Legato a Villa Jovis è il bellissimo romanzo di Roberto Pazzi "Il Vangelo di Giuda" che nella villa dell'imperatore Tiberio a Capri ha la sua principale ambientazione. - Dove ancora non è giunta la Storia, possono talvolta arrivare le storie, quando nascono dal talento visionario di uno scrittore come Roberto Pazzi. È il caso di questo romanzo che si pone una domanda: perché Cristo ha soltanto parlato, senza affidare mai nulla alla scrittura? Uscito per Garzanti nel 1989, tradotto in inglese, francese, spagnolo, portoghese e rumeno, accolto con favore da pubblico e critica, ha saputo anticipare la realtà, "prevedendo" l'esistenza di un Vangelo di Giuda ben prima che i recenti ritrovamenti archeologici ne rivelassero al mondo la scoperta. A Capri, nell'attesa della fine, l'imperatore Tiberio ascolta le parole di una enigmatica apparizione notturna: la donna recita i versi di una misteriosa opera su Gesù di Nazareth, mentre dalla Palestina, sullo sfondo di un impero in disfacimento, giungono inquietanti conferme della verità profetica del poema. Si consuma così il vero tradimento di Giuda: non quello di aver consegnato il Cristo alla morte, ma di averne imprigionato il messaggio nella scrittura, destinata a diventare strumento di dominio nelle mani di una casta di esegeti, che avrebbero attribuito alla sua parola il significato a loro più conveniente per esercitare la supremazia sugli uomini. Vincitore del Super Premio Grinzane Cavour nel 1990, "Vangelo di Giuda" è un'opera che fonde verità e proiezione fantastica per interpretare i silenzi della storia e rivelare le terribili ed eterne astuzie del potere - ROBERTO PAZZI - Il Vangelo di Giuda (Sperling & Kupfer - 12 euro)
IN RICORDO DI AMEDEO MAIURI (1886 – 1963), NEL CINQUANTENARIO DELLA MORTE
Lo scorso marzo i media hanno dato ampio risalto alle polemiche che hanno accompagnato la chiusura di Villa Jovis a Capri, a causa delle condizioni di degrado in cui versavano e in parte ancora versano le maestose rovine di uno parchi archeologici più importanti d’Italia. Uno dei siti intorno ai quali si è costruito il mito immortale di Capri è apparso infatti abbandonato a se stesso, in condizioni di estrema incuria. Una realtà amara che finisce col non sorprendere più in questo Paese che sembra aver deciso di far macello del proprio patrimonio storico-artistico. Il 25 marzo si è poi finalmente decisa la riapertura del sito da parte della Sovrintendenza della Campania, la quale promette l’attuazione di un piano generale di conservazione e riqualificazione dell’area, di cui a questo punto attendiamo con ansia i risultati. Intanto è stato ridotto il numero di ore di fruibilità che prima della chiusura andava dalle 9,00 fino al tramonto mentre con la riapertura le visite sono consentite solo dalle 11,00 alle 15.00 (da aprile dalle 11.00 alle 17.00) con chiusura i martedì della prima metà del mese e le domeniche nella seconda metà del mese.
In attesa di avere buone notizie circa il destino di questo luogo magico legato alla figura e al mito di Tiberio, vi proponiamo un articolo del giornalista Vittorio Paliotti nel quale si ricorda una figura determinante per le ricerche e gli scavi a Villa Jovis, nonchè uno degli archeologi italiani più importanti del XX secolo, Amedeo Maiuri, del quale quest’anno cade il cinquantenario della morte (1963). Paliotti ci parla degli scavi di Villa Jovis, “gioiello” del grande archeologo sull’isola azzurra; del soggiorno di Maiuri ad Anacapri nella piccola casa di Caprile; due storie legate a una vicina batteria antiaerea e all’occupazione americana del 1944. Ricorda inoltre lo spettacolo sguaiato delle “male femmine” giunte da Napoli per i soldati statunitensi che spinse Maiuri a “rivolgersi” idealmente all’imperatore ricordandone i festini peccaminosi ma “col privilegio del buon gusto”. E infine la disavventura che concluse la sua vita, specchio di un’Italia che da sempre ha difficoltà a riconoscere il vero merito.
Come certo molti sapranno Villa Jovis era a Capri la più imponente di un sistema di 12 ville dedicate ad altrettante divinità pagane. Dalla sua villa, l’imperatore romano Tiberio governò l’impero per oltre undici anni. Alcuni frammenti storici riferiti alla sua personalità lo descrivono come una persona molto introversa e di poche parole. Pare che trascorresse intere giornate nella più profonda solitudine, rinunciando addirittura alla presenza della scorta imperiale e abbandonandosi a passeggiate solitarie lungo il belvedere della sua villa che affaccia sui due golfi di Napoli e Salerno. Agli storici Tacito e Svetonio si deve però la divulgazione di una leggenda nera che ha attraversato le epoche attirando sull’isola, con il suo sinistro fascino, la curiosità di migliaia di visitatori, soprattutto stranieri. Perversioni sessuali, omicidi, tradimenti sono il succo venefico di questa leggenda che però gran parte della storiografia moderna tende a considerare frutto della propaganda politica dei suoi detrattori.
