a cura di Redazione FdS
“… il cielo risplende, le piante mettono fronde,
le viti rigogliose sbocciano di pampini,
i rami si incurvano per l’abbondanza dei frutti,
i campi producono messi in gran copia, tutta la natura fiorisce,
le fonti zampillano, i prati si rivestono di erbe…”
Così cantava nel III sec. a.C, nelle sue ‘Eumenides’, il poeta latino Quinto Ennio, nativo di Rudiae, l’antica città messapica, sita nell’area di influenza della colonia dorica di Taranto, e poi città romana. E le sue parole sembrano descrivere, sotto il velo mitico, la natura di qualche ferace angolo della natìa Puglia…come quello che vogliamo portarvi a visitare.
Il nostro viaggio attraverso le contrade del Sud, questa volta ci porta infatti a quattro passi dai resti archeologici di Rudiae, situati nel comune di San Pietro in Lama (località “Rugge”), presso la periferia meridionale di Lecce. Vi portiamo in questa zona per visitare una residenza settecentesca, la splendida Villa Mellone, che nel 1984, al pari della Villa Caristo di Stignano (Reggio Calabria), fu omaggiata di una emissione filatelica celebrativa. Ve la raccontiamo attraverso un testo della prof.ssa Ida Blattmann d’Amelj, pubblicato a cura del F.A.I. (Fondo per l’Ambiente Italiano, delegazione di Lecce) in occasione di una apertura speciale della villa avvenuta nel marzo 2009, per la XVII Giornata FAI di Primavera. Il testo, è corredato da immagini e disegni dell’ing. Gianni Carluccio, appassionato divulgatore del patrimonio culturale salentino, che molto generosamente ci ha autorizzati a pubblicare il tutto su FdS.
VILLA MELLONE, SPLENDIDA DIMORA SETTECENTESCA NEI PRESSI DI RUDIAE
di Ida Blattmann d’Amelj
Ph. courtesy of Gianni Carluccio
IL CONTESTO
Villa Mellone risulta ben inserita in un sistema di ville suburbane con giardini che nel corso del XVIII secolo ebbe un notevole impulso in diverse zone del Salento: la Valle della Cupa, l’entroterra di Gallipoli, l’area delle “Cenate” di Nardò e il basso Salento, con particolare riferimento al territorio di Presicce.
In particolare, nella cosiddetta “Valle della Cupa”, che deriva il suo nome dalla naturale depressione del terreno in un’area compresa tra Lecce, Arnesano, Monteroni, San Pietro in Lama, Lequile (che si allarga fino a Campi Salentina, San Donaci, Carmiano, Copertino, San Donato e Lizzanello), si assiste da parte della classe dirigente aristocratica ad un riappropriarsi del contesto rurale.
Sulla spinta di un rinnovato interesse per la produzione agricola, in particolare vinicola, il vivere in campagna necessitò di un ammodernamento delle strutture architettoniche, spesso masserie già esistenti ed adibite ad uso esclusivo del colono e/o giardiniere, che quindi vennero ristrutturate ed ampliate. Avvenne quindi che la masseria si modificò in villa, investendo in questa metamorfosi architettonica anche i cortili che divennero “giardini chiusi”, spesso con piante rare ed ornamentali, ridisegnando così l’architettura arborea (1).
Questa moda di passare parte dell’anno in campagna, in coincidenza con la stagione dei raccolti, venne inoltre segnalata da intellettuali come Giuseppe Palmieri, Giovanni Presta e Vincenzo Corrado che da un lato esaltarono il piacere di vivere in campagna, sottolineando il ruolo del “nobile campagnolo”, dall’altro incitavano la committenza ad un miglior impegno nelle attività agricole (2).
La “Cupa”, definita dal De Giorgi “il Tivoli dei leccesi” (3) grazie alla fertilità del terreno, all’accesso alla falda idrica ed al facile reperimento del materiale da costruzione è stata un’area privilegiata già in antico, segnata dalla presenza di assi viari, monumenti e diversi insediamenti che hanno lasciato importanti segni di frequentazione.
