Si è aggiudicato una menzione d’onore al concorso “Road Monument” lanciato nel 2016 dalla storica casa automobilistica Lamborghini. Fra progetti e aspirazioni, incontro con il giovanissimo architetto calabrese Enrico Pata
Era un giorno freddo e grigio di novembre, sembrava quasi inverno, mentre io e Enrico ci trovavamo nel silenzioso e bellissimo centro storico di Rende (Cosenza). Avevamo appena finito di frequentare un corso di alta formazione in museologia e museografia organizzato dalla Scuola Co.Re. Prima di ritornare nella nostra città, Vibo Valentia, avevamo deciso di fare una passeggiata per conoscere meglio i musei e i palazzi di questo sorprendente borgo antico. Arrivati al Castello, l’ultima tappa del nostro breve tour culturale, Enrico pensieroso mi confida che il mese precedente aveva partecipato a un importante concorso indetto dalla Lamborghini, la storica e celeberrima casa automobilistica italiana. In quel momento, probabilmente l’atmosfera che si respirava, suggestiva e silenziosa, quasi fiabesca, inizia a far crescere in lui un momentaneo entusiasmo e, con occhi trasognanti, immagina ad alta voce che bella soddisfazione sarebbe vincere uno dei premi di quel concorso. Istantaneamente ho percepito un’energia positiva, una buona sensazione. Ho sentito che in qualche modo ce l’avrebbe fatta. Gli ho promesso quindi che, qualora fosse risultato fra i vincitori, gli avrei dedicato un’intervista. Così è stato, per cui mantengo con piacere la mia promessa in questa sede. Il giovane architetto Enrico Pata, a soli 25 anni, si è infatti aggiudicato una delle 10 menzioni d’onore assegnate dalla prestigiosa giuria internazionale del concorso. Un riconoscimento conseguito col progetto di un’opera di grande dinamismo formale, come si può vedere in alto nell’immagine di apertura.
Qualche breve nota sulla genesi del concorso: nel settembre 2016 l’Azienda Lamborghini Automobili ha affidato all’Associazione Young Architects Competition la promozione del concorso “Lamborghini Road Monument”, con cui progettisti under 35 di tutto il mondo sono stati invitati a proporre due installazioni monumentali che rispecchiassero il carattere e il design del brand del Toro, segno zodiacale di Ferruccio Lamborghini scelto appositamente dallo stesso patron come emblema dell’azienda, diventata presto una vera leggenda del Made in Italy. Il “mito” vuole che la nascita di questa innovativa ed estrosa casa automobilistica italiana, oggi assorbita nel gruppo Volkswagen, sia riconducibile a una lite, avvenuta all’inizio degli anni ’60, tra Enzo Ferrari e Ferruccio Lamborghini. Quest’ultimo si sarebbe lamentato di persona con il Commendatore del cattivo funzionamento della sua Ferrari 250 GT e iniziò a dispensargli consigli. Ferrari, orgogliosamente stizzito gli disse: “Che vuol saperne di auto lei che guida trattori?”. Per tutta risposta Lamborghini decise di avviare in proprio la costruzione di un’automobile che fosse “perfetta anche se non particolarmente rivoluzionaria”. Leggende a parte, certo è che Lamborghini automobili nasceva il 7 maggio 1963 e su un vasto terreno a Sant’Agata Bolognese venne costruita la modernissima fabbrica. I monumenti che hanno vinto il concorso sono stati pensati proprio per caratterizzare gli accessi a Sant’Agata Bolognese e allo stabilimento dell’azienda.
Enrico, come è nata la decisione di partecipare al concorso Road Monument della Lamborghini?
Sono venuto a conoscenza di questo interessante concorso e ho deciso che fosse l’occasione giusta per mettere in campo tutte le conoscenze acquisite durante il mio percorso di studi. Inoltre, avere l’opportunità di competere con altre professionalità di livello internazionale sembrava essere una bella sfida da non perdere.
Qual è stata l’idea che ti ha ispirato?
La mia idea è stata quella di riprendere alcuni temi di progetto da ricercare nella storia dell’architettura e del design nonché dell’arte figurativa italiana, individuandoli in un particolare momento storico, quello delle Avanguardie del ‘900, soffermandomi sul Futurismo. Storie di velocità, d’innovazione, di formalismo dinamico, storie di motori e di grandi protagonisti.
