Per anni a capo di una task force speciale dello Stato italiano, è stato il più rispettato e temuto ”cacciatore” di tesori d’arte trafugati ed esportati all’estero. In questa 1a parte di una lunga intervista ci parla delle proporzioni colossali e inquietanti di un fenomeno globale che colpisce fortemente il Sud Italia
di Enzo Garofalo
E’ il nostro ”Monuments Man” nazionale, un uomo che grazie alla sua sapienza giuridica e a una straordinaria abilità diplomatica, ispirata a superiori valori etici e culturali, è riuscito a riportare in patria innumerevoli capolavori d’arte, soprattutto archeologici, trafugati dal territorio italiano e finiti illegalmente nei musei di tutto il mondo. Maurizio Fiorilli, mantovano, Avvocato dello Stato in pensione dal 2014, dal 1965 ha rappresentato il nostro Paese in diversi tribunali del mondo e dal 2004 al 2014 ha guidato un comitato speciale formato da Carabinieri del Nucleo tutela del patrimonio artistico, Segretario generale del Ministero dei Beni Culturali, tecnici, funzionari e un gruppo di esperti preposti allo studio di migliaia di reperti allo scopo di verificarne l’origine italiana furtiva e poterne quindi rivendicare la restituzione dai detentori illegittimi. Uno straordinario lavoro svolto con inflessibilità nel quadro delle vigenti normative nazionali e internazionali e di quelle non scritte di un’etica condivisa. Definito “flagello dei predatori di tombe” e “cacciatore di tesori perduti”, grazie alla sua intransigenza – insita peraltro in una personalità di grande semplicità e affabilità – Maurizio Fiorilli è presto diventato l’interlocutore più temuto e rispettato dai direttori dei principali musei del mondo perché capace di destreggiarsi con competenza, oculatezza e fermezza in un ambito reso intricato e scivoloso, oltre che dalla complessità della materia, da rapporti ed equilibri di politica estera non sempre agevoli.
Grazie infatti all’alto grado di autorevolezza e credibilità della sua squadra, Fiorilli è riuscito a riportare in Italia centinaia di beni sottratti al nostro patrimonio, tra i quali basta citare capolavori assoluti come il Cratere di Eufronio, la Venere di Morgantina, il Trapezophoros di Ascoli Satriano, il Cratere di Assteas da Sant’Agata de’ Goti, la Vibia Sabina di Villa Adriana, l’Askos in bronzo a forma di Sirena da Crotone, opere che una serie di intrecci a vari livelli aveva portato nelle teche o sui piedistalli di musei come il Getty di Los Angeles, il MET di New York o l’MFA di Boston. A Fiorilli si devono anche le trattative per il rientro dell’Atleta di Lisippo, esposto al Getty Museum, la cui confisca a favore dell’Italia è stata sancita da una recente sentenza della Cassazione; un caso complesso e non ancora concluso sul quale ha appena finito di scrivere il libro “Il caso dell’Atleta vittorioso di Fano”, di prossima pubblicazione; volume che segue di pochi mesi l’uscita di “Beni culturali. Fiscalità mecenatismo circolazione” (Editoriale Scientifica), saggio scritto con Sandra Gatti e dedicato allo stato di abbandono-degrado del nostro patrimonio culturale e agli strumenti normativi che potrebbero favorire un’inversione di tendenza. Poco incline a concedersi ai media, come dimostrano le sue rarissime interviste, Fiorilli ha accettato la nostra richiesta nata dalla volontà di far conoscere meglio all’opinione pubblica un fenomeno, quello del traffico illegale di opere d’arte, che vede il Sud Italia tra le principali vittime.
Avvocato Fiorilli, come apprendiamo dalle cronache il nostro è un Paese sottoposto da tempo a uno sconcertante saccheggio di opere d’arte, tra cui numerosi reperti archeologici, destinati a musei, gallerie e case d’asta stranieri oltre che a ricchi collezionisti. Lei che si è a lungo occupato della materia, può illustrarci in breve le reali proporzioni del fenomeno?
