di Redazione FdS
Mentre in Sardegna le balene nuotano placidamente lungo la costa orientale, sul litorale tirrenico di Pizzo Calabro (Vibo Valentia) le si vede spuntare dalle rocce. Non è la descrizione di un dipinto surrealista di Salvador Dalì, ma quanto accaduto nei pressi della suggestiva insenatura della Seggiola, posta proprio ai piedi della rupe su cui sorge il borgo calabrese. Qui il distacco di un largo frammento di parete rocciosa ha fatto riaffiorare di recente i resti fossili di un cetaceo antico almeno 7 milioni di anni, secondo quanto riportato da Il Quotidiano del Sud di Vibo Valentia. Il costone si trova a poca distanza del Castello Murat, uno dei monumenti simbolo della cittadina tirrenica, e da esso il pezzo di roccia si era staccato già lo scorso marzo causando una evidente frattura nella rupe incombente sulla spiaggia che secondo la tradizione fu prediletta dall’oratore e filosofo latino Marco Tullio Cicerone, alla cui scelta pare si debba il bizzarro nome dell’insenatura. Il luogo sarebbe stato anche tappa di riposo per San Pietro durante il suo viaggio verso Roma, ma ancor prima un mito riportato da Plinio il Vecchio narra vi fosse approdato Ulisse in cerca di acqua e cibo.
A questo nucleo di memorie – vere o leggendarie che siano – la Natura ha ora voluto aggiungere il suo contributo formando e rivelando questo straordinario fossile di balena il cui ritrovamento si deve alla curiosità di Mingo Prostamo, un appassionato ricercatore della vicina Briatico (VV) il quale, intuendo la rilevanza della scoperta, ha subito contattato le autorità competenti. Sul ritrovamento si è nel frattempo espresso Giuseppe Carone, presidente del Gruppo paleontologico Tropeano, secondo il quale i resti fossili del cetaceo sarebbero riferibili al Tortoniano, ossia al quinto dei sei piani stratigrafici in cui è suddiviso il Miocene, e quindi riconducibili a un periodo fra gli 11 e i 7 milioni di anni fa. Risalenti a questo stesso periodo, nel 1987 sono riemersi in Puglia – in una cava di pietra leccese a Cavallino (Lecce) – diversi resti fossili di cetacei fra cui quelli di uno zigofisetere (Zygophyseter varolai), formidabile predatore ricostruito nell’immagine seguente. Al momento non è dato sapere a quale specie sia ascrivibile il fossile ritrovato a Pizzo Calabro né quando ne sarà effettuato il recupero. Va detto tuttavia che Pizzo non è nuova a ritrovamenti del genere, considerato che di resti fossili di cetacei (misticeti fossili) rinvenuti a Pizzo (e anche a Briatico) e conservati presso il Museo della R. Università di Napoli, si fa menzione in una memoria presentata dal paleontologo Giovanni Cappellini nella seduta del 6 maggio 1877 alla Regia Accademia dei Lincei e intitolata Balenottere fossili e “Pachyacanthus” dell’Italia meridionale, poi pubblicata negli Atti della stessa accademia (Serie III, Vol. I, 1877).
Il ritrovamento confermerebbe il fatto che la rupe su cui sorge il borgo di Pizzo Calabro sia composta dalla sedimentazione di resti di organismi viventi, gusci o scheletri, e non sia quindi composta di tufo, roccia notoriamente di origine vulcanica. In altri termini la rupe di Pizzo sarebbe una roccia organogena, costituita cioè da organismi come ad esempio molluschi, spugne, coralli, alghe, i cui resti, dopo la loro morte, si accumulano e compattano sui fondali marini.
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