di Enzo Garofalo
“Fuga di mezzanotte” (Midnight Express – 1978) del regista britannico Alan Parker è un pugno nello stomaco anche se lo rivedi per la decima volta e, sebbene sia stato a suo tempo un film controverso per la non piena fedeltà alla storia vera da cui è tratto e per il modo di rappresentare alcuni personaggi, conserva ancora una spiazzante attualità. Per quanto infatti la Turchia, nelle cui carceri si ambienta la vicenda, abbia di recente sottoposto la propria struttura politica e legislativa a riforme e ristrutturazioni, nell’intento di centrare i parametri richiesti dall’Unione Europea di cui aspira far parte, questo film rimane una metafora ancora valida per le tantissime storie di grave ingiustizia e negazione dei diritti umani che quotidianamente si consumano in giro per il mondo. Ed anche sul piano estetico non tradisce affatto i suoi 36 anni. La proiezione, ieri mattina a Bari in un gremitissimo Teatro Petruzzelli, ha acceso i riflettori del 6° Bif&st – Bari International Film Festival precendo la prima delle 8 “Lezioni di Cinema” che 8 grandi cineasti terranno fino al 28 marzo.
Protagonista di questo primo appuntamento – introdotto da Derek Malcolm, critico britannico per The Guardian e London Evening Standard, nonchè già presidente della FIPRESCI (Federazione Internazionale della Stampa Cinematografica) – è stato lo stesso regista sir Alan Parker, che a 71 anni ha accettato di ripercorrere le tappe principali di una straordinaria carriera dietro la macchina da presa di capolavori come Fuga di Mezzanotte, Saranno Famosi, Mississippi Burning e The Commitments.
Nel corso invece della serata inaugurale del Bif&st al Teatro Petruzzelli, Alan Parker ha ritirato il FIPRESCI 90 PLATINUM AWARD assegnato dalla Federazione Internazionale della Stampa Cinematografica che quest’anno celebra i suoi primi 90 anni.
Il regista ha iniziato il suo racconto evocando il salto di genere compiuto con pellicole come Piccoli Gangsters (un film musicale del 1976, ispirato alla Chicago dell’era del proibizionismo) e Fuga di Mezzanotte: “Venivo da sceneggiature considerate molto inglesi, quindi un po’ provinciali, e questi due film hanno rappresentato un vero cambiamento che ha segnato il seguito della mia carriera, comunque aperta ai generi più diversi”.
Interessante il racconto della genesi di Fuga di Mezzanotte, su sceneggiatura di un ancora sconosciuto Oliver Stone: “ha praticamente scritto il film in un ripostiglio annesso al mio ufficio. Non è che ci piacessimo molto noi due, anzi in quei giorni pensavo che dalla sua penna sarebbe venuto fuori qualcosa di brutto, invece mi consegnò una sceneggiatura straordinaria che poi gli valse il premio Oscar.
Scendendo più nel dettaglio sulla rappresentazione di certi contesti e personaggi turchi, ha ricordato come il film abbia sollevato dure critiche da parte del Paese mediorientale, sentitosi messo in cattiva luce: “Oggi avrei forse fatto un film in parte diverso. Allora sentii l’urgente esigenza di parlare di un sistema giudiziario che comminava sentenze pesantissime anche in presenza di piccoli reati, e lo feci basandomi sul libro di Billy Hayes [il protagonista reale della storia narrata nel film – NdR] del quale ho dato una mia personale lettura, senza peraltro discostarmi dalla verità…”. Il ricordo corre quindi ai giorni delle riprese effettuate sull’isola di Malta “con un caldo infernale”: “una produzione difficile, come non di rado capita a chi fa il nostro lavoro…”
Parker racconta quindi gli esordi in un mestiere che non rientrava affatto nei suoi programmi: “la mia aspirazione più autentica era scrivere. Per anni il mio passaporto ha riportato la voce ”scrittore”. Iniziai infatti come copywriter nel mondo della pubblicità. Non feci alcuna scuola di cinema, anche perchè i miei genitori non mi mandarono all’università. Ho imparato tutto sul campo, prima lavorando come regista di spot pubblicitari – ambito nel quale collaborai anche con l’allora giovane Ridley Scott – e successivamente passando al cinema. Credo di essere stato il primo a farlo. Ad ogni modo la pubblicità è stata la mia scuola. Essere passato da un settore all’altro – una cosa abbastanza normale oggi per un regista – mi procurò aspre critiche, perchè allora si lavorava a compartimenti stagni. Ma imposi a me stesso di farmi prendere sul serio nell’ambiente cinematografico.