Villa Mellone insiste infatti sul sito archeologico di Rudiae, “città ellenica” e poi patria del poeta latino Quinto Ennio, posta a brevissima distanza dagli altri due centri messapici di Cavallino e Lecce, che acquisterà notevole importanza in età romana con il nome Lupiae. Sappiamo che Rudiae ebbe un periodo di grande splendore in età classica ed ellenistica (V-III secolo a. C.) e stretti contatti con il mondo greco, attestati dalla presenza di vasi attici a figure rosse. La successiva conquista romana modificò l’habitat, sottoposto al processo di centuriazione, finalizzando l’intervento ad un intenso sfruttamento agricolo che interessò profondamente l’area tra Lupiae, Rudiae e Cavallino.
Tutta l’area continuò ad essere frequentata in età medioevale con la nascita di piccoli casali, ma in uno stato di desolazione la segnalava lo storico Galateo nel XVI secolo (4). In età moderna tutta la valle rinasce e si riempie di nuove strutture, i cosiddetti “casini”, con giardini ricchi di frutta, piante rare come jucche, latanie, agavi americane (5) e resi importanti dalla presenza di portali monumentali, viali colonnati, pozzi, pergolati, sedili di pietra, cappelle private, costruzioni destinate a coffee-house e belvedere, luoghi dai quali ammirare il paesaggio circostante.
Questi edifici accoglievano le famiglie aristocratiche tra maggio e ottobre; le fonti ci segnalano, infatti, tra le motivazioni al “ritorno in campagna” anche la “salutevole sua aria”. Sappiamo che possedevano “casini per la villeggiatura” il vescovo di Lecce, Alfonso Sozi Carafa, don Gaetano Mancarella, barone di Vanze, il Capitano Bellisario Paladini, figlio dei Baroni di Campi e don Nicola Personè.
Nei documenti del Catasto onciario di Lecce del 1755 si trovano frequentemente riferimenti ai toponimi “casini”, “casina”, “villa”; spesso è difficile distinguerli e i termini “villa” e “casino” sono talvolta usati indifferentemente (6). Per “casino” deve intendersi un fabbricato a due piani, con ampia scalinata e loggiato al primo piano, con compresenza di abitazione del proprietario e del lavoratore. A ciò bisogna aggiungere il palmento per pigiare l’uva, il forno e i magazzini, spesso preesistenti se si tratta di un’originaria masseria. La “casina” e la “villa” invece costituivano la dimora stagionale del proprietario e si differenziava da quella del giardiniere e dei contadini.
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«E’ nel 1795, infatti, che sul sito di un complesso masserizio denominato “Li curti grandi”, già di proprietà della famiglia Libetta e poi dei Perrone, che un congiunto di Francesco Danieli, il quale aveva acquistato la masseria nel 1762, fece realizzare l’elegante dimora palazzata composta di “sette stanze superiori con galleria e di otto inferiori”» (7). Così si esprime lo studioso Antonio Costantini non riportando l’iscrizione esistente sul portale di accesso al giardino della villa, su due pilastri, dove si legge con certezza la data “ANNO D. 1795”, accompagnata dalla denominazione “VILLA D. AMICO” o “VILLA D’AMICO”. Non è chiaro dunque se “il congiunto di Francesco Danieli”, di cui riferisce il Costantini, possa identificarsi con il nome sopra riportato.
Si può ipotizzare comunque che la data del 1795 possa rappresentare un momento terminale dei lavori di costruzione e/o risistemazione dell’immobile, così come quella del 1798, dipinta nella galleria del piano nobile, rappresenta certamente l’ultimazione dei lavori di decorazione pittorica. Tali interventi rientravano in un più vasto programma di riqualificazione urbanistica ed architettonica che investì la città di Lecce già nel 1796, in occasione dell’arrivo di Ferdinando IV, avvenuto l’anno successivo: il re fece il suo ingresso trionfale a Lecce il 22 Aprile 1797 e ne parlò in modo entusiastico: «j’en fus enchantéer». Negli stessi anni venne operata, infatti, una “restaurazione”, per un’estensione di due miglia, della strada che da Lecce portava a Rudiae (l’attuale Lecce – San Pietro in Lama) (8).
Tra la fine del XVIII sec. ed i primi del XIX sec. la villa passò alla ricca famiglia Mellone, frequentemente citata nei documenti: da Francesco Saverio a Luigi nel 1818 e poi nel 1837 ad Angela, che aveva un credito di 2777 ducati nei confronti dei due proprietari appena nominati. La stessa pochi mesi dopo essere entrata in possesso del bene lo donò al figlio Giuseppe Pisanelli, barone di Tricase, riservando alle altre due figlie, Concetta e Domenica, altre proprietà nella stessa città (9).
