di Enzo Garofalo
Ultima giornata di una edizione da record del Bif&st – Bari International Film Festival, che anche quest’anno ha visto uno straordinario afflusso di pubblico oltre ad una sempre più crescente attenzione da parte della stampa specializzata. Fra gli appuntamenti più gettonati senza dubbio le mattutine Lezioni di Cinema che quest’anno hanno avuto come protagonisti 8 registi di fama internazionale. A chiudere il ciclo è stato l’italiano Nanni Moretti, autore noto e apprezzato da pubblico e critica in Italia e nel resto d’Europa. Ad accogliere il regista, questa mattina al Teatro Petruzzelli, c’era un pubblico numerosissimo ed eterogeno, parte del quale (circa 500 persone) rimasto fuori per esaurimento dei posti a sedere.
La master class, coordinata dal critico francese Jean Gili, è stata preceduta dalla proiezione del film Caro Diario, realizzato in tre episodi nel 1993, vincitore del premio per la miglior regia al Festival di Cannes del 1994: un concentrato dei leit motiv della cinematografia morettiana col suo sguardo ironico e sarcastico sulla società italiana, sui suoi costumi e sul carico di luoghi comuni che li caratterizzano, ma anche una narrazione autobiografica, in particolare nel terzo episodio (Medici) in cui il regista – che è anche interprete – racconta la sua odissea dopo la diagnosi di un tumore al sistema linfatico.
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La visione del film – sguardo retrospettivo sul lavoro di Moretti in attesa dell’uscita, il prossimo 16 aprile, del suo nuovo film, Mia madre – ha fatto da introduzione ad una performance del regista incentrata sulla lettura dei suoi appunti di lavorazione: un coacervo di aneddoti, fra entusiasmi, delusioni, ansie, riflessioni, eventi contestuali che hanno in qualche modo influito sull’andamento della lavorazione. “Caro Diario è un film nato quasi senza rendermene conto – racconta il regista. Stavo in realtà preparando un corto composto di scene con me in Vespa in giro per Roma; un film destinato ad essere proiettato nel mio cinema “Nuovo Sacher”, girato da una piccola troupe in una città vuota nel cuore dell’estate. La condizione ideale per me che amo stare a Roma in agosto. Quando rividi quel corto decisi che l’idea della Vespa poteva essere al centro di un intero film. Ed è nato così Caro Diario.”
Moretti afferma di aver scelto questo tipo di introduzione al suo incontro con Gili e il pubblico del Bif&st “per mostrare agli spettatori quali retroscena può avere la lavorazione di un film”, ritenendo che ciò potesse “risultare interessante soprattutto per quanti hanno appena finito di vedere quel film”.
“Ammetto – dice Moretti – che si tratta di un lavoro inconsueto, nel senso che solitamente faccio film con una sceneggiatura solidamente strutturata, ma accade anche che io possa fare un film come questo o Palombella rossa praticamente nati per frammenti. E’ senza dubbio un modo di lavorare interessante ma anche molto faticoso e rischioso.” E racconta la disavventura delle musiche inizialmente affidate al compositore belga Wim Mertens rivelatesi inadatte al film e poi rimpiazzate da temi scritti in brevissimo tempo da Nicola Piovani oltre che da brani di repertorio come The Köln Concert di Keith Jarrett, Batonga di Angélique Kidjo, Inevitabilmente di Fiorella Mannoia o Didi di Cheb Khaled, solo per citarne alcuni. Oppure i ‘dietro le quinte’ della scena ambientata a Lipari (nell’episodio Isole) in cui balla in un bar al ritmo del bayon che Silvana Mangano canta nel film Anna di Alberto Lattuada: “per quella scena – racconta Moretti – avrei voluto un ‘musicarello’ con Caterina Caselli ma la Titanus che deteneva i diritti non li concesse e dovetti ‘ripiegare’ sulla Mangano”. Nato per caso è anche il cameo dell’attrice Jennifer Beals, indimenticata interprete del celebre Flashdance: “lei era in città – racconta Moretti – perchè accompagnava suo marito venuto a Roma per mostrare un film ad un produttore. La conoscevo a malapena e imbarazzato le chiesi di fare un’apparizione…”.
Questo film “iniziato in totale leggerezza, con irresponsabilità e incoscienza, in senso positivo” prevedeva inizialmente anche un quarto capitolo, Il critico e il regista, con Silvio Orlando (e la voce fuori campo di Moretti) ma – spiega il regista – “mi resi conto che non c’entrava nulla con il resto e non fu più girato. Decisi invece di inserire il capitolo sulla malattia quando mi resi conto di essere riuscito a trovare lo stile giusto per narrare quel difficile momento della mia vita; gli impressi un senso di leggerezza e di ironia, imponendomi di non inventare nulla e di evitare sia l’autocompiacimento sia il sadismo verso lo spettatore”. Anche il finale del secondo episodio, Isole, è il risultato di ripensamenti in corso d’opera: “in origine il finale doveva essere diverso, con il personaggio di Gerardo, il mio amico teledipendente, che va a Vulcano perchè spera di incontrarvi Mike Bongiorno, mito della TV…finale che poi fu tagliato. Ammetto che i tre capitoli non sono omogenei e il film esibisce questa sua disomogeneità; del resto sono tre stili diversi, tre storie raccontate in modo diverso”.