E puntare questo obiettivo ha coinciso per Parker anche col comprendere il ruolo sociale e politico che un film può acquisire: “Fuga di Mezzanotte è stato per me una sorta di spartiacque, perchè capii la responsabilità, anche politica, che può comportare un’opera cinematografica.”
Dalla Turchia i ricordi corrono quindi a New York, città in cui si ambienta Fame (Saranno famosi) il film che avrebbe ispirato la non meno celebre serie televisiva degli anni ’80: “ci è voluto quasi un anno solo per fare il casting. E’ stato uno dei miei ricorrenti lavori con giovani attori, ma a differenza di altri casi – come ad es. in The Commitments, nel quale recitavano ben 12 ragazzi coi quali si è creato un bellissimo feeling – in Fame il rapporto con otto dei protagonisti è stato pessimo…alla fine avrei quasi voluto ucciderli. Purtroppo non sempre sul set si creano le condizioni ideali di lavoro. L’importante però è porsi come obiettivo la ricerca dell’armonia con tutti. E’ una condizione essenziale per lavorare al meglio…Io in generale incoraggio molto gli attori. Credo che il cameratismo aiuti molto in questo lavoro. Gli attori danno il meglio di sè se non c’è un clima ostile…”
Realizzare un film è una sfida contro il tempo condizionata dai budget a disposizione, per cui alla domanda sui tempi che un regista ha a sua disposizione per provare, Parker ha risposto che “in un film non si hanno a disposizione molte prove…E’ un lusso spesso economicamente proibitivo. Del resto c’è una teoria secondo la quale la spontaneità del momento aiuta la qualità del risultato; ma esiste anche una teoria opposta, in base alla quale un numero elevato di ciak consentirebbe di avvicinarsi alla perfezione. Io in genere non ne faccio più di tre…penso bastino per quello che voglio ottenere.”
Importante il valore attribuito da Parker al film come opera corale: “Certo il regista, con la sua sensibilità, la sua personalità, il suo intelletto, contano molto in un’opera cinematografica. Ma il film non è solo del regista, ma di tante persone dotate di talento che purtroppo spesso restano in ombra. Ad esempio un ruolo fondamentale è svolto dal montaggio: un montaggio fatto male può rovinare un film potenzialmente valido, ma se la materia prima di un film è scadente non è certo un buon montaggio a conferirgli qualità che non ha. Io normalmente lascio al montatore la sua libertà creativa; del resto un regista deve partire dall’idea di non poter seguire personalmente tutto…in quanto un film è fatto da te e da altre 100 persone…Ciò non toglie che io cerchi di realizzare in un film pienamente la mia visione, ma sarei un illuso se pensassi di realizzarla sempre al cento per cento. Quasi sempre sono riuscito a rispecchiarmi in pieno nel risultato finale, ma è importante non pretendere che ciò accada necessariamente. Poi magari succede addirittura di ottenere il 110%…ma è un’eccezione.
Girare un film è anche una gran fatica fisica: “a volte – dice Parker – si lavora persino per 12 ore di seguito. E con l’età che avanza fare questo è sempre più difficile. Inoltre sono convinto che col passare degli anni i registi non migliorino. Tendono a ripetersi – almeno ciò è quanto succede il più delle volte – perchè il trascorrere del tempo toglie genuinità…”
La parte principale della carriera di Alan Parker si è svolta negli Stati Uniti, paese di cui il regista dice di amare “la complessità” e nel quale è approdato in un periodo in cui “in Inghilterra non c’era una vera e propria industria cinematografica.” “Le produzioni – spiega – erano da noi principalmente concentrate sulla televisione. L’America ha quindi rappresentato per i registi inglesi una grossa chance. Ci ha accolti con entusiasmo sia grazie alla lingua comune sia perchè Hollywood è stata creata anche da registi inglesi. Faccio ormai film da 40 anni e posso dire che Hollywood è stata in generale molto gentile con me. Io ho avuto la fortuna di riuscire a fare film che oggi definiremmo indipendenti ma che furono realizzati sotto l’egida di Hollywood. Oggi però è tutto cambiato. E’ l’epoca in cui dominano gli effetti speciali e le produzioni concepite per sfondare al botteghino. Oggi un film come Fuga di Mezzanotte sarebbe considerato indipendente e sarei dovuto venire in Italia o in Francia per poterlo realizzare. Ad Hollywood ormai comandano i produttori esecutivi, i blockbusters. Salvo sporadiche eccezioni, i film oggi sono i loro, non dei registi.”