Con il 23 maggio del 1845 si avvia il carteggio tra l’Intendente della Provincia di Terra d’Otranto, barone Carlo Sozi Carafa ed il Ministro degli Affari Interni per l’acquisto del “casino in campagna” (in altri documenti dello stesso carteggio la struttura è citata come “casa di campagna” o “casina con giardino adiacente”) su richiesta del Rettore del Collegio di San Giuseppe, il gesuita Carlo Maria Turri, «a far respirare agli alunni del Real Collegio Provinciale aria campestre nelle ferie autunnali per ricrear lo spirito e ristorare le forze dopo il corso scolastico…» (10). Le richieste continuarono fino al 23 maggio del 1847 quando il re Ferdinando II emanò la “Sovrana Risoluzione” nella quale si ordinò l’acquisto dell’immobile per la somma di 1700 ducati, pagabili dalla Provincia.
Il 15 agosto 1850 con “pubblico instrumento per notar Zaccaria di Lecce” ci fu l’atto di acquisto al quale parteciparono, oltre al notaio, l’Intendente Sozi Carafa, Padre Turri, i deputati delle Opere pubbliche provinciali e Vito Chiga, procuratore di Giuseppe Pisanelli (11). Nel documento si cita “il palazzo della Masseria Nuova o Curte grande, col giardino murato adiacente e tutte le sue accessioni, sito alla distanza di circa un miglio di questa città dalle due strade quasi parallele che conducono una a Gallipoli, l’altra in San Pietro In Lama”; di seguito si chiarisce l’affidamento ai Gesuiti.
Risulta interessante nell’atto la descrizione degli ambienti: quelli del piano terra divisi tra locali vari (ovile, mangiatoia, rimessa e pagliara) e abitazione per “le persone di servizio” (quattro ambienti con cucina, “focagna”, piccolo forno, “fornacella”, stanza da letto). Vengono poi enumerate le stanze del piano nobile: anticamera, grande stanza da letto, loggia scoperta con piccola torre, altra stanza da letto con piccolo retro e altra loggia. Nello stesso atto viene assegnata la parte laterale destra del corpo di fabbrica a Francesca Valente, moglie di Francesco Saverio Mellone (12). Tale proprietà passò in seguito alla famiglia Villani ed infine nel 1987 ad Alessandro Bacile di Castiglione.
Nel 1864 la Provincia incaricò l’ingegnere Ferdinando Campasena di redigere alcuni progetti di restauro della villa, relativi alla sistemazione dei pavimenti e delle finestre del prospetto, ma “senza punto alterare la solenne configurazione originaria” (13). A questa fase dei lavori va ricondotto probabilmente l’inserimento della croce, simbolo dei Gesuiti, posta in chiave sull’arco del portale d’ingresso.
Nell’arco di tempo che va dal 1916 al 1947, la struttura divenne a più riprese “una casa di salute per malattie mentali” e in questa occasione si modificarono parti degli ambienti con l’inserimento di tramezzi, si demolì parzialmente il muro interno del cortile e furono coperti gli affreschi che decoravano il primo piano (14).
Nella seconda metà del secolo, la villa subì ulteriori modifiche in seguito ad un cambiamento di destinazione d’uso per attività didattiche, ma ormai sembrava destinata ad un totale degrado; per portarla all’attenzione del pubblico interesse fu inserita nel 1984, tramite l’emissione di un apposito francobollo, nell’elenco filatelico delle “Ville d’Italia”, come esempio di patrimonio da salvaguardare e valorizzare. Il pregevole immobile, già vincolato in base all’art. 4 della legge 1089 del 1 luglio 1939, venne poi ulteriormente tutelato dallo Stato con Decreto declaratoriale del 15 Aprile 1987.
L’ESTERNO
Il prospetto della Villa si presenta diviso in tre parti: due laterali, più basse, ad un solo ordine, terminanti con due torrette tronco-piramidali che sostengono due colombaie cilindriche, impreziosite da un coronamento a “fregio classico” ed una centrale, a due ordini, monumentale ed elegante. Si tratta di un blocco compatto ed unitario, con una facciata piatta e severa che si “ammorbidisce” nel piano superiore per la presenza plastica di alcuni trofei a decorazione fitomorfa, posti ai lati delle finestre; altri, più semplici, sono visibili sulla cornice di coronamento. Tale repertorio decorativo testimonia della capacità di mediazione stilistica delle maestranze salentine che, pur avendo assimilato la nuova cultura neoclassica, non dimenticava la tradizione barocca.