Comincio col premettere che il fenomeno riguarda tutta l’Europa, che con il suo ricco patrimonio culturale, la sua vicinanza al Medio Oriente e all’Africa è una meta interessante per questo commercio illecito. Secondo Interpol, il mercato nero delle opere d’arte sta diventando tanto redditizio quanto quello della droga, delle armi e delle merci contraffatte. Anche secondo l’UNESCO, insieme al commercio di droga e armamenti, il mercato nero dei beni culturali costituisce uno dei più radicati commerci illeciti nel mondo. I principali mercati di destinazione sono l’Europa (con in vetta la Confederazione Elvetica e l’Inghilterra) e l’America del Nord, mentre la Cina è considerata insieme fonte e mercato nel commercio mondiale di beni culturali per la sua crescente ricchezza. Secondo stime riportate dalla Commissione europea, solo il 30-40% delle vendite di antichità avviene attraverso case d’aste, dove i pezzi sono pubblicati nei cataloghi; il resto avviene attraverso transazioni private. Secondo le stesse stime, nell’80-90% delle vendite di antichità i beni hanno origini illecite. Inoltre, sebbene trattandosi di un’attività criminale sia molto difficile valutare con esattezza il valore finanziario totale del commercio illegale di beni culturali, esso è stato stimato tra i 2,5 e i 5 miliardi di euro annui ed è inferiore soltanto al traffico di armi e di narcotici.
Quali sono i beni considerati più appetibili e, pertanto, più vulnerabili?
Ci sono alcuni beni culturali particolarmente vulnerabili alla dispersione e quindi alla scomparsa e alla perdita – per distruzione o appropriazione indebita – e pertanto hanno bisogno di una protezione speciale. E’ il caso in particolare del patrimonio archeologico e dei manufatti religiosi. Le analisi statistiche delle aste di Sotheby’s hanno dimostrato, ad esempio, che le antichità egiziane, greche e romane hanno un valore più elevato rispetto a quelle di altre civiltà del passato.
Esistono particolari fattori di rischio in grado di favorire tali traffici?
Le situazioni di crisi o di conflitto, ad esempio, aumentano di molto il rischio di traffico di beni culturali per loro natura soggetti a furti e saccheggi. Ma più in generale sono innanzitutto a rischio i beni di Paesi con numerosi siti archeologici, dove è difficile mantenere un inventario della proprietà culturale e assicurare un efficace controllo delle aree, spesso remote, in cui si trovano i siti medesimi. Un’altro fattore che agevola il traffico è rappresentato dalle zone franche – ossia aree fiscali in cui non vengono applicati dazi doganali su importazioni o esportazioni – che possono servire come deposito per beni culturali saccheggiati e nascondere la proprietà di beni di grande valore.
Proviamo a delineare la situazione italiana…
Si dice a ragione che l’Italia è un “museo a cielo aperto”, ma si dimentica che un museo ha anche dei “magazzini” e quelli del museo Italia sono ricoverati nel suo sottosuolo o nei fondali del mare territoriale. Questi magazzini, dei quali non si conosce la consistenza, sono oggetto di una appropriazione indebita non quantificabile. L’unica quantificazione proponibile è quella statistica risultante dalle indagini di polizia giudiziaria condotte dai Carabinieri e anche dalla Guardia di Finanza. Le statistiche presentate dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale indicano in decine di migliaia le cose di interesse culturale sottoposte a sequestro in quanto di provenienza non documentata. A queste sono da aggiungere i beni culturali presenti nelle collezioni di istituti museali stranieri o in collezioni private straniere, attribuibili culturalmente al territorio geografico italiano.
Spostandoci dai ”magazzini” del sottosuolo a quelli ufficiali di musei e Soprintendenze, non pensa che eventuali ritardi nella inventariazione e catalogazione dei reperti stipati in tali depositi, possano favorirne in qualche modo la sottrazione e l’espatrio clandestino?
Esatto…non si può non segnalare il fatto che molti reperti archeologici di recente scavo vengono sottratti dai magazzini della amministrazione nei quali sono temporalmente ricoverati in attesa della loro catalogazione. Ritengo infatti che i ritardi nella catalogazione o la sua imprecisione favoriscano lo spoglio del patrimonio culturale nazionale in quanto impediscono allo Stato di origine di fornire la prova, necessaria secondo le Convenzioni internazionali ratificati dallo Stato di trasferimento, per chiederne la restituzione.
Di chi è la responsabilità di questa situazione?
