Macbeth, ovvero l’orgia del potere, quello che inebria, corrompe, fagocita, trasforma in “fisionomia lebbrosa” la faccia umana che – per citare Elsa Morante – dovrebbe invece “guardare in alto e rispecchiare lo splendore dei cieli”. Una condizione umana che Shakespeare conosceva benissimo ed ha più volte rappresentato nei suoi inarrivabili drammi, così come bene l’ha tradotta in musica Giuseppe Verdi profondo conoscitore dell’opera di Shakespeare grazie alla sua avidità di lettore e all’amicizia con i letterati Carcano e Maffei, entrambi traduttori del Bardo. E proprio Maffei mise mano al libretto dell’opera verdiana già firmato da Francesco Maria Piave, rivisitando o riscrivendo molte parti per una delle edizioni che fecero seguito al fortunatissimo debutto del 1847 al Teatro della Pergola di Firenze.
L’allestimento barese – una produzione del teatro comunale di Modena che ha debuttato al Petruzzelli lo scorso 15 maggio con la direzione di Fabrizio Maria Carminati e la regia di Giancarlo Cobelli ripresa da Lydia Biondi – si basa sull’edizione del 1865 per il Théâtre Lyrique di Parigi con un innesto del Finale del IV atto tratto da quella del 1847, recuperando brani musicali come “Ballo”, “Waltzer” e “Ondine”. Pezzi assenti nella versione con la regia curata personalmente da Cobelli il quale, come riferisce la regista Lydia Biondi, aveva voluto rimarcare in modo scarno ed essenziale l’aspetto più violento ed irrazionale del potere. Asciuttezza ed essenzialità più che mai utili in un’opera nella quale musica e testo dicono già tutto ma che si fa fatica a ritrovare in uno spettacolo come quello barese, scarno nelle scene di Carlo Maria Diappi ma ridondante di orge sataniche, di ricorrenti corpi maschili seminudi, di demoni danzanti su coreografie di scarso impatto, di streghe a seno nudo con orribili pancioni da vacche gravide con tanto di ‘parto cesareo’ praticato dal demonio e gratuitamente splatter ed artificioso nella resa visiva. Insomma l’impressione finale è quella di troppa carne al fuoco – compresi i blocchi di manzo crudo serviti a cena in casa Macbeth – e per giunta cotta male. Persino le luci che in un’opera del genere – densa di suggestioni e di atmosfere – avrebbero potuto fare miracoli, sono stranamente utilizzate da Giuseppe Ruggiero ai minimi termini. E’ difficile dire, non avendo visto l’edizione curata da Cobelli, quanto in tutto ciò ci sia di suo e quanto si debba invece a “riletture” personali della Biondi. Nulla di speciale aggiungono poi allo spettacoli i costumi di Carlo Maria Diappi, ripresi da Valentina Dellavia, evocanti un incerto ”medioevo futuro” già visto in decine di produzioni. L’esito finale è che lo spettacolo non coinvolge, non emoziona, al contrario della musica di Verdi, autore che – al pari di Beethoven – riesce quasi sempre ad imporsi a dispetto di tutto.
Ed infatti parzialmente diversa è la situazione per quanto concerne l’aspetto musicale che dal podio dell’Orchestra del Teatro Petruzzelli ha curato il maestro Fabrizio Maria Carminati, interprete prodigo di ammirevoli risultati espressivi soprattutto nei passaggi più lirici – davvero toccante il “Patria oppressa” con l’ottima performance del Coro del Teatro preparato da Franco Sebastiani – ma tendenzialmente avaro di accenti nei segmenti più tragici della partitura. Disuguali i contributi dei cantanti: potente e tonante ma non sempre pienamente a suo agio nelle note più estreme la voce del baritono Luca Salsi, un Macbeth reso con generoso impegno ma suscettibile di maggiore approfondimento soprattutto nella resa degli aspetti psicologici di uomo accecato dalla brama di potere. Il soprano Tamar Ivery è una Lady Macbeth scenicamente apprezzabile sebbene non particolarmente incisiva nella resa di un personaggio malvagio e fragile al tempo stesso; peraltro non convince vocalmente in questo ruolo a causa della incerta consistenza nel registro medio e grave e di una evidente difficoltà in quello più acuto. Il suo contributo migliore è nella Gran scena del sonnambulismo (IV atto) in cui la sanguinaria regina, sopraffatta dal rimorso, muore nel delirio. Alquanto monocorde nell’interpretazione e scarsamente a fuoco da un punto di vista vocale il Banco del basso Ugo Guagliardo. Ottimo il Macduff del tenore Salvatore Cordella interprete di un personaggio reso con grande misura e gusto musicale. Si è infine fatta notare la bella voce del basso Antonio Di Matteo nel breve intervento del medico che giunge al capezzale di Lady Macbeth.
Pienone di pubblico nelle prime tre recite e un buon tributo di applausi nel corso della serata da noi seguita (17 maggio) confermano l’interesse per questo capolavoro di Verdi piuttosto infrequente sulle scene del politeama barese. Ultima replica giovedì 21 maggio alle 20.30
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