di Redazione FdS
La nonna di Dan Barash aveva appena 5 anni quando abbandonò con alcuni fratelli più grandi il borgo di Tricarico (Matera) per inseguire il sogno americano. Approdò nel Lower East Side, quartiere newyorchese fra i più vivaci e ricchi di storia di Manhattan, da sempre aperto all’accoglienza di nuovi immigrati, al punto da costituire un vero e proprio mosaico di etnie. Quella famiglia lucana contribuì, come altre provenienti dai quattro angoli del globo, allo sviluppo del quartiere e a quello di una città che è assurta a simbolo di cosmopolitismo, ed ora in quel quartiere è approdato il nipote Dan, con la nonna nel cuore ed un sogno nella mente: “costruire a New York il primo parco sotterraneo del mondo…”.
Non si tratta della boutade di un giovane eccentrico, ma di un progetto serio concepito insieme a James Ramsey, architetto, titolare del Raad Studio, con sede nella Grande Mela. Il progetto ha anche un nome, si chiama Lowline. Partendo dai racconti di sua nonna sul Lower East Side di un tempo e dalla constatazione che esso è oggi uno dei quartieri più affollati di New York, nonché uno di quelli con meno spazi verdi in assoluto – “meno di un decimo rispetto ad altre zone della città” – Dan si è chiesto come fosse possibile accrescere il numero di queste oasi di natura nel cuore della città. Fin dal 2009 condivide il quesito con il suo amico James Ramsey, il quale gli fa conoscere un spazio cittadino decisamente inconsueto, in piena decadenza eppure ricco di fascino: si tratta di una stazione sotterranea costruita ben 107 anni prima e rimasta operativa fino al 1948. La utilizzavano i pendolari che viaggiavano da Brooklyn verso Manhattan e viceversa. “Risale proprio al periodo in cui hanno vissuto i miei nonni” – racconta Dan – “e quando io e James ci siamo entrati ci siamo sentiti come due Indiana Jones”.
Visitare questo posto e immaginarlo adatto al loro progetto è stato un tutt’uno. Superati così alcuni scogli burocratici, i due giovani ‘visionari’ sono riusciti ad ottenere le autorizzazioni necessarie a riqualificare quella stazione assegnandole un nuovo destino. Ma in che modo un luogo del genere avrebbe potuto regalare alla città maggiori spazi verdi? Ebbene, una soluzione c’era, per quanto a prima vista potesse apparire fantascientifica: creare gli spazi verdi nel sottosuolo, sotto i piedi cioè della New York che quotidianamente pulsa di traffico automobilistico e pedonale seguendo i ritmi concitati di una metropoli tentacolare.
C’era però un ‘piccolo’ dettaglio da risolvere, ossia come riuscire a portare nel sottosuolo la luce solare, fondamentale per la vita delle piante. A questo punto la palla è passata a James Ramsey e al suo Raad Studio, abituato ad elaborare soluzioni tecnologicamente avanzate per gli spazi architettonici di cui si occupa. La soluzione migliore è risultata così essere quella consistente nella creazione di un “remote skylight”, ossia di una specie di grande parabola che ha il compito di catturare la luce del sole per poi deviarla sottoterra, attraverso degli appositi “tubi” (v. immagine seguente).
Una volta giunta alla meta, la luce solare viene propagata in tutto l’ambiente, garantendo la quantità necessaria ad un processo come la fotosintesi, vitale per la sopravvivenza di piante e alberi. La tecnologia del “remote skylight” è stata testata a fine 2012 in un vecchio magazzino suscitando grande curiosità fra comuni cittadini e rappresentanti del media. L’utopia dei due giovani diventava così concreta realtà sotto gli occhi felicemente sorpresi ed imparziali di numerose altre persone. “L’apporto innovativo più importante di Lowline” spiega James Ramsey “consiste nel fatto che noi catturiamo la luce naturale del sole per indirizzarla sottoterra e far crescere qualcosa. Sfruttando gli effetti naturali di questa luce trasformeremo una stazione abbandonata in un vibrante spazio pubblico pieno di alberi e piante”.
Ha così cominciato a prendere corpo l’immagine di un parco ipertecnologico nel quale è possibile muoversi o stazionare tutto l’anno a prescindere dal clima esterno, dalla stagione in corso e dalla temperatura del momento. Insomma uno spazio da vivere a contatto con una natura in grado di svilupparsi secondo i suoi consueti meccanismi fisiologici, sebbene agevolati dall’intervento dell’uomo.
Il primo passo verso la realizzazione del progetto è stato l’avvio di una campagna di crowdfunding finalizzata a raccogliere i fondi necessari ad attivare un laboratorio di ricerca che, a partire dal prossimo settembre e per la durata di sei mesi, servirà a mettere a punto l’impianto di cattura e distribuzione della luce solare e a testarlo. Ad oggi sono stati raccolti 150mila dollari. Il laboratorio non sarà riservato solo ad uno staff tecnico, ma si rivolgerà a varie associazioni e categorie di cittadini, puntando a coinvolgere soprattutto i più giovani nell’immaginare le possibili linee di sviluppo di una struttura che dovrebbe essere pronta per il 2018.
Intanto il progetto è riuscito a trovare il sostegno morale e materiale di molte persone: da comuni cittadini a diverse figure politiche, del mondo dell’arte e dello spettacolo, in tanti si sono espressi positivamente su questo progetto e sui loro due ideatori. E Dan in tutto questo legge una sorta di metafora della sua storia familiare: un cerchio che si chiude proprio là dove – con i nonni e i genitori – è iniziata la storia di un quartiere il cui passato le nuove generazioni oggi vogliono riscoprire, reclamando una utilizzazione piena dei suoi spazi, magari dopo averli resi più suggestivi e funzionali.
© RIPRODUZIONE RISERVATA