di Redazione FdS
La scoperta è stato pubblicata lo scorso anno sulla rivista internazionale Acta Physiologica col titolo A selenoprotein T-derived peptide protects the heart against ischemia/reperfusion injury through inhibition of apoptosis and oxidative stress, ma solo nelle scorse settimane le sue possibili applicazioni sono diventate oggetto di un brevetto internazionale, valido in tutti i Paesi del mondo, sancito dalla WIPO – Word Intellectual Property Organization. Il brevetto riguarda le possibili applicazioni terapeutiche del peptide 43-52 derivato (PSELT) della Selenoproteina T del quale si è accertata la capacità di prevenire l’infarto, così come una significativa efficacia terapeutica sul cuore nella terapia post-infarto.
La scoperta si deve a un gruppo di ricerca del Laboratorio di Fisiopatologia cellulare e molecolare cardiaca, diretto dal professor Tommaso Angelone, che opera presso il DIBEST- Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra – dell’Università della Calabria. Insieme al prof. Angelone lo studio pubblicato nel 2018 è stato firmato da Carmine Rocca, Maria Concetta Granieri, R. Mazza, B. Tota, M.C. Cerra, L. Boukhzar, I. Alsharif, B. Lefranc, J. Leprince, Y. Anouar, un gruppo internazionale di studiosi che nasce dalla collaborazione fra l’UNICAL, Institut National de la Santé et de la Recherche Médicale e Université de Rouen Normandie. E proprio presso l’Unità INSERM Unit of Neuronal ad Neuroendocrine Differentiation and Communication dell’Università di Rouen – ateneo francese con cui l’UNICAL collabora da almeno 15 anni – il biologo crotonese Carmine Rocca, ha conseguito un dottorato di ricerca internazionale dopo la laurea a pieni voti e un dottorato triennale all’Università della Calabria: un percorso formativo poi confluito nella scelta di rientrare nella propria terra e qui proseguire l’attività di ricerca.
Alla scoperta si è giunti grazie all’attenzione che gli studiosi rivolgono da anni a una proteina contenente selenio, prodotta dal corpo umano, la Selenoproteina T, la quale a livello cardiaco presenta un’espressione abbondante nell’embrione rispetto al cuore post-natale, mentre addirittura non è rilevabile nel cuore dell’adulto. Tuttavia si è notato come qualcosa di particolare accada in caso di infarto miocardico, evento che si produce quando si interrompe l’apporto di sangue ad una parte del cuore con conseguente morte cellulare; una condizione arginabile ripristinando il flusso sanguigno, ma che può portare a danno da ischemia-riperfusione(I/R). In quest’ultima ipotesi, ossia nei casi di cosiddetto ‘stress ossidativo’ del cuore, gli studiosi hanno rilevato come la proteina vada in iperproduzione e come un suo peptide, denominato 43-52, svolga un funzione protettiva. Il fenomeno per cui la proteina torna ad agire con la sua funzione benefica, avviene sia in caso di infarto del miocardio che – come accertato dagli studiosi di Rouen – in caso di infarto del cervello.
Utilizzando il peptide 43-52, gli studiosi hanno dimostrato come questo abbia indotto cardioprotezione, grazie ad un significativo recupero della contrattilità e ad una significativa riduzione dell’area di infarto, e come la cardioprotezione sia fra l’altro mediata, dall’inibizione dell’apoptosi (morte cellulare) e dalla riduzione dello stress ossidativo. Questo composto organico, attivo con 10 amminoacidi, è una piccola parte della Selenoproteina, ma in modo intelligente – spiega Carmine Rocca – va a mediare la super attività biologica dopo un infarto. Si è così pensato di riprodurlo in laboratorio per sintesi chimica, denominandolo Selenoproteina T 43-52. L’obiettivo è dunque quello di trasformarlo in un farmaco da utilizzarsi non solo in sede post-infarto per potenziare i relativi trattamenti terapeutici, ma anche come cardioprotettore per soggetti a rischio, come ad es. le persone obese. Gli esperimenti pre-clinici sulle cavie – aggiunge lo studioso – hanno dato risultati molto incoraggianti su entrambi gli utilizzi, essendosi registrata su cavie infartuate, trattate con il composto, una riduzione dell’area di danno, e su cavie affette da obesità severa un minore danno da ischemia/riperfusione rispetto ad esemplari non trattati.
Intanto il progetto di ricerca – partito con i fondi dell’Unical e i finanziamenti ottenuti dal progetto Galileo dell’Università Italo-Francese di Torino, e sviluppato anche col sostegno dell’INSERM dell’Università di Rouen – va avanti, grazie ai fondi conseguiti rispondendo a una call del MIUR destinata alle Regioni del Mezzogiorno, per l’assegnazione di finanziamenti su progetti di ricerca giunti già al test sugli animali. Sarà tuttavia fondamentale che il progetto riesca a trovare il giusto sostegno anche nella fase di passaggio alla sperimentazione clinica, una prospettiva per ora incerta in un’Italia avvezza ai tagli alla ricerca più che al suo supporto.
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