di Redazione FdS
E’ il protagonista di una delle più note vicende leggendarie della nostra Penisola, radicata sul terreno dell’incontro-scontro tra popolazioni nord-europee, tradizionalmente classificate come barbariche, e un Impero Romano ormai in fase di decadenza. Parliamo di Alarico, re dei Visigoti dal 395 fino alla sua morte, autore del celebre saccheggio di Roma del 410, prematuramente scomparso a Cosenza, in Calabria, mentre – come narrano le cronache – puntava a dirigersi verso la Sicilia e l’Africa, granaio dell’impero. La sua fama presso i posteri, più che alle sue doti di politico e di condottiero, è legata alla leggenda dell’immenso tesoro depredato a Roma e formato da quantità enormi d’oro e d’argento oltre che dall’inestimabile Menorah di Gerusalemme, il sacro candelabro di cui i Romani si erano impadroniti nel 70 d.C. in occasione del saccheggio del Secondo Tempio; un tesoro che, secondo la leggenda, i Visigoti avrebbero deposto nel luogo della sua sepoltura, come evocato nella celebre Das Grab im Busento (La tomba nel Busento), i cui versi furono scritti dal poeta tedesco August von Platen e tradotti in italiano da Giosuè Carducci; romantico contributo al persistere di un mito che in oltre un millennio ha generato in tanti – Nazisti compresi – l’aspettativa di un clamoroso ritrovamento. Numerosi sono stati infatti i tentativi di sciogliere l’affascinante enigma, ma nessuna traccia ufficiale del luogo di sepoltura o del tesoro è finora mai emersa. Diversi anche gli scrittori moderni che nel corso del tempo si sono cimentati con l’analisi delle sparute fonti sulla vicenda, nel difficile tentativo di individuare e separare gli elementi storici da quelli più o meno leggendari.
Tra costoro, ultimo in ordine di tempo, si colloca il geologo calabrese Giuseppe Amerigo Rota, il cui accostamento alla tematica si contraddistingue per l’approccio tecnico e obiettivo adottato nel condurre l’analisi dei luoghi in cui sarebbe avvenuta la sepoltura dell’antico condottiero (le località prese in considerazione dell’Autore sono del tutto inedite), e per una rivisitazione critica della sua figura volta a meglio definire il suo ruolo storico e quello del suo popolo. Rota non è nuovo a queste incursioni in campo storico-archeologico convinto che da un approccio più ampiamente interdisciplinare a taluni nodi irrisolti della storia antica possano derivare spunti interessanti e utili agli specialisti della materia. Ha così racchiuso le sue conclusioni in “Alarico. Il cristiano sovrano e i misteriosi flutti salutiferi. La mappa della tomba segreta dei Visigoti” (227 pp.),volume reperibile sulle principali piattaforme on line che ripropone, in una edizione notevolmente ampliata, il precedente “Alarico. Barbaro, cittadino romano e cristiano” da egli pubblicato nel 2023 per Rossini Editore.
La caparbietà con cui Rota si è dedicato a questo argomento si deve in gran parte al fatto che la leggendaria tradizione, nata dal racconto di Jordanes, storico romano del VI secolo che si è occupato dei Goti in De origine actibusque Getarum, sembra indicare dei fatti reali e precisi: i Visigoti, capeggiati da Alarico, lasciarono Roma carichi di bottino passando da Capua e da Nola; Alarico si diresse verso Reggio, dove una flotta lo attendeva per conquistare l’Africa, ma una tempesta disperse e affondò le navi già in parte cariche e pronte a partire. Allora il re barbaro lasciò la città tornando a dirigersi verso Nord, ma trovandosi in Calabria, nei pressi di Cosenza, improvvisamente si ammalò, forse di una febbre malarica, e morì. Fu quindi seppellito insieme ai suoi tesori nel letto di un fiume a Cosenza e gli schiavi, che avevano lavorato alla temporanea deviazione del suo corso, furono uccisi perché fosse mantenuto per sempre il segreto sul luogo della sepoltura.
Va detto che nel libro di Rota la ricerca della tomba di Alarico in Calabria è il culmine di una narrazione che, come già accennato, tocca anche diversi altri aspetti che vanno dal percorso dei Visigoti attraverso l’Europa – riletto come fenomeno migratorio di massa, non dissimile da quelli registrati in altre fasi storiche – alle reali dinamiche dei loro rapporti con Roma (complessamente oscillanti tra alleanze e conflittualità), non senza soffermarsi sulla figura di Alarico nella quale l’autore intravede un perfetto mix tra l’originaria cultura scandinavo-germanica e quella greco-romana, contaminazione che – a suo dire – ne farebbe “un precursore dell’uomo occidentale”; tali, dice Rota, furono in generale i Visigoti, ai quali si deve la trasmissione della cultura greco-romana così come della religione cristiana, sia pure filtrate attraverso la loro cultura di origine; dei Visigoti l’autore – che nelle proprie argomentazioni sposa i punti di vista di alcuni degli storici più recenti – ridimensiona inoltre il ”peso” in ordine al crollo dell’impero, che sarebbe attribuibile principalmente a diffusi fenomeni di corruzione di una ristretta classe di aristocratici che agiva a scapito della numerosa e multietnica popolazione. La parte però più intrigante del racconto è senza dubbio quella che, tra geologia e archeologia, ha come teatro la Calabria, terra di cui l’Autore percorre alcune suggestive contrade esplorandone paesaggi e sottosuolo alla ricerca di indizi sepolti nel tempo ma non del tutto cancellati; aspetti sorprendenti su cui non vi diamo anticipazioni per non privarvi del gusto della scoperta.
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