Trionfo della Morte: a Palermo la dirompente forza espressiva di un capolavoro del Quattrocento

Sicilia - Parziale visione d'insieme del Trionfo della Morte, affresco di Anonimo del sec. XV, Galleria Regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, Palermo - Ph. Public Domain

Sicilia – Parziale visione d’insieme del Trionfo della Morte, affresco di Anonimo del sec. XV, Galleria Regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, Palermo – Ph. Public Domain

di Redazione FdS

L’opera straordinaria che potete ammirare nell’immagine di apertura e in quelle seguenti (nella gallery al centro del testo), ci riporta alla Sicilia degli inizi del XV secolo sotto i regni di Ferdinando I (1412) e di Alfonso V d’Aragona (che nel 1416 sarebbe partito dall’isola alla conquista del Regno di Napoli), durante i quali si ebbe una ricca fioritura artistica favorita soprattutto dalla committenza reale, ricca ed esigente, e dal sistema dei commerci e degli scambi culturali con luoghi esteri come la Catalogna, Valencia, la Provenza, la Francia settentrionale e i Paesi Bassi.

Una delle espressioni artistiche più significative di questo periodo è considerato l’enorme affresco del Trionfo della Morte destinato al cortile del palermitano Palazzo Sclafani (da cui è stato staccato, in 4 parti, a scopo di conservazione per essere custodito nella Galleria Regionale della Sicilia, con sede in Palazzo Abatellis, sempre a Palermo). Data la qualità eccelsa dell’opera, senza precedenti sul territorio, si presume sia stato commissionato dal sovrano in persona; poichè però Palazzo Scafani – fatto costruire nel 1330 dal Conte Matteo Sclafani, e rimasto in abbandono dopo la sua morte – dal 1435 divenne sede dell’Ospedale Civico (primo ospedale pubblico della città), non è da escludersi che i committenti siano stati gli stessi rettori dell’Ospedale. Si sa per certo che nell’arredo pittorico del cortile vi fosse un vero e proprio ciclo sul tema delle quattro cose a cui l’uomo – secondo l’escatologia cristiana – va incontro al termine della vita: la Morte, il Giudizio, l’Inferno e il Paradiso. L’affresco faceva dunque parte di questo ciclo ed aveva il valore di un ammonimento morale volto a comunicare all’osservatore il senso di fragilità e transitorietà dell’esistenza, ricordando che la morte incombe indistintamente su tutti, a prescindere dalla posizione sociale e dal ceto di appartenenza. Nella forma dell’allegoria vi ritroviamo rappresentati condizioni e sentimenti in cui ciascuno poteva ritrovare la propria parte di identificazione: le varie età dell’uomo, la vita e la morte, la bellezza e il suo decadimento, la ricchezza e la povertà, lo stupore, la tristezza, l’amore, la disperazione, la preghiera intrisa di speranza. Non si conosce il nome dell’autore (genericamente indicato come il Maestro del Trionfo della Morte) ma si calcola sia stato realizzato intorno al 1446 da un artista forse fatto giungere appositamente sull’isola.

In un giardino lussureggiante bordato da una siepe – a simboleggiare i più esclusivi privilegi e le gioie della vita – si vede irrompere la Morte, su uno spettrale ma vitalissimo cavallo scheletrito che mostra denti e lingua, mentre lancia frecce che colpiscono e uccidono personaggi di tutte le fasce sociali e di diverse religioni. La Morte porta legata sul fianco la falce e reca con sé una faretra, suoi tipici attributi iconografici. Il particolare dinamismo della scena, oltre che dal cavallo in corsa è dato dal gesto col quale la Morte scocca una freccia, che va a colpire il collo di un giovane nell’angolo destro in basso.

Nella parte inferiore della composizione si vedono i cadaveri delle persone già colpite: imperatori, papi, vescovi, frati (vi compaiono francescani e domenicani), poeti, cavalieri e dame. Ciascuno giace in una posizione diversa: chi con una smorfia di dolore ancora impressa sul volto, chi sereno, chi con gli arti scompostamente abbandonati, chi, appena raggiunto da una freccia, nell’atto di accasciarsi. A sinistra si vede invece il gruppo della povera gente, che invoca la morte come sollievo alle proprie sofferenze, ma viene crudelmente ignorata. La figura in alto a sinistra che guarda verso l’osservatore viene ritenuta l’autoritratto dell’Autore.