Con quale spirito furono affrontati nell’arte figurativa e in architettura questi temi, forse ancora troppo moderni e arditi per quel periodo?
Per le arti figurative sono stati diverse le manifestazioni artistiche che mi hanno stimolato. Inizio col citare alcuni autori calabresi di nascita come Umberto Boccioni, Enzo Benedetto, Antonio Marasco e Leonida Rapaci, ai quali seguono altri di diversa provenienza come Carlo Carrà, Gino Severini, Fortunato Depero, ecc. Quanto all’architettura, va detto che in Italia l’idea di una “architettura futurista” fa la sua comparsa nel 1914, quando di fronte all’impeto dello sviluppo industriale il clamore di nuove acquisizioni esplode in un furore esaltante, che l’uomo deve manifestare e imprimere con segno indelebile nella storia. La macchina è una divinità per il movimento futurista guidato dal poeta Filippo Tommaso Marinetti che pubblica il “Manifesto dell’Architettura futurista” a firma dell’architetto Antonio Sant’Elia. Nella sua “Città Nuova” si tracciavano le linee teoriche di una architettura caratterizzata da una forte innovazione tecnica e formale, velocità, movimento, sintetizzandola con un elenco dei punti fondamentali. La Prima Guerra Mondiale era stato il banco di prova per le nuove “prodezze” belliche (aeroplani, armi automatiche, carri a motore) e a farne le spese sono i giovani; le speranze dello stesso Antonio Sant’Elia terminarono con un proiettile in fronte durante l’ultimo assalto alle postazioni nemiche. Nel 1916, il testimone passò ad altri artisti, architetti e ingegneri futuristi che in varia misura contribuirono nei decenni successivi al dibattito nazionale sull’architettura moderna, realizzando tuttavia poche opere. Il movimento cessa di esistere nel 1944 alla morte di Marinetti e con esso l’idea di uno sviluppo in concreto dell’architettura futurista. Ecco perché sostengo che il mio progetto ha spaziato oltre l’architettura pensando anche all’arte, a fronte di lavori che sono unicamente proposte di design.
In che modo hai quindi pensato di fare entrare l’arte futurista nel tuo concept?
Il Futurismo non ha avuto espressione architettonica se non in campo artistico poiché al tempo è stata preferita all’audacia creativa e all’innovazione visionaria l’aspetto più concreto di un Razionalismo italiano che recepisce i messaggi del Movimento Moderno. Dall’isolato caso in cui si parla di architettura futurista nel progetto ideale “Città Nuova” di Antonio Sant’Elia e da una raffigurazione di Giacomo Balla “Velocità astratta + rumore” 1913-14, sono così pervenuto a un’idea che traduce una rappresentazione pittorica in architettura, quindi in spazio.
Osservando l’opera di Balla è chiaro che il tuo monumento ricrea tridimensionalmente le sue linee dinamiche. Ne scaturisce una grande idea innovativa e sorprendente, quanto tempo occorre per fare uno studio del genere? Hai lavorato in team?
Una progettazione è composta da diverse fasi, da quella ideativa dello schizzo disegnato, che può durare anche un solo attimo o mai risolversi, una fase di sperimentazione dell’idea tramite la sua ottimizzazione che è quella del modello (in questi anni si è passati dal modellino in carta o legno al più immediato modello 3d), alla restituzione e quindi alla simulazione fotorender. La realtà virtuale in questo permette di verificare il risultato, simularne i comportamenti, i materiali, gli effetti della luce, l’impatto sul contesto; quindi, questa risulta essere una tecnologia di grande aiuto, ma che spesso crea immagini finte e ingannevoli. Queste fasi possono durare anche mesi, e così è stato per l’ideazione di questo progetto. È chiaro che lavorare in team agevola, poiché ogni figura si specializza su una di queste fasi e si dedica unicamente a quella con qualità. Oggi per esempio, rispetto a un tempo, a incidere sull’esito di questi concorsi è anche il risultato grafico. Io al contrario, a differenza degli altri vincitori di premio, dal momento che ho maturato competenze in tutte queste fasi ho lavorato senza un team.