Fra i film realizzati per Hollywood Parker ha ricordato in particolare l’esperienza di Evita (1996) adattamento cinematografico dell’omonimo musical composto da Andrew Lloyd Webber e Tim Rice: “Quando feci questo film musicale, mi si pose il problema se prendere una cantante che fosse anche in grado di recitare oppure un’attrice in grado anche di cantare. Alla fine la popstar Madonna si propose con determinazione e fu voluta dai produttori perchè era all’apice del suo successo mondiale. Come tutti i musical è stata una produzione molto costosa, ma ha riportato un ottimo successo.”
Uno dei film di più difficile realizzazione? “Sicuramente Mississippi Burning, talmente problematico da costarci anche delle minacce di morte. Una produzione davvero faticosa: abbiamo girato persino nel fango. Per non parlare delle controversie nate dopo la sua uscita. Volevo trattare il tema del razzismo, stigmatizzarlo, ma paradossalmente le critiche ci sono piovute addosso proprio da parte dei neri, perchè sembrava quasi che avessimo rubato la loro lotta. Eppure pensavo di fare un film per loro, ma essi evidentemente non mi riconobbero questo ruolo, non accettarono la prospettiva che avevo scelto, quella cioè di utilizzare due protagonisti bianchi. Ritenevano che la lotta andasse condotta dai neri…e solo da loro.”
Dovendo fare una ipotetica scelta fra i diversi film realizzati, Parker non ha remore nel ”difendere” tutta la sua produzione: “Ho sempre voluto esplorare nuovi territori, cercando di non ripetermi, anche perchè rifere un film già fatto è come stare a guardare la vetrina di un negozio nel quale sei già entrato. Pertanto conserverei la maggior parte dei miei film perchè nulla di ciò che ho creato costituisce per me motivo di imbarazzo. Tuttavia, se proprio fossi costretto a scegliere un titolo, direi che il mio preferito è The Commitments, il più bello per me da girare ed uno anche dei più amati da pubblico e critica. Non c’erano star da tenere a bada, nè pressioni di alcun genere, ma solo attori giovani senza arroganza. Una vera gioia. Quei dodici giovani protagonisti li ho amati tutti.”
Quanto invece al rapporto di Parker con la critica cinematografica è emerso come esso sia stato il frutto di un processo di progressiva maturazione: “Un tempo una critica negativa aveva il potere di ferirmi. Poi ho compreso che non si può essere amati da tutti. L’importante, mi sono detto, è essere riuscito a fare ciò ciò che volevo…C’è una frase-chiave in una delle scene di Saranno famosi in cui uno dei personaggi dice qualcosa di cui sono fermamente convinto, e cioè che nessun artista vero deve aver paura del giudizio degli altri, perchè alla fine con il duro lavoro i risultati arrivano…”
“Certo oggi non è facile un mestiere come quello del regista o dell’attore. La pubblicità spesso spinge film mediocri, mentre quelli belli non è raro che restino senza alcun sostegno. Per fortuna che a dar loro un aiuto c’è almeno la rete Internet. La visibilità è un fatto molto importante…un film esiste finché c’è qualcuno che lo vede, altrimenti è come se non esistesse. Io dò molta importanza al pubblico, alle sue reazioni, e penso che la visione fatta dall’autore in sala insieme al pubblico è come se fosse la prima anche per lui. Non credo invece più di tanto ai cosiddetti test di visione, fatti con un pubblico precostituito. Penso inoltre che occorra ricreare il concetto di pubblico in senso lato, perchè la tendenza odierna è diventata quella di inseguire solo un pubblico giovanile, mentre un tempo non era affatto così. Trovo pertanto giusto e necessario che la critica intellettuale si confronti con questo nuovo scenario.
Interpellato sul lavoro di altri registi che possono aver influenzato la sua opera, Parker ha ammesso la sua ammirazione per la filmografia di vari autori, fra cui Milos Forman e Costa-Gavras “i cui film sono molto difficili e sempre orientati a trasmettere un messaggio allo spettatore. Trovo infatti realistico che un film possa contribuire a cambiare l’opinione di una persona. Ne ho avuto la prova alla proiezione del mio film sulla pena di morte – The Life of David Gale, con Kevin Spacey – quando alla fine il pubblico, uscito dalla sala, piuttosto che porsi domande sulla mia estetica cinematografica preferiva parlare del tema trattato nel film.
