di Redazione FdS
Due chiese, una nel nord e una nel sud Italia, a Milano e in Aspromonte, due destini di distruzione e l’opera di un artista contemporaneo per riflettere sul senso dei luoghi e del tempo. Sono i protagonisti della mostra “80mq di silenzio. Domenico Fazzari”, inaugurata lo scorso 7 luglio e proprogata fino al 22 ottobre (la chiusura era inizialmente prevista per il 1° ottobre), che nell’ex Chiesa di San Sisto (in seguito Studio Museo Francesco Messina*), la cui abside è andata distrutta nei bombardamenti della seconda guerra mondiale, espone un dipinto scenografico di 80 metri quadri dell’artista calabrese Domenico Fazzari, un’installazione site specific che ritrae l’abside della Chiesa di San Salvatore ad Africo, in Aspromonte, la sola architettura significativa sopravvissuta dopo l’alluvione del 1951, e da allora abbandonata. L’enorme scenografia innesca un dialogo tra i due luoghi, strutturalmente simili e accomunati da una storia di distruzione, e invita alla ricerca della loro identità passata e della loro memoria, facendoli rivivere l’uno nell’altro. In questo suo dipinto il paesaggista Domenico Fazzari dà infatti voce alle rovine di Africo, e consente così alla chiesa abbandonata di essere nuovamente vista e vissuta, e a San Sisto di recuperare temporaneamente l’abside perduta. Il silenzio, citato nel titolo dell’esposizione, rappresenta la condizione dello spettatore di fronte alle rovine e ai luoghi abbandonati, siano essi la conseguenza di un’azione della natura o della violenza umana. L’esposizione organizzata dal Comune di Milano, Assessorato alla Cultura e dallo Studio Museo Francesco Messina, è stata fortemente voluta dalla direttrice del museo Maria Fratelli, con il supporto del Laboratorio di Scenografia del Teatro alla Scala.
“Rappresentare Africo su una tela di 80mq e dislocarla in una chiesa milanese – ha detto Maria Fratelli – significa riproporre all’attenzione del visitatore il miracolo della pittura. I grandi freschisti hanno sempre creato grandi illusioni, squarciando i soffitti sull’immensità del cielo o aprendo le pareti su paesaggi e orizzonti lontani. In San Sisto la congruenza tra lo spazio reale e quello della Chiesa di Africo è talmente forte che la variazione non è di luogo ma di tempo. Non si spiegherebbero altrimenti i muri scrostati, le finestre rotte, lo stato di abbandono (e quella mucca a destra dell’altare che guarda sospettosa). Entrare in San Sisto per non essere a Milano oggi, ma nell’immediato dopoguerra, quando l’abside non c’era più, quando il silenzio che sempre segue a una distruzione è ancora sospeso nell’aria”.
“Fazzari – ha aggiunto la direttrice – non ha voluto creare uno spazio che non esiste (anche se la tentazione di vedere la sua opera come una citazione dello sfondato di Bramante in San Satiro, all’inizio di via Torino, è molto forte), ma ha voluto portare una riflessione sul tema della rovina, in centro a Milano, nel cuore della città romana dove il progresso ha costruito la capitale moderna del Paese. Ha voluto creare un corto circuito, innestando in questa efficiente dinamicità l’immobilità di Africo, aprire una finestra spazio-temporale che per qualche mese rendesse parallele due velocità incomparabili”.
Lo spazio architettonico rappresentato nell’opera di Fazzari, di forte impatto emotivo, evoca le fratture profonde che spesso segnano l’esistenza umana: la presenza di una mucca spaesata tra le rovine dell’abside allude ai giorni in cui la chiesa di Africo è stata riparo per gli abitanti e gli animali del paese distrutto, così come San Sisto è stata rifugio per i senzatetto. Nella tela di Fazzari allo Studio Museo Francesco Messina, Africo e la sua chiesa, da lui conosciuti in una delle sue escursioni in Calabria, appaiono collocati in una dimensione in cui il tempo sembra essersi fermato. Il senso di “80mq di silenzio” è forse anche quello di un implicito auspicio di rinascita.
Il 18 ottobre scorso, al cospetto dell’opera monumentale di Domenico Fazzari, si sono tirate le fila di questa esperienza che ha voluto sovrapporre all’altare bombardato della chiesa-studio di Milano, quello dipinto dall’artista calabrese. Tra gli ospiti illustri, artisti, intelettuali, attori, la delegazione di Africo con sindaco e assessori, c’era in prima fila anche il direttore di Palazzo Reale Domenico Piraina che ha lasciato la mostra appena allestita “Dentro Caravaggio” (per la prima volta venti opere riunite che attirano impressionanti file di visitatori ogni giorno) per ascoltare e vedere un’altra Calabria, per riflettere sui temi dell’abbandono e della Filoxenìa con la visione delle immagini e l’ascolto dei racconti della Calabria greca di cui l’antropologa Patrizia Giancotti si è fatta portatrice, con le illuminanti riflessioni proposte dall’antropologo Vito Teti, autorevole ispiratore per quanti hanno voluto immergersi in questa ricerca.
Centinaia di milanesi sensibili ai temi dell’arte e dell’antropologia, calabresi che vivono a Milano, altri venuti da lontano, turisti, hanno seguito l’ampia riflessione sul territorio calabrese che si è fatta spunto per considerazioni di carattere universale con l’intervento di Alice Giulia Dal Borgo docente di geografia regionale alla Statale di Milano e con la moderazione di Maria Fratelli. Tutti raccolti all’ombra dell‘opera evocativa ed enigmatica che ci parla di una Calabria metafora del nostro tempo, tra le sculture del siciliano Francesco Messina, a due passi dal Duomo; una pittura monumentale e quantomai pertinente all’interno dello spazio già sacro, e grazie all’artista Domenico Fazzari, oggi laicamente risacralizzato.
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Note:
*Il Museo Studio Francesco Messina custodisce 80 sculture e 26 opere su carta scelte tra le più pregevoli dell’artista siciliano (1900-1995), realizzate nell’arco dell’intera vita del maestro, a testimonianza della sua grande abilità tecnica e del suo interesse per il realismo.
Info:
Tel.: 02 86453005
E-Mail: c.museomessina@comune.milano.it
Ingresso gratuito