Entrambi gli ordini sono segnati da lesene binate in asse sui livelli: in quello inferiore sono bugnate e inquadrano il portale centrale modanato e due coppie di finestre con timpano curvilineo; in alto si presentano lisce e scandiscono il ritmo di cinque alte finestre con timpano triangolare.
Il paramento liscio e monocromo del primo livello si ingentilisce nel secondo con la scelta della policromia a piccoli tratti alternati orizzontalmente nei colori rosso, ocra e verde, secondo il tradizionale effetto decorativo a tempera dell’architettura salentina, che ebbe notevole fortuna per tutto il XIX secolo a Lecce ma anche extra-moenia (15). Gli stessi effetti coloristici si possono ancora notare lungo il perimetro delle strutture a torrette angolari con motivo a larghe fasce alternate su una base di intonaco chiaro, riproponendo la stessa scansione cromatica della facciata.
Un lungo viale d’ingresso doveva precedere l’accesso al monumento, secondo un modello più volte utilizzato per la progettazione di queste ville; della struttura che delimitava l’accesso all’ampio atrio antistante la villa rimane un solo elemento: si tratta di un pilastro con superficie a larghe bugne, con tracce dello stesso colore rosso della facciata. Purtroppo, negli ultimi anni, l’area antistante l’antico edificio fino alla strada Lecce-San Pietro in Lama è stata imprudentemente e a più riprese sconvolta dall’espansione edilizia, negando così al visitatore l’originaria e scenografica visuale del monumento.
Interessanti confronti stilistici si possono infine stabilire tra villa Mellone e la vicina villa Cerulli-Bozzicorso (situata lungo la strada Lecce-Monteroni), progettata dagli architetti alessanesi Felice De Palma ed Emanuele Orfano tra il 1792 e il 1804; a questi ultimi si potrebbe attribuire anche la paternità della progettazione di villa Mellone (16) oppure, secondo un’altra ipotesi, all’ing. Vincenzo De Grazia (17).
L’INTERNO
Dal portale principale si accede in un androne rettangolare (m 5 x 10), voltato a botte lunettata, che immetteva a destra e a sinistra, attraverso due piccoli portali simmetrici e decorati in chiave da una conchiglia, agli ambienti della servitù e tramite una scala a due rampe, all’interno di un ambiente con volta a padiglione, al piano nobile. A sinistra di detto androne si sviluppano una serie di ambienti coperti con volte a stella (nella parte nord a botte), riservati alla famiglia del contadino insieme ai servizi, ai depositi e ai magazzini della villa; detti ambienti si affacciano sul cortile interno della villa.
Il piano nobile risulta diviso in otto ambienti: sei sale coperte ancora da volte a padiglione, compresa la grande galleria (91 mq), e due da volte a botte. Gli ambienti interessati dal recente restauro galleria (m 13 x 7) e piccola sala adiacente (m 5.60 x 3) hanno riacquistato l’antica fisionomia e dignità.
Nella galleria le decorazioni pittoriche partono in basso con un alto zoccolo (cm 90 dal piano di calpestio), segnato da sottili cornici dipinte in ocra e proseguono in alto con grandi riquadrature scure, forse un tempo decorate, che delimitano spazi vuoti, atti ad ospitare arazzi o grandi tele. Sulle porte grandi medaglioni centrali, che un tempo presentavano forse decorazioni paesaggistiche, secondo la tradizione pittorica del periodo; agli angoli si evidenziano decorazioni a rosette.
Il repertorio decorativo più interessante è riservato alla grande volta a padiglione: nelle parti angolari si notano amorini alati con grandi trofei a decorazione vegetale centrale e canestri di frutta; lungo le pareti, invece, si individuano quattro coppie di sfingi, che si presentano senza ali, monocrome, stilizzate e poste di profilo. Nella parte alta la decorazione prende in considerazione due piccole figure femminili dalle sembianze classiche, realizzate in medaglioni perlinati, nell’atto di giocare a palla o di danzare. Al centro, infine, una ricca decorazione vegetale a trompe-l’oeil e ridipinture di sottili elementi vegetali, quali semplici festoni nei colori blu, verde e azzurro, completano l’apparato decorativo. Nella parete a SW in alto, all’interno della cornice, si legge dipinto “finis 21 abrle (aprile) 1798”, data relativa alla conclusione dei lavori pittorici.
