma tralascia la sua essenza stessa di spreco architettonico-ambientale, che oltre agli strascichi naturalistici lascia già prima di iniziare, strascichi giudiziali ed economici.
In una recente intervista per la Repubblica, l’economista Serge Latouche ha affermato “…La globalizzazione è mercificazione… l’Expo è la vittoria delle multinazionali, non certo dei produttori…”. La ricerca economica “Expo Milano 2015: Made in Italy alla grande?” condotta da Euler Hermes, afferma che nel 2015 l’Esposizione porterà al Pil italiano un beneficio molto limitato, quantificabile intorno al +0,1%, +10% di esportazioni e una produzione extra di 6 miliardi di euro e ai circa 100 mila nuovi posti di lavoro. Sempre secondo Euler Hermes c’è il rischio che il 40% delle nuove imprese sorte per l’evento (e sono circa 10mila) possano fallire.
Fortunatamente sempre secondo Latouche “Non dovremmo osservare il Pil. Il nostro obiettivo potrebbe semplicemente essere vivere bene, non meglio. Per anni abbiamo pensato che la crescita permettesse di risolvere più o meno tutti i conflitti sociali, anche grazie a stipendi sempre più elevati. E in effetti abbiamo vissuto un trentennio d’oro, tra la fine della Seconda guerra mondiale e l’inizio degli anni Settanta. Un periodo caratterizzato da crescita economica e trasformazioni sociali di un’intensità senza precedenti. Poi è iniziata la fase successiva, quella dell’accumulazione continua, anche senza crescita. Un conflitto che ci vede contrapposti gli uni agli altri per accumulare il più possibile, il più rapidamente possibile. E’ una guerra contro la natura, perché non ci accorgiamo che in questo modo distruggiamo più rapidamente il pianeta…”.
La Fao nel 2013 ha stimato in 3,3 miliardi di tonnellate di CO2 le emissioni dei prodotti non utilizzati. Non è poi così difficile immaginare l’effetto dominio che si innesta a molti livelli: il cambiamento climatico impatta sulla produttività agricola, che riguarda il mondo nel complesso, ma anche la vita di quelle popolazioni che nei campi lavorano e trovano sostentamento alimentare. Per produrre cibo e irrigare i campi ci vuole acqua blu e lo spreco annuo di questa risorsa a causa dello spreco alimentare si attesta globalmente sui 250 km cubici; per ospitare il cibo che si spreca oltre 1,4 miliardi di ettari di terra, ovvero il 30% della superficie occupata da terreni agricoli a livello mondiale, vanno perse.
Oltre gli sprechi poi c’è l’inquinamento industriale e dei normali cittadini. L’Italia è il paese con la più alta concentrazione di auto in Europa, sessantuno ogni cento abitanti. Roma ha 1/5 della sua superficie coperta dalle auto. Una schizofrenia che mostrerà i suoi risultati a breve. “…Stiamo facendo la guerra agli uomini..” continua Latouche, “…anche un bambino capirebbe quello che politici ed economisti fingono di non vedere: una crescita infinita è per definizione assurda in un pianeta finito, ma non lo capiremo finché non lo avremo distrutto. Per fare la pace dobbiamo accontentarci. Dobbiamo imparare a ricostruire i rapporti sociali, non sprecare non permettere che coesistano obesità e malnutrizione, non favorire il deturpamento ambientale in favore di un benessere economico effimero e di breve periodo. La concorrenza non deve distruggere il tessuto sociale, siamo schiavi del marketing e della pubblicità che hanno l’obiettivo di creare modelli irraggiungibili, bisogni che non abbiamo, rendendoci infelici. Invece non capiamo che potremmo vivere serenamente con tutto quello che abbiamo. Basti pensare che il 40% del cibo prodotto va direttamente nella spazzatura: scade senza che nessuno lo comperi…”
Sul punto sembriamo essere tutti d’accordo: bisogna fermare lo spreco. Come ha raccontato la giornalista Cristina D’Antonio su GQ, lo chef-star Bottura ha iniziato a riutilizzare le materie prime deperibili che transiteranno nei padiglioni Expo. Sarebbe un successo se si riuscisse a trasformare anche solo una parte dei 20 milioni dei visitatori attesi in “ambasciatori” del mangiar sano a zero spreco. Secondo il filosofo Veca “…il diritto al cibo sicuro e sano è un diritto umano fondamentale…”. Nell’ultimo rapporto Fao presentato qualche giorno fa, si osservano 795 milioni di persone che soffrono di fame cronica (di cui circa 200 milioni bambini), il numero è in discesa ma ancora troppo alto. Nel mondo ci sono gli affamati e ci sono 1,6 miliardi di obesi (dall’ultimo studio Oms e La Repubblica) e il 30% del cibo mondiale viene sprecato. Il ministro Martina parla di emergenza alimentare e non possiamo chiamarla altrimenti: da una parte l’Expo la celebrazione del cibo a menù costosi, dall’altra la piaga degli sprechi e della povertà.
