di Redazione FdS
Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN), con il suo pregevole patrimonio di opere d’arte disposte su una superficie espositiva di oltre 12.000 m², è considerato uno dei musei archeologici più importanti del mondo, forse il più importante per quanto riguarda l’arte romana, data la rilevanza numerica e qualitativa di collezioni come la Farnese, costituita da reperti di Roma e dintorni e trasferita a Napoli dai Borbone nel ‘700, e le collezioni di reperti provenienti dalle città dell’area vesuviana – soprattutto da Pompei – colpite dall’eruzione del 79 d.C. e riscoperte a partire dagli inizi del XVIII secolo. Di recente, la direzione del Museo ha voluto puntare una lente di ingrandimento su alcune delle opere più rappresentative di questo scrigno di inestimabili tesori d’arte e storia, consentendo a chi non lo abbia ancora esplorato, di scoprire quanta bellezza celi al suo interno. Splendori che lo rendono meritevole di più di una visita. E’ così nato MANN Stories, progetto a cura di Mauro Fermariello composto da cinquanta video brevi (3-4 minuti) in cui vengono raccontate alcune eccezionali opere del Museo. Obiettivo dell’iniziativa è stato quello di creare interesse verso le singole opere raccontate e verso il Museo nel suo insieme, in modo da aumentare la partecipazione del pubblico. Famedisud vi ripropone questi video con cadenza settimanale.
Nel video di questa settimana Serena Venditto, scrittrice, assistente alla accoglienza e alla comunicazione del Museo Archeologico di Napoli, racconta il gruppo scultoreo del Toro Farnese, opera nota oltre che per la sua straordinaria bellezza, per essere la più grande scultura dell’antichità ad oggi mai ritrovata. Ricavata da un unico blocco di marmo e recuperata presso le Terme di Caracalla nel 1546, sotto il pontificato di Paolo III (Alessandro Farnese), fu collocata in uno dei cortili di Palazzo Farnese. Fu ammirata e invidiata dal re di Francia Luigi XIV, che tentò invano di acquistarla nel 1665. Nel 1786 il gruppo sarebbe stato trasportato a Napoli e collocato prima nella Villa Reale (il parco pubblico sul litorale) e poi, nel 1826, in una sala del Museo Archeologico Nazionale, dove si trova ancor oggi esposta.
Considerata dal Winckelmann un originale greco, è stata presto identificata come copia romana di età antonina (III sec. d.C.) di un originale di Apollonios e Tauriskos, scultori attivi nel I sec. a.C. , che Plinio il Vecchio collocava nella collezione di Asinio Pollione.
Nella scena rappresentata sullo sfondo di un paesaggio roccioso, caratterizzata da grande dinamismo, si narra il supplizio di Dirce legata a un toro imbizzarrito dai fratelli Anfione e Zeto che vogliono in tal modo vendicare la schiavitù della madre Antiope, presente sulla scena. Diversi furono gli interventi di restauro, da quelli cinquecenteschi fino agli ultimi compiuti nell’800, dopo il trasferimento a Napoli, da Angelo Brunelli, allievo del Canova, e da Andrea Calì.
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