“O verde Battir, madre del cielo…”
di Redazione FdS
Alla minaccia che da anni colpisce gli ulivi della Palestina [quattromila sono quelli distrutti o danneggiati già nel 2013, secondo i dati Autorità Palestinese, 7.500 quelli sradicati nel 2012, secondo i dati Onu, 550mila quelli perduti per la costruzione del Muro di Separazione e la conseguente annessione del 18% della Cisgiordania allo Stato di Israele, mentre dal 1967 ad oggi, risulta che coloni e autorità israeliane ne hanno distrutto, bruciato o sradicato in totale un milione e duecentomila] si aggiunge ora una nuova minaccia che incombe su Battir, un villaggio palestinese di circa 4 mila abitanti nel West Bank, a 6 km e mezzo da Betlemme, a sud-ovest di Gerusalemme. Il Muro di Separazione voluto dallo Stato di Israele per presunte ragioni di sicurezza, a seguito degli attentati che da decenni insanguinano i territori occupati, sarebbe in procinto di passare anche per Battir devastando quel mirabile connubio fra Natura e intervento dell’uomo che sono i plurimillenari orti a terrazze, una straordinaria testimonianza di civiltà agraria in area mediterranea per certi versi assimilabile ai terrazzamenti della Costiera Amalfitana e ai vigneti terrazzati di Bagnara e Scilla in Calabria. A denunciarlo in modo accorato è stato il rappresentante della municipalità durante la Prima Conferenza dei Borghi più Belli del Mediterraneo che si è tenuta in Puglia, a Cisternino, lo scorso 26 ottobre, ed ha coinvolto anche il piccolo villaggio palestinese: “Conviviamo da sempre – ha dichiarato – con una numerosa comunità cristiana e non abbiamo mai avuto conflitti. Non c’è alcun motivo per costruire il muro. Nessun israeliano è stato ferito o ucciso qui. Le esigenze di sicurezza sono solo un pretesto per devastare questo ambiente unico e per confiscare le terre su cui si vorrebbe far passare il muro di separazione. Contiamo nell’aiuto di tutti e soprattutto dell’Unesco…” In realtà quello di Cisternino è stato solo uno dei tanti appelli che da mesi la comunità di Battir sta laciando a livello internazionale. Quotidiani come Washington Post e The Guardian hanno dedicato intere colonne all’analisi dei danni che il Muro causerebbe al sistema sociale ed ecologico di Battir, alle sue terrazze che risalgono all’epoca romana, al sistema idrico, all’agricoltura e alla gente che se ne è presa cura per innumerevoli generazioni. Ma vediamo di conoscere meglio questo luogo straordinario la cui perdita sarebbe un fatto grave per tutti radicandosi la sua storia nella storia e nell’identità dell’intera area mediterranea.
Secondo il parere unanime degli archeologi, Battir corrisponde all’antica Betar, ossia all’ultima roccaforte ebraica della fallimentare rivolta contro i romani del II secolo dopo Cristo (132-136); una rivolta che inizialmente portò alla creazione un mini-stato indipendente, in grado anche di battere moneta, ma durò poco; la guerra si protrasse per alcuni anni fino all’assedio definitivo di Betar e al massacro: «I Romani continuarono a uccidere finché i loro cavalli non furono immersi nel sangue fino alle narici», recita il Talmud. Lo storico romano Dione Cassio parla di 580 mila ebrei sterminati, 50 città fortificate e 985 villaggi rasi al suolo. Gran parte dei superstiti finirono schiavi in ogni angolo dell’impero. Adriano si industriò per sradicare la religione ebraica e le istituzioni civili d’Israele; bandì le leggi della Torah e il calendario ebraico, mise a morte gli studiosi delle Scritture, espulse gli ebrei da Gerusalemme, fece erigere sul sito del Tempio una statua di Giove e una di sé stesso, oscurò il nome stesso della Giudea fondendola con la Siria nella provincia di Syria-Palaestina. Ai romani succedettoro a Battir i Bizantini (ne rimangono le tracce in un mosaico), poi arrivarono gli arabi, e tutti si preoccuparono sempre di riparare i terrazzamenti, e di ripulire i canali già allora molto antichi, quegli stessi terrazzamenti e canali che Israele oggi rischia sconsideratamente di distruggere.
Il villaggio oggi sorge su due alte colline la cui parte bassa è contrassegnata da bellissimi terrazzamenti che da secoli la gente del posto coltiva con vegetali di ogni sorta e frutteti, grazie all’irrigazione garantita dalle 8 sorgenti d’acqua presenti, e soprattutto alla cisterna romana e all’acquedotto per mezzo del quale l’acqua scorre tutto il giorno, irrigando e alimentando i terrazzamenti agricoli. Gli abitanti di Battir sono molto orgogliosi della loro relazione culturale e storica con il paesaggio.
Fra gli ortaggi coltivati particolarmente nota è la melanzana di Battir, famosa per il suo sapore e la sua qualità. Da qui in passato grandi quantità di uva, olive, fichi, mele, albicocche, pere e pesche e tutte le verdure di stagione raggiungevano il mercato della Città Vecchia di Gerusalemme, trasportate in ceste dalle donne del villaggio che camminavano per ore per raggiungerlo, a piedi o a dorso dei loro asini e muli a loro volta stracarichi dei prodotti della terra. Ancora oggi il rapporto degli abitanti di Battir con la terra coltivata rimane un momento centrale nella vita della comunità, sebbene in seguito al cambiamento degli equilibri nel territorio esso non abbia più il peso di una volta. Rimangono tuttavia i meravigliosi 554 km quadrati di muri a secco, la più grande rete in tutta la Palestina di campi terrazzati, con frutteti e orti che scendono a cascata giù per le pareti ripide di profonda una valle.