L’intervento di un maestro del cinema come Alan Parker non poteva non includere un consiglio ai giovani che intendano intraprendere oggi il mestire del regista: “Se io fossi oggi agli inizi della mia carriera, mi armerei più del solito di una ostinata volontà di resistenza. Un regista deve avere la sensibilità di un poeta e la resistenza di un muratore. Fare un film è costosissimo ed è difficile riuscire a persuadere qualcuno a darti dei soldi per finanziarlo. Se però decidete di voler fare questo mestiere ad ogni costo, cercate di essere ”veri” fin dall’inizio andando a sottoporre la vostra idea senza paure ai vostri potenziali mecenati. Abbiate la pelle dura e difendete la vostra libertà creativa. Circondatevi di persone abili e competenti. Createvi subito un team di lavoro perchè, come dicevo prima, il regista non lavora da solo. Alcuni miei collaboratori mi hanno infatti seguito negli anni e siamo diventati amici. In generale assicuratevi di poter andare d’accordo con i vostri collaboratori, perchè i conflitti – se non impediscono a priori un buon risultato produttivo – possono alla lunga diventare distruttivi. Infine, ma non da ultimo, premuratevi sempre di ascoltare le opinioni degli altri.”
Un film di Parker nato in un clima conflittuale ma ‘confezionato’ con eccellente risultato è stato ad es. Pink Floyd The Wall: “un’esperienza pessima per via dei continui scontri con Roger Waters [bassista e cantante dei Pink Floyd – NdR], eppure – ammette Parker – mi ha portato ad un risultato artistico del quale sono orgoglioso. E’ stata per me un’altra importante “scuola di cinema”, per quanto costosissima.
Alan Parker e il teatro, uno dei possibili campi d’azione di un regista: “Ho fatto un solo spettacolo teatrale nella mia carriera. Penso sia un settore nel quale già abbondano gli artisti in grado di occuparsene. Ebbi anche una proposta per il teatro lirico: Placido Domingo mi ha convocato a Los Angeles per un Rigoletto ed avrei volentieri accettato se si fosse trattato di dirigere lui sulla scena, ma una volta lì scoprii che non avrebbe cantato ma diretto l’orchestra, per cui l’unica ragione che mi motivava venne meno. Infatti sono convinto che per cimentarsi in questo genere occorra amare profondamente l’opera lirica, ambito col quale non ho dimestichezza essendo soprattutto un estimatore di musica contemporanea. Tuttavia non mi è mancata l’occasione di collaborare anche con un grande compositore come John Williams che ha realizzato la colonna sonora per il mio film Le ceneri di Angela.
Proprio in conseguenza del citato mutamento di Hollywood e dei suoi meccanismi Alan Parker è già da qualche anno che non realizza nuovi film. Ha scritto diverse nuove sceneggiature ma “trovare i soldi per realizzarle – spiega – è profondamente difficile.” Tuttavia, il regista ammette di non aver rinunciato alla volontà di continuare ad esprimere la propria multiforme creatività. Già bravissimo fumettista (in passato era solito usare i fumetti per comunicare con i propri interlocutari, suscitando non di rado reazioni contrastanti), oggi Alan Parker si dedica alla pittura e alla scrittura: “l’arte – racconta – occupa la maggior parte del mio tempo. Ho scritto anche una sceneggiatura nuova in cui credo molto, ma trovare i soldi necessari è un’impresa titanica. Ho pertanto deciso che non farò film di cui non sia convinto. Ad es. ho rifiutato di fare Harry Potter; se avessi accettato oggi sarei straricco, ma non lo feci perchè non lo capivo. In generale ritengo che un’arte senza passione non abbia senso. E a volte, anche quando ce l’hai, la passione te la fanno perdere. Ciò che mi appassiona in questo momento è dipingere e la mattina non vedo l’ora di alzarmi per farlo; entro un anno penso di avere opere sufficienti per poter proporre una mostra.
Intanto sono anni – ed è questo forse uno dei volti forse meno noti del regista britannico – che Parker si fa promotore dei diritti dei registi avendone fondato il sindacato: “per quanto quello del regista sia percepito, e spesso connotato, come un mestiere fortemente individualista, in realtà presenta delle problematiche che accomunano coloro che lo svolgono. In generale non è un lavoro ben pagato…infatti sono soprattutto i diritti di copyright a permettere ad un regista di mantenersi. Ecco perchè era necessario fare fronte comune. Se ci sono le condizioni per svolgerlo al meglio il nostro è un mestiere bellissimo. Non dimenticherò mai una frase che mi disse Fred Zinnemann: “E’ un privilegio enorme essere un regista…non sprecarlo”.
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