Quello che in casa non si mangia costa all’Italia 6,5 euro a famiglia, continua la D’Antonio, ogni settimana dati dell’Osservatorio Weste Watcher e nel complesso si arriva 8,1 miliardi di euro. L’80 per cento di quello che si butta è ancora commestibile; “…succede perché non sappiamo più dare valore al cibo non solo un valore economico, per quanto quel cibo ci costi ma nemmeno un valore di merito…”. I dati diffusi dalla FAO dicono che un terzo della produzione di alimenti non viene mangiata quando l’80 per cento della quota sarebbe ancora commestibile. Il costo ambientale e sociale del cibo cestinato è di 2060 miliardi di euro una volta più un terzo il Pil italiano. Un pomodoro percorre ancora una media di 350 chilometri prima di arrivare in tavola. La grande quantità di beni a disposizione e la convenienza dall’acquisto c’hanno convinti che il cibo sia un prodotto facilmente sostituibile. I calcoli sul pane non venduto a Milano sono impressionanti e fonte di nuovi business. Ogni giorno 46 mila kg di panini finiscono nei cassonetti. 120.000 euro buttati in 24 ore che a fine anno fanno 43 milioni di euro (Cristina D’Antonio, GQ).
RIPARTIRE PER NON MORIRE
Expo in questo si è ripromessa di aprire un focus vero e proprio e bisogna stimolare gli spunti di discussione affrontare il problema alla radice perché è giusto, senza se e senza ma. Il punto è che abbiamo perso la bussola della nostra società, in un mondo in cui coesistono persone obese e persone che muoiono di fame qualcosa deve essere necessariamente ridisegnato.
Quel qualcosa deve partire dalla società, dall’economia, dalla ridefinizione dei parametri socio-culturali di affermazione sociale, dalla coscienza e dall’economia che deve ritrovare i suoi limiti di crescita, limiti di produzione e di inquinamento. Dobbiamo rendere conto al nostro pianeta e alle altre persone, ai nostri figli che troveranno solo le briciole (di un pane che si è gettato), solo ruderi di esposizioni universali di bellezze di tempi passati, ruderi di cemento che non serviranno ad altro che a distruggere il territorio e noi stessi.
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*Flavio R. Albano è docente a contratto di Economia e Gestione delle Imprese presso l’Università degli studi di Bari (sede di Taranto). Dal 2006 collabora con aziende di servizi turistici di tutta Italia nella selezione, formazione e gestione delle risorse umane. Ad oggi ha all’attivo diverse pubblicazioni scientifiche e partecipazioni a conferenze internazionali, tra cui: la Verona-Toulon Conference sull’High Quality business in Slovenia e il I° Foro internacional de destinos turisticos de Maspalomas – Costa Canaria, inoltre è autore di una ricerca universitaria sull’implementazione di strutture turistiche eco-sostenibili lungo la Costa barese e collabora con diversi enti pubblici e privati sullo sviluppo di analisi di marketing territoriale. Nel 2014 ha pubblicato il libro “Turismo & Management d’impresa” subito adottato all’Università della Basilicata. Nel tempo libero scrive romanzi di narrativa, dipinge, suona la batteria e recitare resta la sua più grande passione.