La sala adiacente, presenta gli stessi modelli iconografici precedenti ma con varianti decorative: si individuano, infatti, le stesse divisioni in cornici con un’alternanza cromatica tra l’ocra, il rosa e il verde. La parte alta della volta reca ancora due medaglioni, anch’essi perlinati, con la presenza di due figure femminili simili alle analoghe presenti nella galleria, una vestita e l’altra a seno scoperto. Nelle parti angolari della volta a padiglione ancora decorazioni vegetali e lungo le pareti, entro cornici perlinate, due grandi vasi decorati con figure classiche.
Tutti gli elementi iconografici qui segnalati riconducono ad un programma decorativo elaborato da maestranze locali, che a volte tradiscono una mediocrità di esecuzione, ma rispondenti alle richieste di una committenza colta e attenta al nuovo e diffuso gusto per l’antico. Sappiamo infatti che nel 1738, in seguito alla sensazionale scoperta delle città romane di Ercolano e Pompei, sepolte dall’eruzione del Vesuvio, si sviluppa una rinnovata ansia di ricerca, una nuova tensione verso l’antico, alimentata da lettere, diari, resoconti di viaggiatori, testi teorici, raccolte di disegni e incisioni.
Tra tutti fondamentale fu tra il 1757 e il 1792 la pubblicazione a Napoli, nella Regia stamperia di Carlo VII di Borbone, di otto volumi delle “Antichità di Ercolano esposte”, curata dall’Accademia Ercolanense, appositamente istituita dal Sovrano. Tale edizione rappresentò la prima documentazione degli scavi e contribuì in modo determinante alla formazione e diffusione del gusto neoclassico in Europa (18); i temi ricorrenti erano eroi antichi, sfingi, elementi di architetture templari o figure femminili.
La decorazione delle quattro figurette femminili nei piccoli medaglioni perlinati delle due volte restaurate, riconducono all’iconografia delle “danzatrici” di Pompei, che entusiasmarono Winckelmann: «le più belle tra tutte sono le figure delle danzatrici … perché sono fluide quanto il pensiero e belle come se fossero fatte per mano delle Grazie» (19). Esse infatti ebbero enorme fortuna e furono replicate infinite volte nei diversi campi delle arti applicate, sull’onda di un rinnovato apprezzamento dei valori estetici dei prodotti delle cosiddette “arti minori”.
Per quanto riguarda invece la decorazione relativa a due grandi vasi, nella sala adiacente la galleria, possiamo notare che questi ultimi richiamano nell’iconografia quelli biansati da parata, decorati con scene mitologiche, prodotti nella Reale Fabbrica di porcellana di Napoli che, a partire dagli anni ’80 del XVIII secolo, dette un grande impulso alla produzione di nuovi prototipi ispirati al mondo antico, in risposta alle grandi richieste del mecenatismo borbonico (20). Tutte le altre sale della villa necessitano ancora di approfonditi restauri che, sicuramente, restituiranno altrettanti interessanti affreschi.
CORTILI E GIARDINO
Dall’androne si accede ad un cortile centrale (m 17.50 x 27), che fa parte di un più ampio spazio di circa 1.500 mq, diviso in tre aree pressocchè uguali da alti muri dipinti con la stessa tipologia cromatica della facciata, ma con campiture più ampie; tale scelta decorativa è dedicata alla sola zona centrale del cortile, riservata al proprietario. Il cortile si conclude con un grande portale di accesso al “giardino chiuso”, che reca sui pilastri l’iscrizione del 1795 precedentemente citata.
Il grande giardino, esteso in origine per circa quattro ettari, confinava dal lato orientale con la vecchia strada che da Lecce portava a San Pietro in Lama; lo stesso probabilmente doveva presentare una suddivisione con viali interni, come mostrano le limitrofe e coeve ville dell’area. Attualmente si trova in stato di abbandono e la ricca vegetazione spontanea ha cancellato i segni della passata sistemazione, lasciando intravedere solo un vecchio pozzo.
Dell’originario muro di cinta della villa, realizzato con pietrame informe, rinforzato ritmicamente da blocchi squadrati ed intonacato nella parte bassa, rimangono in piedi solo alcuni tratti a volte integri, nel versante NW (sul prolungamento del prospetto principale) e SW lungo le fortificazioni messapiche di Rudiae, come aveva già segnalato più volte il Bernardini (21).
