Una statuetta custodita negli USA e altri indizi ridanno vigore al dibattito sui Bronzi di Riace

Elaborazione ad acquerello del bronzetto custodito presso il Wadsorth Atheneum Museum of Art di Hartford (Connecticut) – © Angelo Ventimiglia

Notato sul web dal prof. Daniele Castrizio, un bronzetto custodito nel Connecticut finisce tra i nuovi indizi che animano il dibattito tra studiosi. Ma ora lo stesso reperto spunta anche da una vecchia tesi di laurea americana. E mentre altre tracce interessanti riportano ad Argo, un nuovo studio sembra sparigliare le carte lanciando una controversa ”pista siracusana”

di Redazione FdS

E’ da ormai mezzo secolo che i celebri Bronzi di Riace, splendide opere del V secolo a.C. custodite presso il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, sono al centro di un vero e proprio enigma che ruota intorno a tre fulcri fondamentali: la loro paternità, il luogo di realizzazione, i soggetti rappresentati. Le numerose tesi che si sono susseguite nel corso degli anni, in un costante confronto tra studiosi, hanno affrontato questi temi secondo diversi gradi di scientificità e di verosimiglianza, fino a un recente approccio di carattere più marcatamente interdisciplinare  da cui, a nostro avviso, è scaturita una delle ”letture” più suggestive di questi due straordinari capolavori. Ci riferiamo in particolare alla tesi di Daniele Castrizio, archeologo e docente di numismatica presso l’Università di Messina, secondo il quale le due statue, identificate come quelle dei mitici fratelli Eteocle e Polinice, sarebbero quanto finora pervenutoci di un gruppo di 5 opere del quale avrebbero fatto parte anche quelle della madre Giocasta, della sorella Antigone e di una terza figura maschile presumibilmente corrispondente a Creonte, fratello di Giocasta, o all’indovino Tiresia; figure di una scena che varia di qualche elemento a seconda della fonte letteraria di riferimento ma che ruota sempre intorno al duello fratricida tra i due principali protagonisti. La tesi di Castrizio è ulteriormente integrata dall’idea – basata sull’interpretazione incrociata di fonti letterarie e materiali antiche –  che i due Bronzi, forgiati ad Argo secondo quanto suggerito dagli studi sulle terre di fusione condotti a Roma e a Glasgow, siano stati trafugati in Grecia dai Romani, esposti con durevole successo nella capitale imperiale, salvo poi essere trasferiti a Costantinopoli quando Costantino il Grande, agli inizi del IV sec. d.C., ordinò che la collezione imperiale di opere d’arte che si trovava a Roma, fosse trasportata nella nuova capitale; un ultimo viaggio che si sarebbe fatalmente concluso sui fondali marini della Calabria.

Oltre alle varie argomentazioni addotte da Castrizio a sostegno della sua tesi, quest’ultima risulterebbe di recente essere corroborata – soprattutto per quanto attiene alla permanenza romana dei Bronzi di Riace e alla presunta fama da essi conquistata sul posto – dalla localizzazione di un bronzetto (v. disegno in alto) custodito presso il Wadsorth Atheneum Museum of Art di Hartford (Connecticut). Lo studioso stava conducendo una ricerca iconografica on line quando si è imbattuto nelle immagini di una statuetta di 27.9 cm di altezza, catalogata col titolo “Figure of a nude male warrior” e datata al V° sec. a.C., frutto della donazione, fatta ai primi del Novecento, dal celebre banchiere J. P. Morgan. Da notizie raccolte tramite il museo, è emerso che il reperto sarebbe stato ripescato nel Tevere, a Roma, prima di finire sul mercato antiquario. Dalla osservazione delle caratteristiche fisiche del personaggio raffigurato emerge effettivamente una fortissima somiglianza soprattutto con il Bronzo di Riace “A”, circostanza che spingerebbe a ravvisare in questo reperto una riproduzione in scala ridotta dell’originale, probabile attestazione della fama raggiunta dai due capolavori. Il ritrovamento nel Tevere – fa notare Castrizio -, sarebbe una prova della presenza a Roma delle due statue modellate in Grecia, come già teorizzato dallo stesso studioso. Il bronzetto presenta un fisico fortemente assimilabile a quello di entrambi i capolavori: la figura è completamente nuda come le statue di Riace e il braccio sinistro è sollevato piegato al gomito, mentre il braccio destro è rilassato lungo il fianco della figura, proprio come nei Bronzi. Il carattere sinuoso della forma è ulteriormente esaltato dall’inclinazione verso destra del bacino, che rende le costole e la spalla sul lato sinistro visivamente più evidenti; la gamba sinistra della statua è piegata con il ginocchio spinto in avanti, mentre la gamba destra rimane rigida; inoltre il personaggio raffigurato indossa l’elmo corinzio inclinato all’indietro sulla testa, oggetto la cui presenza è stata da tempo ipotizzata dal prof. Daniele Castrizio anche per la coppia di Riace.
 

I due Bronzi di Riace (v° sec. a.C.) esposti al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria

Sono queste alcune delle principali caratteristiche che suggeriscono una assimilabilità tra la statuetta custodita negli USA e le due statue del V° sec. a.C. ripescate nel mare di Riace, somiglianza che – come abbiamo accertato di recente – era stata già evidenziata nel 2005 dalla studiosa americana Jennifer Alaine Henrichs, nella tesi di un Master of Art presso la Louisiana State University, ma che è evidentemente passata pressoché inosservata almeno fino a quando – per una delle bizzare coincidenze della vita – quella stessa somiglianza è stata notata anche dal prof. Daniele Castrizio.