Dal racconto di Moretti emerge come questo modo di procedere, molto libero, in alcuni dei suoi film sia il risultato di una reazione ad una riscoperta, certo opportuna ma troppo conformista, della centralità della sceneggiatura, avvenuta verso la fine degli anni ’80: “mi è sembrato che ci fosse un giusto ritorno all’importanza della sceneggiatura, ma notavo anche un ritorno all’accademismo, con la tendenza a raccontare benino storie che erano state raccontate molto meglio vent’anni prima. Pertanto per reazione, in film ad esempio come Palombella rossa o appunto Caro diario, ho voluto concedere più libertà alla narrazione, rendendola meno obbediente a regole un po’ sorpassate”. In Palombella rossa per raccontare la crisi di un militante comunista ho ad esempio ambientato la storia in maniera surreale, durante una partita di pallanuoto che sembra non finire mai. Non volevo replicare storie già realizzate bene da altri, tipo il dirigente comunista che va in giro per le sezioni di partito affrontando dibattiti appassionati e un po’ noiosi con i militanti e in preda alla crisi familiare”.
“Anche quando girai La Cosa, il documentario sulla fine del Pci, me ne andai nelle sezioni del partito a filmare le opinioni degli iscritti senza voler dimostrare nulla di particolare al pubblico. Girai per una mia curiosità personale. Volevo capire che cosa stesse accadendo in quelle settimane, inquadrare i volti delle persone, carpire i loro sentimenti di gioia, paura, angoscia, panico. Volli riprendere un dibattito politico interno al Pci che non riguardava più solo gli iscritti e gli elettori, ma l’intera società italiana”.
Ad un certo punto dalla valigia dei ricordi il critico Gili tira fuori un’intervista rilasciata da Fellini a Le Monde nel ’93, in cui il celebre regista dice di Moretti “un giovane Savonarola…mi fa piacere che ci sia, io che sono un vecchio Papa corrotto”. Moretti non può fare a meno di sorridere dicendosi “sicurissimo che Fellini non abbia mai visto un mio film, perchè in fondo non gli interessava vedere i film degli altri. Abitava a via Margutta a pochi metri da una saletta di proiezione e qualcuno ogni tanto gli organizzava di proposito una proiezione ma io non l’ho mai invitato né ‘obbligato’ a vedere un mio film. Diciamo pure che la sua dimensione di spettatore cinematografico era inesistente. Viceversa leggeva tantissimi libri. Trascurava i film altrui non certo per snobismo, proprio non gli interessava. Quindi penso che in quell’intervista si riferisse a me come figura, personaggio, e non come regista”.
La chiacchierata con Gili ripercorre un po’ tutta la fimografia di Moretti, da Io sono un autarchico (1976) fino a Habemus Papam (2011). E il regista parla così a ruota libera di un mestiere intrapreso per la gioia di farlo: “Nel mondo del cinema non mi sono occupato solo di regia, ma ho rivestito, e rivesto ancora, anche vari altri ruoli, come quelli di produttore, distributore, esercente cinematografico, direttore di festival…mestieri del cinema che in qualche modo vanno a completare il mio lavoro di regista. Ho sempre fatto tutto questo non per dovere, né come una missione, ma per piacere, cercando soprattutto di lavorare con persone con cui andavo d’accordo, come Carlo Mazzacurati o Daniele Luchetti di cui ho prodotto i primi film”.
Moretti è noto per la cura maniacale applicata al suo lavoro, non di rado fonte di ansia: “La scrittura mi mette abbastanza ansia, ma sono soprattutto le riprese la fase di maggiore tensione. Il momento del montaggio è quello più rilassato perché lavori con una sola persona, non c’è una tabella di marcia prefissata e dai ritmi serrati, e soprattutto non hai più davanti a te decine di persone che pendono dalle tue labbra quando tu magari ti ritrovi ad essere privo di idee.”
Nel sentirlo parlare di sè Moretti appare tanto consapevole del proprio talento e delle proprie capacità quanto portatore di un dubbio che trova emblematica espressione in un passaggio chiave dell’incontro barese: “Spesso – dichiara – mi ritrovo a pensare di non avere grande capacità per questo mestiere. Supplisco girando molte inquadrature, facendo innumerevoli ciak e lavorando tanto con gli attori…”. Intanto questo dubbio su se stesso non gli impedisce da anni di essere uno dei registi più premiati del cinema italiano ed anche il Bif&st ha voluto riservargli due prestigiosi riconoscimenti: il FIPRESCI 90 Platinum Award, assegnato al regista a fine mattinata dalla Federazione Internazionale della Stampa Cinematografica e il Premio Fellini 8 1/2 per l’Eccellenza Artistica consegnatogli dal Bif&st nel corso della serata finale della manifestazione.
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