Lecce, 11 Marzo 2009
*VILLA MELLONE, di proprietà pubblica, a causa di restauri ancora in corso, al momento non è visitabile, se non in occasioni eccezionali.
NOTE AL TESTO
(1) Paesaggi e sistemi di ville nel Salento a cura di Vincenzo Cazzato, Galatina 2006, pp. 34-45.
(2) G. Rizzo, Il dialogo “sul ritiro in campagna” di Vincenzo Corrado in Paesaggi…, cit., pp. 70-77, A. Vallone, Giuseppe Palmieri, Lecce 1984.
(3) C. De Giorgi, La Provincia di Lecce, Bozzetti di viaggio, I, Lecce 1882, pp. 226-227.
(4) A. De Ferrariis (Galateo), De situ Japigiae, Basilea 1558, pp. 78-81.
(5) C. De Giorgi, La Provincia… , cit., pp. 226.
(6) A. Costantini, in Ville, casini e casine nell’area della “Cupa”, in Paesaggi…, cit., pp. 138-169; Archivio di Stato di Lecce (A.S.L.), Scritture delle Università e fondi, Catasto onciario di Lecce, 1755, Voll. I-II.
(7) A. Costantini, Guida alle Ville del Salento, Galatina 1992, pp. 105-107; A.S.L., Protocolli notarili 46/126, Notaio Ignazio Diego Marasco.
(8) M. Fagiolo – V. Cazzato, Lecce, Bari 1984, p. 122.
(9) A.S.L., Protocolli notarili 46/161, Notaio Giosuè Zaccaria. Francesco Saverio Mellone è sempre riportato come “negoziante” o “proprietario” di un cospicuo elenco di proprietà terriere con numerose masserie. Più volte è nominata anche la masseria “ Curti grandi” con casa rustica, magazzino, giardino, rimessa e sette camere (A.S.L., Stato di sezione per la formazione del Catasto murattiano di Lecce, 1815). Sappiamo inoltre che Angela Mellone, già sposata con il nobile Pisanelli, nell’agosto del 1822 accolse il carbonaro Francesco Patitari nella sua villa di Tricase, dove organizzò insieme ad altre autorità una festa in suo onore (S. Panareo, Dalle carte di Polizia dell’Archivio provinciale di Lecce, in Rinascenza Salentina, a. 7, 1939, p. 348).
(10) A.S.L., busta 143, fasc. 594.
(11) A.S.L., Protocolli notarili 46/161, Notaio Giosuè Zaccaria.
(12) A.S.L., Protocolli notarili 46/161, Notaio Giosuè Zaccaria.
(13) A.S.L., busta 145, fasc. 611-613; C. De Giorgi La Provincia… , cit., pp. 41-42.
(14) Atti presso Provincia di Lecce, Ufficio gestione e valorizzazione del patrimonio.
(15) A. Mantovano, Arte e lavoro, teoria e pratica nell’edilizia di Terra d’Otranto fra Otto e Novecento, Galatina 2003, p. 26.
(16) M. Cazzato, L’evoluzione storica delle ville salentine tra ‘500 e ‘700: architetture “d’autore” in ambito rurale, in Paesaggi…, cit., p. 87.
(17) Atti presso Provincia di Lecce, Ufficio gestione e valorizzazione del patrimonio.
(18) F. Mazzocca, Neoclassicismo, Firenze 2002; P. D’Alconzo, Picturae excisae, conservazione e restauro dei dipinti ercolanensi e pompeiani tra XVIII e XIX secolo, Roma 2002.
(19) Opere di G. G. Winckelmann, 12 voll., Prato 1830-34, vol. VII, p.160.
(20) AA.VV., Civiltà del ‘700 a Napoli, Firenze 1980; AA.VV., Settecento napoletano, Napoli 1994; AA.VV., Storia e civiltà della Campania, il Settecento, Napoli 1994).
(21) M. Bernardini, La Rudiae salentina, Lecce 1955, pp. 20, 34, 45 e fig. 4.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
-C. De Giorgi, La Provincia di Lecce, Bozzetti di viaggio, I, Lecce 1882.
– M. Bernardini, La Rudiae salentina, Lecce 1955.
– M. Fagiolo – V. Cazzato, Lecce, Bari 1984.
– A. Costantini, Guida alle Ville del Salento, Galatina 1992.
– Paesaggi e sistemi di ville nel Salento a cura di Vincenzo Cazzato, Galatina 2006.
FdS – Courtesy of ing. Gianni Carluccio