LA LETTERA DI MAIURI ALL’IMPERATORE TIBERIO
di Vittorio Paliotti
“Ho iniziato gli scavi di Villa Jovis nel 1932. Tra sterri e restauri vi ho impiegato varie campagne di lavori, dal 1932 al 1935, ed è stato lo scavo forse più inebriante che abbia avuto la ventura di fare nella mia non breve ascesi di archeologo militante”. In questa frase, contenuta in un suo libro dal titolo “Breviario di Capri”, pubblicato nel 1947, Amedeo Maiuri, il maggior archeologo italiano del Novecento, sintetizzò la sua grandiosa attività di ricerca e di restauro compiuta nell’isola azzurra. Ma il più bello è che Amedeo Maiuri, mentre dirigeva quegli scavi che richiamarono su Capri l’attenzione di tutto il mondo scientifico, s’innamorò dell’isola fino al punto di acquistarvi un piccolo podere in località Caprile e farvi costruire una casetta che denominerà “L’olivella” e in cui trascorrerà, d’allora in poi, le sue giornate di riposo.
Ciociaro di nascita, Amedeo Maiuri venne a Napoli come sovrintendente alle antichità per la Campania e come direttore del Museo archeologico nazionale nel 1924 quando aveva trentotto anni. Si era egregiamente segnalato, negli anni precedenti, come direttore degli scavi a Creta e a Rodi (appartenenti allora all’Italia) e, insediatosi appunto a Napoli, formulò un vastissimo programma di lavori comprendente altri scavi a Pompei ed Ercolano, nonché a Cuma, Baia, Pozzuoli, Stabia e Paestum. Ed effettivamente, ad ognuna di queste località, offrì il contributo della sua competenza e del suo entusiasmo.
Gli scavi di Capri rappresentarono, per Maiuri, un vero e proprio fuori-programma, anche se piacevolissimo ed esaltante. All’inizio degli anni Trenta, bisogna premettere, l’allora capo del governo, Benito Mussolini, allo scopo di valorizzare Roma e la romanità, decise appunto di far svolgere scavi a Capri, l’isola dalla quale negli anni compresi fra il 27 e il 37 dopo Cristo l’imperatore Tiberio aveva, in pratica, regnato e governato e in cui, prima ancora, aveva trascorso lunghi periodi di riposo l’imperatore Augusto. L’incarico di questi scavi, il più importante dei quali già si annunciava quello relativo alla villa di Tiberio, venne naturalmente affidato ad Amedeo Maiuri.
Delle dodici residenze capresi attribuite da Tacito all’imperatore Tiberio, e ciascuna delle quali intitolata a una divinità dell’Olimpo, quella denominata “Villa Jovis” era certamente la più sontuosa. La tradizione locale era concorde nell’identificare Villa Jovis “con i grandiosi avanzi della più eccelsa, più solitaria, più rupestre villa romana di Capri, con quella cioè che sorge sulla rupe deserta consacrata dalla pia fede degli isolani a Santa Maria del Soccorso, rupe e promontorio che chiude con un appicco pauroso – sono parole di Maiuri – sul mare profondo delle Bocche di Capri, il tormentato e selvaggio crinale dell’isola delle rocce”.
Fu qui, dunque, in questa località diventata selvaggia, che Maiuri fece svolgere gli scavi ottenendo la conferma della validità di quella che, fino a quel momento, era stata soltanto una “vox populi” più ancora che una antica tradizione popolare. Gli scavi, durati almeno tre anni, portarono in primo luogo alla scoperta delle antiche cisterne per l’approvvigionamento idrico della villa, poi all’identificazione di un complesso comprensivo di villa e di palazzo residenziale, cioè “il più completo documento della Capri romana”.
Era peraltro, quella, la prima volta che gli scavi di Capri non erano finalizzati a reperire capolavori da asportare, bensì a restituire all’isola quella che era la sua più antica e più affascinante immagine. In precedenza, infatti, la maggior parte degli scavi archeologici eseguiti a Capri avevano avuto come principale scopo quello di mettere le mani su statue, marmi, pavimenti e altri oggetti d’arte per arredare regge e case patrizie. All’inizio, per la verità, due architetti, Alvino e Quaranta, si erano impegnati nel 1825 a delineare la pianta della villa e a inventariarne le rovine; poi, un poco alla volta, erano prevalsi criteri puramente mercantilistici. A Villa Jovis, dunque, Amedeo Maiuri adottò con i suoi accorti scavi principi ineccepibilmente scientifici. Nel 1937, inoltre, mentre si festeggiava il bimillenario della nascita di Augusto, Maiuri diresse scavi nella villa imperiale di Damecuta. Poi eseguì ricognizioni nelle grotte di Matromania e dell’Arsenale e nel Palazzo a Mare, cioè nella villa che era stata abitata da Augusto.