Sicuramente è stato un grande traguardo, visti non solo i numerosi e qualificati partecipanti ma anche la giuria di rilievo che ha designato i vincitori. Parlaci quindi del tuo risultato provando però anche a chiederti, con spirito autocritico, come mai tu non abbia vinto il primo premio…
Hai detto bene, la giuria che ha valutato i progetti è di fama mondiale, essendovi rappresentate figure professionali o studi di progettazione intercontinentali: Zaha Hadid Architects, Foster + Partners, Studio Novembre, Studio Libeskind con sedi a New York, Londra, Roma, Milano. In premio ai primi tre posti è stato assegnato un corrispettivo in denaro, mentre al primo classificato spetta anche la realizzazione del progetto. A seguire, erano previste due menzioni con premio e dieci menzioni d’onore oltre a trenta finalisti. Al mio progetto è stata riconosciuta una delle dieci menzioni d’onore, che comprende la pubblicazione del lavoro in siti web e format di architettura, nonché l’esposizione in eventi di architettura nazionali e internazionali. In merito alla crudele domanda a cui vuoi ch’io risponda con spirito autocritico, posso dirti che quello bandito da Lamborghini non era semplicemente un concorso di idee ma prevedeva la realizzazione con un preciso budget, per cui credo che quanto da me ideato comportasse un maggior impegno economico rispetto alle altre proposte.
Ritieni che questa tua partecipazione, dagli esiti comunque molto positivi, possa avere delle ricadute in ambito professionale?
Diciamo che forse è ancora presto per avere un ritorno, ma senza dubbio in futuro preparerò nuove cose. Ciò che mi ha reso particolarmente entusiasta sono state le congratulazioni da parte dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, presso la quale mi sono laureato, dei docenti e degli amici.
Da alcuni giorni hai saputo di un altro riconoscimento importante, vuoi parlarne ai lettori di Famedisud?
Sì, ho avuto occasione di partecipare al concorso per un logo da realizzare per la Fondazione Franco Albini, celebre architetto e designer milanese, in giuria Ornella Noorda, Marco Albini e altri. Il mio progetto pur non avendo vinto è stato selezionato tra i dieci migliori che verranno esposti nella Fondazione per tutto il 2017, e la premiazione avverrà in gennaio alla Triennale di Milano.
Com’è ormai noto, nel 2016 ti sei laureato a pieni voti in Architettura all’Università Mediterranea di Reggio Calabria. La tua tesi in progettazione architettonica dal titolo “Mnemosyne, tra spazio ctonio e spazio acropolico: piazze per il Parco Archeologico di Vibo Valentia” è stata presentata al “ XXVI Seminario internazionale e Premio Architettura e Cultura Urbana 2016” dell’Università di Camerino, e in tale occasione ti è stata riconosciuta una menzione d’onore con premio. Puoi illustrarci meglio il progetto?
Questo lavoro fa parte di un atelier di tesi il cui tema ha riguardato il Parco Archeologico di Vibo Valentia nel settore di scavo di Sant’Aloe. Insieme ai lavori di altri sette colleghi, nel Maggio 2016 ho esposto al pubblico la mia tesi nell’ambito della mostra “Mito e Progetto”, organizzata nei locali del Valentianum di Vibo Valentia, ex Convento Domenicano del XVI sec. È previsto che questa serie di lavori faranno parte di una mostra itinerante in alcune sedi universitarie.
Conoscendoti, non posso evitare una domanda da storica dell’arte e da persona curiosa. Mi hai confidato che ti dedichi anche ad altro…
Vedo che non ti sfugge nulla! Ebbene, ho realizzato una scultura di arte contemporanea che rappresenta l’antica Mnemosyne, dea della memoria, in riferimento alla laminetta orfica custodita nel Museo Archeologico di Vibo. Mi sarebbe piaciuto presentarla in occasione del “Premio Limen 2016” che si svolge ogni anno nella mia città ma che, in questa edizione, non è parso interessato ad accogliere la mia candidatura. Credo che in futuro ci saranno altre occasioni per far conoscere il mio lavoro. Per adesso la si può scorgere tra i render della tavola dedicata alla mia tesi.
Non ho dubbi, ho visto la tua opera e ritengo abbia grandi potenzialità. Penso che potrà darmi qualche bellissima occasione per scrivere un nuovo articolo.
Grazie, sarà per me un impegno in segno di riscatto per le occasioni che impediscono ai giovani libertà di espressione, di fronte cioè a situazioni in cui vengono loro negate opportunità di emergere in una regione difficile come la Calabria. Grazie all’impegno, al sacrificio, a sani principi, all’educazione è possibile dimostrare, come sosteneva Eleanor Roosvelt, che “il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”.
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