“O Israele, Porta via la mia vita, non portare via la mia terra …”
Grazie alle sue peculiarità ambientali e colturali, nel 2011 Battir ha vinto il premio Melina Mercouri dell’Unesco per il suo paesaggio naturale. Tuttavia l’utilizzo che Israele sta facendo dei terreni occupati nel corso dei decenni in quest’area, impiegandoli nella costruzione del famigerato Muro di Separazione, rendono ogni giorno di più Battir esposta ad un destino analogo. Se infatti la costruzione del Muro proseguirà, finirà col distruggere il villaggio, la terra coltivata, e il suo particolare carattere umano e comunitario di luogo che vive da secoli in pace e armonia: è quanto denunciano da tempo molti rapporti internazionali. Gli insediamenti israeliani incombono con siti come Har Gilo e Beitar Illit che si sviluppano dietro una cortina di pini i cui aghi acidificano il terreno minacciando gli uliveti. Un terzo insediamento, Givat Ya’el, già si sta sviluppando. Per il momento, al fine di difendere la loro terra, gli abitanti di Battir hanno scelto una strada pacifica che qualcuno ha soprannominato “l’intifada verde”: hanno rivolto una petizione alla Corte Suprema in Israele per scongiurare l’avvento della barriera, suggerendo che il Ministero della Difesa proponga alternative “non fisiche” al muro, e quindi evitare la confisca delle terre e la distruzione del ricco ambiente naturale e del suo sistema di irrigazione. Il giudice deciderà entro dicembre prossimo. Intanto hanno conquistato il sostegno della Israel Nature and Parks Authority, un organismo governativo, ma soprattutto insistono su un importante strumento di educazione sociale e civile come l’ecoturimo (a febbraio è nato anche un Museo a tema e sono stati tracciati sentieri di visita alla scoperta delle bellezze del luogo) affinchè Battir diventi sempre più meta di escursionisti e appassionati della natura e del paesaggio in modo da imporne a Israele la tutela.
A Battir e alle voci dei suoi abitanti è dedicato un documentario online girato dall’organizzazione palestinese Badil e intitolato The villagers on the line. Quanti oggi vivono nel villaggio considerano il Muro come qualcosa di illegale e di sbagliato che dividerà e distruggerà non solo Battir, ma tutta una lunga serie di villaggi come Bil’in, Nilin, Nabi Saleh, dove i palestinesi oggi lottano per tenersi la loro terra.
Da nativo di quel grande villaggio, che dal 1966 ho visitato solo una volta per pochi giorni, sento un dolore profondo per la devastazione in corso. Ma io che ho vissuto la pena di vedere l’intera storia della Palestina andare distrutta, che ho conosciuto l’immensa ingiustizia che il mondo ha imposto al popolo palestinese e che sono testimone dell’ipocrisia e del silenzio del mondo civilizzato di fronte all’aggressione israeliana, io vedo la storia di Battir come un esempio. Battir è la vittima di questa mostruosa atrocità, ma non è l’unica vittima.
Il Muro è illegale e sbagliato non solo perché divide e distrugge Battir. Battir, se soffrirà di questo terribile destino, sarà l’ultimo di una lunga serie di villaggi come Bil’in, Nilin, Nabi Saleh, dove i palestinesi continuano a lottare per tenersi la loro terra.
L’occupazione è sbagliata. Lo sradicamento del popolo palestinese è sbagliato e così lo è la colonizzazione della Palestina e delle altre terre arabe. Ci sono cose più sbagliate del muro. Dobbiamo continuamente ricordare che dovremmo vedere la foresta e non solo l’albero. Anche se siamo stati noi a crescere con cura e amore quell’albero.
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Da nativo di quel grande villaggio, che dal 1966 ho visitato solo una volta per pochi giorni, sento un dolore profondo per la devastazione in corso. Ma io che ho vissuto la pena di vedere l’intera storia della Palestina andare distrutta, che ho conosciuto l’immensa ingiustizia che il mondo ha imposto al popolo palestinese e che sono testimone dell’ipocrisia e del silenzio del mondo civilizzato di fronte all’aggressione israeliana, io vedo la storia di Battir come un esempio. Battir è la vittima di questa mostruosa atrocità, ma non è l’unica vittima.
Il Muro è illegale e sbagliato non solo perché divide e distrugge Battir. Battir, se soffrirà di questo terribile destino, sarà l’ultimo di una lunga serie di villaggi come Bil’in, Nilin, Nabi Saleh, dove i palestinesi continuano a lottare per tenersi la loro terra.
L’occupazione è sbagliata. Lo sradicamento del popolo palestinese è sbagliato e così lo è la colonizzazione della Palestina e delle altre terre arabe. Ci sono cose più sbagliate del muro. Dobbiamo continuamente ricordare che dovremmo vedere la foresta e non solo l’albero. Anche se siamo stati noi a crescere con cura e amore quell’albero.
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