Impegnato da anni nello studio dei due capolavori e in costante dialogo con studiosi anche di altri Paesi, Castrizio fa parte di quel gruppo di esperti che da tempo vanno approfondendo la ”pista” che porterebbe ad Argo, nella regione greca del Peloponneso, quale patria di realizzazione dei due Bronzi di Riace; una tesi a lungo basata sugli studi condotti a Roma e a Glasgow sulle terre di fusione rinvenute all’interno delle due statue e che di recente risulterebbe corroborata anche da una serie di ulteriori e importanti risultanze materiali delle quali si è discusso nell’autunno del 2023 nel corso di un convegno tenutosi ad Atene al quale ha partecipato anche il prof. Castrizio; un’occasione che ha confermato il grande interesse presente in Grecia intorno ai Bronzi, interesse peraltro giustificato dal coinvolgimento della madrepatria ellenica come dimostrato da alcuni dei relatori che hanno confermato la tesi della provenienza delle statue dalla antica città di Argos. Ma quali sono tali importanti risultanze materiali?
 

Elaborazione grafica sui due Bronzi di Riace – Immagine tratta dal convegno di Atene del 2023

In particolare l’archeologo Kostas Tziampasis, dopo una disamina dei bronzi antichi trovati nel Mediterraneo, ha mostrato un piedistallo facente parte di un’esedra dell’agorà di Argos su cui sono evidenti i segni dei piedi e della lancia del Bronzo A, prova dunque della sua antica presenza in quel luogo. Il collega Christos Piteros ha invece illustrato la statua in bronzo parzialmente conservata di un uomo anziano, vestito con un himation, ritrovata accanto al laboratorio di un bronzista di metà V secolo a.C. ad Argo, le cui analisi hanno provato l’identità della terra di fusione rispetto ai Bronzi di Riace, elemento che dunque confermerebbe la loro fabbricazione ad Argo, aprendo enormi prospettive di ricerca; si tratta – spiega Castrizio – di una statua scoperta nel 1992 ma poi dimenticata, che si presenta coerente ai Bronzi non solo per la assoluta corrispondenza della terra di fusione interna ma anche per le dimensioni. In ordine a questa statua Castrizio rivela come nel 2022 egli si sia recato ad Argos insieme al giornalista RAI Paolo Di Giannantonio facendo comprendere alle amministrazioni l’importanza di quel ritrovamento, ottenendo che l’opera venisse sottoposta a restauro. L’archeologo Antonio Corso ha dimostrato infine l’appartenenza delle due statue da Riace al medesimo laboratorio e ha spiegato come la loro fattura sia identica a quella di una replica romana di un’opera in bronzo sicuramente di Pitagora di Reggio. Nel relazionare sullo stile delle antiche statue greche, Corso ha così aggiunto un’ulteriore prova alla teoria dell’attribuzione della paternità dei Bronzi allo scultore Pitagora di Reggio, artista elogiato da Plinio come come uno tra i migliori maestri bronzisti.

Se per alcuni studiosi questi dati sono ormai da considerarsi scientificamente incontrovertibili, non manca chi ritiene di doverli mettere in discussione, come è accaduto di recente con la divulgazione di una nuova tesi che contesta la provenienza dei Bronzi da Argo contrapponendole una provenienza siciliana, da Siracusa per la precisione. La tesi, sostenuta da Anselmo Madeddu, presidente dell’ordine dei medici di Siracusa, e Rosolino Cirrincione, direttore del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Catania, si baserebbe su uno studio riguardante i valori geochimici delle terre di saldatura dei Bronzi che corrisponderebbero a quelli del territorio siracusano, lanciando così l’ipotesi dell’appartenenza delle due statue ad un presunto gruppo scultoreo che si sarebbe trovato anticamente nel tempio di Hera a Siracusa; più nello specifico la natura geologica delle concrezioni rinvenute sui Bronzi coinciderebbe con le caratteristiche geochimiche dei fondali di Brucoli, frazione del comune di Augusta (Siracusa): la comparazione dei campioni, effettuata insieme all’Università di Ferrara, avrebbe riscontrato una corrispondenza di valori con le terre di fusione dei Bronzi. Questa tesi sarebbe supportata anche da alcune testimonianze – non si sa quanto attendibili – secondo cui i Bronzi sarebbero stati rinvenuti negli anni 70 lungo la costa ionica siciliana da alcuni sommozzatori per poi tentarne la vendita al mercato clandestino; una fuga di notizie e l’avvio di controlli da parte della Guardia di Finanza avrebbe infine spinto questi soggetti a trasportare le statue via mare lontano dalla Sicilia per poi depositarle al largo di Riace. Inutile dire che questa teoria “siracusana” ha alimentato accesi dibattiti, ma non ha in alcun modo schiodato Castrizio dalle proprie conclusioni, forti di studi di anni: “Non c’è alcun dubbio che i Bronzi siano stati creati ad Argos – dichiara -. Disponiamo di prove archeologiche e letterarie che lo confermano, e per quanto l’ipotesi siciliana possa considerarsi interessante, non trova alcun concreto riscontro”.

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