Diario fotografico di una breve escursione primaverile in Sila, fra Torre Camigliati e il Lago Cecita in c.da Cupone. A guidare Gianni Termine, autore delle immagini, è il racconto dello scrittore britannico Norman Douglas che visitò l’Altopiano nel 1907 e nel 1911 e lo descrisse nel suo bellissimo long seller Old Calabria; a esso si ispira anche l’omonimo parco letterario che ha sede a Torre Camigliati, nella storica tenuta dei baroni Barracco.
“Se non fosse per l’assenza di erica con le sue particolari sfumature color malva, il viaggiatore potrebbe immaginare di trovarsi in Scozia. C’è la stessa sorridente alternanza di boschi e prati, gli stessi enormi massi di gneiss e granito che danno un tono distintivo al paesaggio, la stessa esuberanza di acque vive. L’acqua, infatti, è una delle glorie della Sila, ovunque sgorga in freddi rivoli tra le pietre e gocciola lungo i fianchi delle alture per congiungersi ai flussi più grandi che si fanno strada verso le torride (…) lande costiere della Magna Grecia.
Spesso, mentre mi rinfrescavo a queste fontane ghiacciate, ho ringraziato la Provvidenza per aver fatto la Sila di roccia primitiva, e non della assetata pietra calcarea appenninica. “Molta acqua in Sila”, mi disse una volta un vecchio pastore, “molta acqua! E poco tabacco.”
“…I nomi stessi di questi corsi d’acqua – Neto, Arvo, Lese, Ampollino – profumano di vita pastorale. Tutti sono popolati di trote; scorrono a meandri nei loro tratti superiori attraverso valli dove pascolano tintinnanti greggi di pecore, capre e bovini dal pelo grigio (…) e le loro sponde brillano di fiori.
…l’aria in queste alte terre è pungente. Ricordo che alcuni anni fa, durante l’ultima settimana di agosto, un grumo di neve, che un pastorello offrì come suo contributo al nostro pranzo, non si sciolse sotto il sole splendente sulla cima del Monte Nero.
Da qualsiasi parte si salga dalle pianure circostanti verso l’Altopiano della Sila, si incontra la stessa successione di alberi. Alla zona più calda dove crescono ulivi, limoni e carrubi segue quella dei castagni, alcuni di dimensioni gigantesche e con un ricavato sicuro ma moderato di frutto, altri tagliati periodicamente come bosco ceduo per farne sostegni da vigne o impalcature (...). La vite ancora fiorisce a questa altezza, sebbene sia di dimensioni ridotte; presto le querce cominciano a dominare, ma subito dopo si entra nella terza e più alta zona dei pini e dei faggi. Quelli abituati ai deserti pietrosi di quasi tutti i distretti montani dell’Europa meridionale troveranno questi boschi intensamente rinfrescanti. La loro inaccessibilità ha garantito a lungo la loro salvezza (…)
Quasi tutto il bestiame della Sila, come la terra stessa, appartiene ai grandi proprietari. Questi signori sono per la maggior parte invisibili; loro abitano nei loro palazzi di città, e il nome stesso della Sila fa sì che un freddo fremito attraversi le loro ossa; agenti che sembrano fare il loro lavoro in modo molto coscienzioso si occupano di raccogliere le loro rendite presso i pastori. Una volta osservai, in una capanna, un piccolo frammento di pelle di un capretto appena ucciso; il lupo aveva divorato la bestiola e il pastore stava conservando questo corpus delicti per dimostrare al suo superiore, l’agente, di non essere responsabile di quell’uccisione. C’era qualcosa di ingenuo in quella sua onestà, come se un pastore non potesse mangiare un capretto al pari di un qualsiasi lupo e conservare una parte della sua pelle! L’agente, senza dubbio, lo avrebbe consegnato al suo padrone, a titolo di conferma e verifica.
Un’altra volta vidi invece i resti di una capra appesa a un albero; era stato di nuovo il lupo; il giovane pastore aveva attaccato quei resti all’albero in modo che tutti coloro che fossero passati di lì, potessero testimoniare, se necessario, che l’animale non era stato venduto di nascosto.
Qui puoi trovare ancora i pastori leggendari: giovinetti dai capelli riccioluti, sdraiati all’ombra dei faggi nel miglior stile teocriteo fischiando meravigliose melodie alle loro greggi. Essi vengono generalmente dalle pianure joniche per la stagione estiva. O ancor più potresti incontrare creature primitive, ragazzi della foresta, vestiti di pelle, con occhi selvaggi e capelli arruffati, che traggono un piacere elfico nel disorientarti. Questi sono i Lucani di un tempo. “Li hanno allevati fin dall’infanzia nei boschi fra i pastori “, dice Giustino,“senza servi, e anche senza alcun vestito per coprirsi, o per sdraiarcisi sopra, in modo che fin dai primi anni possano abituarsi alla durezza e alla frugalità e a non avere rapporti con la città. Vivono di selvaggina e non bevono altro che acqua o latte”. Ma la maggior parte dei moderni pastori della Sila sono degli astuti tipi di mezza età (molti di loro sono stati in America), che tengono rigorosamente il conto per i loro padroni di ogni grammo di formaggio e burro prodotto. Il formaggio locale, che Cassiodoro loda in una delle sue lettere, è il caciocavallo comune in tutto il Sud Italia; il burro invece è del tipo umoristicamente, ma abbastanza erroneamente, descritto da vari viaggiatori”.