A destra si intravvede un gruppo di aristocratici, immersi nelle loro attività e apparentemente disinteressati all’avvenimento, fatta eccezione per i personaggi più vicini ai cadaveri. Fra essi compaiono musici, dame riccamente abbigliate e cavalieri vestiti di pellicce, come quelli che amabilmente si intrattengono ai bordi della fontana, simbolo di vita e di giovinezza. Da notare è la presenza di due richiami a uno degli svaghi più amati dall’aristocrazia, la caccia, con un uomo che tiene un falcone sul braccio e un altro che regge al guinzaglio due cani da caccia trepidanti, tra i quali un levriero.

DETTAGLI DI UN CAPOLAVORO
 

Il Trionfo della Morte, Palermo

Sicilia - Trionfo della Morte, affresco di Anonimo del sec. XV, Galleria Regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, Palermo - Ph. Antoine Pitrou | Licence Art Libre

Il Trionfo della Morte, Palermo

Trionfo della Morte, affresco di Anonimo del sec. XV, Galleria Regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, Palermo Ph. Maxnashville | Public Domain

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Trionfo della Morte, affresco di Anonimo del sec. XV, Galleria Regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, Palermo - Ph. Hans Suter | CCBY2.0

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Trionfo della Morte, affresco di Anonimo del sec. XV, Galleria Regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, Palermo - Ph. Hans Suter | CCBY2.0

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Trionfo della Morte, affresco di Anonimo del sec. XV, Galleria Regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, Palermo - Ph. Hans Suter | CCBY2.0

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Trionfo della Morte, affresco di Anonimo del sec. XV, Galleria Regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, Palermo - Ph. Hans Suter | CCBY2.0

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Trionfo della Morte, affresco di Anonimo del sec. XV, Galleria Regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, Palermo - Ph. Hans Suter | CCBY2.0

Il Trionfo della Morte, Palermo

Trionfo della Morte, affresco di Anonimo del sec. XV, Galleria Regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, Palermo - Ph. Maxnashville | Public Domain

 
Insomma un soggetto ricco e complesso ispirato ad una iconografia non inedita – il tema era infatti diffuso fin dal Trecento – con una attenzione particolare ai dettagli più grotteschi e macabri che rivela una mano decisamente nordeuropea (qualcuno ha fatto il nome dell’artista borgognone Guillaume Spicre, o quello del grande pittore spagnolo Peris Gonzalo, o ancora dell’inglese Maestro di Barthélemy, ma non manca una leggenda che lo vorrebbe opera di un’anonimo artista straniero che, guarito da una grave malattia, l’avrebbe dipinto in segno di ringraziamento). La forza espressiva dell’affresco è straordinaria e atemporale, tanto nella scena centrale quanto nei numerosi episodi secondari di grande preziosità che le fanno da contorno. Stando a quanto riportato dal pittore siciliano Renato Guttuso, Pablo Picasso sarebbe rimasto talmente ammaliato da quest’opera da trarne ispirazione per la sua Guernica.

L’affresco – oggi collocato nell’ex cappella di Palazzo Abatellis su un’alta parete visibile anche da una terrazza interna – è considerata una preziosa espressione del cosiddetto Gotico internazionale (o tardogotico), stile delle arti figurative databile tra il 1370 circa e, in Italia, la prima metà del XV secolo. Come suggerisce la sua denominazione, questa fase stilistica ebbe un’estensione internazionale, con caratteri comuni, ma anche con molte varianti locali. Lo stile non si diffuse a partire da un centro ben preciso di irradiazione, ma fu piuttosto il prodotto di uno scambio continuo e reciproco tra le corti europee. Tra queste corti ebbe comunque un ruolo preminente quella papale, in particolare quella avignonese, vero centro di aggregazione e scambio per gli artisti di tutto il continente.

Quando fu staccato da Palazzo Sclafani, l’affresco presentava ancora uno stato di conservazione molto buono, ma deleterio fu il bombardamente di Palermo del 1943 che a seguito dei danni inflitti al Palazzo Sclafani, espose l’opera all’azione delle intemperie. Se ne impose così il trasferimento previo distacco che, date le enormi dimensioni dell’opera, avvenne attraverso una sua suddivisione in quattro parti. Spostata nella Sala delle Lapidi di Palazzo Pretorio per volere del conte Lucio Tasca d’Almerita, sindaco dell’epoca, vi rimase fino al 1954 quando fu finalmente trasferita alla Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis non prima di un restauro eseguito a Roma sotto la direzione di Cesare Brandi, che ne colmò le numerose ed estese lacune presenti soprattutto nei punti più vicini al bordo dello strappo, dove l’integrità della scena risultava maggiormente compromessa. Un secondo restauro, eseguito sul posto a fine anni Settanta, cercò di ridimensionare il precedente intervento di reintegrazione pittorica, riportando l’affresco al suo aspetto originario che, a dispetto delle lacune, conserva ancora una dirompente forza espressiva.

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