Fra l’uno e l’altro di questi scavi, Amedeo Maiuri trovò il tempo, ed ebbe la possibilità, di farsi costruire, da un capomastro locale, il bravissimo don Pasquale, una casetta in località Caprile ad Anacapri. Il luogo gli era stato indicato e consigliato da una ostessa-ballerina, l’allora celebre donna Carmelina.
Provvisoriamente denominata “romitorio”, Maiuri battezzò poi quella minuscola villa “L’olivella” per il fatto che vi sorgevano alcuni alberi di ulivo. In quella villa Amedeo Maiuri prese l’abitudine di trascorrere, insieme con la moglie Valentina Maffei, con le figlie Ada e Bianca e, più tardi, col nipotino Bruno, le sue giornate di libertà. Fu dall'”Olivella” che combattè le sue battaglie per la risistemazione delle troppo chiassose preferenze architettoniche dello scrittore svedese Axel Munthe, ed era dall'”Olivella” che si muoveva, con la famiglia, per partecipare alla processione in occasione della festa di san Costanzo. E fu sempre dall'”Olivella” che, durante il periodo bellico, Amedeo Maiuri non disdegnò di trasformarsi, col permesso delle autorità annonarie, in produttore di olio.
Negli anni di guerra, anzi, Maiuri utilizzò il suo romitorio caprese come luogo di “sfollamento”. Il guaio fu che, proprio nei pressi della sua piccola abitazione, venne installata una batteria antiarea. Nel diario caprese di quegli anni, contenuto in un libro dal titolo “Taccuino napoletano”, uscito poi nel 1956, l’archeologo annotò molti degli eventi cui gli capitò di assistere. Raccontò, per esempio, che un giorno il fuoco di quella batteria riuscì ad abbattere un aereo angloamericano e che, mentre alcuni festeggiavano l’avvenimento, una vecchietta anacaprese esclamò: “Speriamo che il pilota si è salvato, anche lui è figlio di mamma”. In quello stesso diario caprese, Maiuri registrò i particolari di una storia d’amore e di morte verificatasi nell’ottobre del 1942: una ragazza anacaprese, rimproverata dalla madre per il fatto di essersi messa ad amoreggiare con un soldato della batteria antiaerea, si era buttata dalla rupe della Marmolata.
Amarissime, poi, le descrizioni di Capri che Maiuri fece nel maggio 1944, cioè nel periodo dell’occupazione angloamericana. “Trovo Capri in piena sarabanda carnascialesca. Posto di riposo (restkamp) per aviatori americani, interdetto a tutti, inglesi, francesi, polacchi e ai civili non capresi. Povero Tiberio! Se hai avuto qualche vizio senile a conforto delle tue disavventure coniugali, e se hai voluto difendere con il blocco dell’isola il prestigio dell’autorità imperiale, aviatori e marinai della repubblica stellata hanno messo in ombra i peccati della tua vita segreta. Ma ti sia concesso almeno, o imperatore, il privilegio del buon gusto. Per te, adolescenti e giovanette, in veste di Satiri e Baccanti, folleggiavano amorosamente nelle grotte e negli spechi dell’isola a comporre azioni mimiche di leggende e di miti: oggi un centinaio di male femmine reclutate dai più sozzi vicoli di Napoli, arrochite di fumo e di gin, riempiono di voci e di canti sguaiati i caffè, le osterie e le ville requisite di Capri”.
Purtroppo, dalla villetta di Capri, Amedeo Maiuri ricevette l’ultimo grande dolore della sua vita. Lo ha rivelato un suo illustre discepolo e continuatore, Giuseppe Maggi, in un recente libro intitolato “Archeologia e ricordi”. Accadde dunque che quando si trattò di eseguire il raddoppio dell’autostrada Napoli-Pompei, Maiuri mise a disposizione dell’azienda che provvedeva ai lavori alcune tonnellate di risulta di due secoli di scavo. Un burocrate volle vedere in ciò qualcosa di illecito e perciò a Maiuri, ormai pensionato, venne sequestrata la sua unica proprietà, cioè il romitorio di Capri. “L’ho visto piangere con le carte del processo in mano. Dopo tanti meriti e successi era distrutto dall’angoscia, stanco di vivere. Quando morì, l’indagine era ancora in corso” ha scritto Giuseppe Maggi. L’assoluta buonafede di Maiuri venne decretata quando lui era già morto. La casetta di Capri fu restituita alle figlie.
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