La materia è oggetto di grande interesse per l’opinione pubblica nazionale, ma non dobbiamo nasconderci che la responsabilità prima della spoliazione del patrimonio culturale nazionale è da addebitare a cittadini italiani e alla incuria delle istituzioni museali italiane nella protezione dei propri depositi. Accade sovente per il materiale proveniente da scavi archeologici che il suo ricovero avvenga in depositi di agevole accesso e comunque inidonei anche perché non controllati. Molte volte all’estero mi sono sentito contestare l’inadeguatezza dei depositi o la carenza di sorveglianza degli stessi. La responsabilità di ciò non può essere addebitata per principio al personale delle Soprintendenze o dei musei, ma senza possibilità di smentita alla disattenzione della politica e dei cittadini alla salvaguardia del nostro patrimonio culturale. Le cito un esempio: il caso della statua de “L’atleta vittorioso” di Lisippo, per il J.P.Getty Trust denominato “Il bronzo Getty” e per noi “L’atleta di Fano”, ha evidenziato non solo la disonestà dei ritrovatori e dei primi acquirenti, cittadini italiani, ma anche delle persone prive di interesse economico alla statua, che per decine d’anni hanno coperto la clandestinità del ritrovamento e della vendita ed esportazione della statua ostacolando le indagini giudiziarie. Viceversa, meritorio è stato il comportamento di quel cittadino che ha fornito ai Carabinieri informazioni sullo scavo clandestino, avvenuto in Calabria, di un vaso in bronzo (askos) a forma di sirena, indicando che nel corso dello scavo una picconata aveva causato la rottura di un artiglio della zampa della sirena, circostanza che ci ha consentito, in sede di trattative con il J.P.Getty Trust, di sostenere la richiesta di restituzione e di ottenerla.
Per i beni trafugati e successivamente identificati dalle forze dell’ordine, che margini di azione ci sono?
Tutti questi beni sono astrattamente sottoponibili a una verifica di legittimità in base alle leggi italiane vigenti alle date della loro acquisizione da parte dell’attuale possessore. La possibilità di accertamento incontra il limite temporale della prescrizione, che consolida il titolo di proprietà, e delle prove sulla loro illecita acquisizione. Considerando ad esempio la tutela delle cose di interesse culturale sottratte in caso di eventi bellici, si deve risalire a non oltre il 1954, data della Convenzione di L’Aja specificamente dedicata a questo tema. Quanto ai beni sottratti al patrimonio nazionale nel corso della Seconda Guerra mondiale dalle truppe naziste è di aiuto anche la legislazione nazionale, se la acquisizione è avvenuta sfruttando lo stato di soggezione nel quale si sono trovati i proprietari dei beni o la appropriazione è avvenuta a fini personali. A tal proposito, gli Stati Uniti hanno introdotto una legge per la restituzione dei beni sottratti dalle forze militari tedesche a cittadini europei di religione ebraica. Se, invece, la appropriazione è avvenuta in danno dello Stato la materia è oggetto del Trattato di pace o di Accordi bilaterali.
A proposito della 2a Guerra Mondiale…i nazisti sono stati gli unici ad approfittare del nostro patrimonio culturale?
No…Non sono mancati anche casi di appropriazione di beni culturali di proprietà ecclesiastica da parte di militari delle Forze alleate: ricordo il caso di un manoscritto miniato sottratto alla biblioteca di un seminario vescovile nel quale era stato insediato un Comando dell’esercito inglese, poi messo all’asta da Sotheby’s ed acquistato dalla National Gallery di Londra e restituito all’Italia solo a seguito di una legge del Parlamento del Regno Unito.
Qual è il principale riferimento normativo per i beni oggetto di scavo clandestino ed esportazione illecita?
Quanto alle cose scavate abusivamente, rubate e successivamente esportate illecitamente non si può risalire giuridicamente oltre la data di ratifica nazionale della Convenzione UNESCO del 1970. Peraltro, nel corso dei negoziati con istituzioni museali americane si è sostenuto con successo che i principi della Convenzione debbono trovare applicazione nella interpretazione delle leggi nazionali a far data dalla entrata in vigore della Convenzione medesima in forza della sottoscrizione, da parte del plenipotenziario dello Stato, del testo approvato dalla Conferenza diplomatica.
Cosa accade là dove non arrivano le norme giuridiche?
Le identità e i significati di cui sono portatori i beni culturali impediscono di risolvere i problemi suscitati dalla loro rimozione sulla base di criteri esclusivamente giuridici e impongono un’indagine di ampio respiro di carattere etico il cui risultato può essere valorizzato per ottenere i beni sottratti al patrimonio culturale nazionale. Non va infatti esclusa la possibilità di ottenere la restituzione di un bene culturale richiamandosi ai principi etici che debbono essere osservati dalle istituzioni museali straniere nella formazione delle proprie collezioni e dei propri depositi.
(Continua)*
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*La 2a parte dell’intervista a Maurizio Fiorilli sarà on line su Famedisud lunedì 2 dicembre 2019