Sebbene i vecchi lupi vengano sparati e uccisi con pistole a molla e esplosivo, mentre i giovani vengano catturati vivi con trappole d’acciaio e altri strumenti, il loro numero è ancora abbastanza eccezionale da turbare la popolazione che vive di pastorizia. (…) Le capre si mostrano pronte allo scontro, e quindi il lupo preferisce le pecore. Pastori mi hanno detto che esso si avvicina delicatamente, e poi, conficcando i suoi denti nella lana del loro collo, le trascina, accarezzando i loro fianchi con la sua coda. Le pecore sono come affascinate dai suoi modi gentili, e generalmente si lasciano guidare fino al punto scelto per la loro esecuzione; la verità è che il lupo è troppo pigro per trasportarle, se ha la possibilità di evitarlo. Nella rara occasione in cui le greggi pascolano al di sopra della sua tana, ucciderà prontamente la sua preda e porterà la carcassa in discesa; ma se c’è da fare un percorso in salita, le pecore devono essere abbastanza brave da darsela a gambe. Si raccontano storie incredibili sulla sua forza distruttiva. Fortunatamente gli esseri umani vengono attaccati raramente, mentre aggredisce un cane o un maiale quando non trova la solita preda (…). Il famoso atleta Milone di Crotone è la vittima più celebre dei lupi della Sila: la tradizione racconta che sia stato da essi divorato vivo quando, facendo affidamento sulla sua grande forza, aveva provato a divellere un possente tronco d’albero che, richiusosi, gli afferrò il braccio impedendogli di difendersi.”
I lupi, protagonisti del racconto di Norman Douglas – la cui eco ha accompagnato la nostra ”narrazione” per immagini – non sono tuttavia gli unici abitanti di questo straordinario paesaggio alpestre nel cuore del Mediterraneo: numerose sono le specie faunistiche che qui trovano il loro habitat ideale e che insieme alla ricchissima flora (circa 900 specie, con 13 varietà botaniche esclusive) fanno della Sila un prezioso scrigno di biodiversità, non a caso selezionato dall’UNESCO quale Riserva della Biosfera Italiana. Cervi, caprioli, volpi, gatti selvatici, cinghiali, lepri, tassi, ghiri, scoiattoli, sono solo alcune delle numerose specie di mammiferi che insieme a un foltissimo campionario di uccelli, rettili e insetti, popolano l’Altopiano. Uno di essi ha simpaticamente degnato di uno sguardo il fotografo sfrecciando sotto il suo naso prima di farsi sorprendere dall’obiettivo tra le foglie di un ciliegio selvatico: lo scoiattolo nero meridionale (Sciurus meridionalis).
Ma a primavera è sopratutto la flora a dare spettacolo in Sila. Al fotografo è bastato fare due passi lungo le sponde del lago Cecita per ritrovarsi immerso in un mare di gialli ranuncoli e di policrome viole del pensiero…viola, giallo intenso, giallo chiaro…
…tutt’intorno l’aria è un balsamo che invita a respirare a pieni polmoni. Il vento, generato dai nembi che coprono il cielo della Sila, solitamente di azzurro smalto, porta a raffiche leggere il dolce aroma del biancospino che a folti cespugli popola le sponde del lago…
Altri due passi e l’incontro con la flora silana si fa poesia e leggenda: la calma superficie del lago…
…ed eleganti fiori bianchi dalla paracorolla gialla e rossa…ora isolati, ora a piccoli gruppi…ci riportano al mito di Narciso…
…Narciso è il bellissimo ragazzo, figlio del fiume Cefiso e della ninfa Liriope, che osò respingere tutti coloro che si innamorarono perdutamente di lui, compreso lo stesso Eros, salvo poi rimanere incantato dalla propria immagine riflessa in uno specchio d’acqua. Vittima di questo amore impossibile, gli dei ne vollero la morte per punirlo della sua vanità: suicida per mezzo di una spada, come scrive Partenio, o per mero struggimento, come narra Ovidio. In compenso, dal suo sangue, o dal suo corpo, nacque quel meraviglioso fiore profumato che chiamano Narciso dei Poeti (Narcissus poeticus L.).
Norman Douglas ci ricorda come un tempo qui tutto appartenesse ai grandi proprietari terrieri, ricchissimi ‘gattopardi’ per la maggior parte dei quali la Sila era una sostanziosa fonte di reddito e un luogo di villeggiatura. Testimone di quel tempo rimane Torre Camigliati, la splendida tenuta dei baroni Barracco…
…centinaia di ettari di bosco attraversati dal torrente Camigliati, meravigliosi prati lasciati a vegetazione spontanea, e un palazzo-masseria che gli attuali proprietari, discendenti diretti dei vecchi, hanno con lungimiranza riconvertito nella sede del Parco Letterario Old Calabria ispirato proprio al capolavoro di Douglas. Un piccolo museo delle tradizioni e il profondo senso di pace e armonia che regnano in questo luogo, vicino e remoto al tempo stesso, lo rendono assolutamente degno di una visita…
Scendono leggere le ombre del crepuscolo, ma l’intenso colore giallo delle margherite selvatiche sembra catturare la luce e restituirla allo sguardo…
…mentre il viola delle pansé selvatiche (Viola tricolor L.) ci riporta al mito di Persefone e ai fiori festosi e delicati di cui si ricoprì la terra quando la dea, regina del regno dei morti, tornò per la prima volta fra i vivi…
Se venite in Sila, prima di andar via cercate un soffione di tarassaco (Taraxacum officinale) e affidate un auspicio al tradizionale potere benaugurale dei suoi semi, pronti a volar via al vostro soffio: l’auspicio che tanta bellezza possa conservarsi integra per le generazioni future.
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